Londra, dove aveva trovato rifugio per evitare il carcere, Fabio Riva era stato rintracciato dall’Interpol nei primi mesi del 2013 e liberato poco dopo il suo fermo su cauzione. Per due volte i giudici inglesi avevano dato l’ok per l’estradizione in Italia e per due volte l’industriale italiano aveva presentato appello. Ora a distanza di oltre due anni, Riva ha però deciso di rientrare in Italia. Aveva raggiunto suolo britannico perché, come era emerso emerso da alcune intercettazioni telefoniche, non aveva intenzione di trascorrere nemmeno un giorno in carcere: “Fabio non ascolta nessuno e fa solo di testa sua – spiegava una sua parente ignara di essere ascoltata dagli investigatori – non ne voleva saper nulla e non era sicuro al 100 percento che gli avrebbero dato idomiciliari”.
Ma in questi anni di assenza le cose sul territorio sono cambiate. E non poco. Oltre all’ordine di arresto firmato dal gip Todisco, Fabio Riva ha collezionato una condanna dal tribunale di Milano a sei anni e sei mesi di carcere per truffa e altri sei anni di reclusionesono stati emessi dal tribunale di Taranto per omicidio colposodisastro ambientale. In quest’ultimo procedimento, per la morte di operai dell’Ilva affetti da mesotelioma pleuricocontratto per la presenza di amianto in fabbrica, il giudice Simone Orazio ha parlato di una “situazione di consapevole e lucida omissione” che “si è perpetrata per decenni, essendo sotto gli occhi di tutti nel senso che l’inerzia è stata maturata e voluta sia da coloro che avevano ruoli operativi e che pertanto erano a conoscenza delle inaccettabili condizioni in cui costringevano a lavorare i dipendenti sia da parte di color che avevano responsabilità manageriali, gestionali e di controllo finanziario data l’assenza dl alcuno stanziamento al riguardo”.
Un disastro che per il magistrato è il frutto di “una logica di organizzazione dei fattori produttivi” e di “una pianificazione delle linee di politica del lavoro e della salute del lavoratori” determinate dalla “scelta compiuta dai vertici con la colpevole complicità del loro collaboratori”. La logica del massimo profittoal minimo sforzo, però, è apparsa in tutta la sua spregiudicatezza in una telefonata intercettata dai finanzieri di Taranto durante le indagini del 2010. È proprio Fabio Riva il protagonista che al telefono con l’avvocato Franco Perli si lamenta dei dati forniti daArpa Puglia e poi commenta “due tumori in più all’anno… una minchiata”. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/05/ilva-di-taranto-fabio-riva-si-costituisce-e-torna-in-italia-finisce-latitanza-a-londra/1749441/