giovedì 4 giugno 2015

anche la Cassazione critica la legge sugli “E c o - re at i ” FORMULE “INDEFINITE” LASCIANO SPAZIO ALL’INTERPRETAZIONE;

PIÙ COMPLICATO PROVARE I REATI; SULLA PRESCRIZIONE CAMBIA POCO, ALTRO CHE MAI PIÙ ETERNIT 
“A B U S I VA M E N T E ” L’avverbio della discordia non piace nemmeno alla Suprema Corte: “Non era necessario”. E forse viola una sentenza della Consulta del 2004
 di Marco Palombi D opo molti magistrati esperti del tema e un pezzo per quanto minoritario del mondo ambientalista, adesso anche la Cassazione esprime alcune perplessità in merito alla legge sugli ecoreati, quella che ha recentemente introdotto le fattispecie di “inquinamento ambientale” e “disastro ambientale” nel codice penale. La relazione sulla legge, stesa come sempre accade per le novità di rilievo dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte, è peraltro simpatetica: in molti punti la nuova legge viene promossa e si sottolinea pure come un intervento legislativo sul tema fosse “atteso da tempo”. Le critiche, però, laddove arrivano, non sono di poco conto e mettono in dubbio gli effetti immaginati dai promotori. Definizioni poco chiare, reati più difficili da dimostrare Il primo rilievo della Cassazione riguarda la formulazione vaga di quando intervengono i reati di inquinamento e disastro ambientale: in particolare l’in - ciso sulla “compromissione” o il “deterioramento” di “porzio - ni estese o significative del suolo o del sottosuolo”:“È indubbio - scrive l’Ufficio del Massimario - che categorie così (in)definite possano provocare incertezze in sede processuale e, soprattutto, dilatare eccessivamente lo spazio di discrezionalità del giudicante”. Se tutto va bene, è la conclusione, ci penserà negli anni la giurisprudenza a mettere le cose a posto. Più profonda, pur nel linguaggio della Suprema Corte, la negatività sottolineata quanto al fatto che la legge vuole punire chi “cagiona” inquinamento o disastro a un ecosistema: essendo i nuovi reati, tecnicamente parlando, “di evento”, la formula presuppone “la necessità - d’ora in avanti - della prova di un diretto ed indiscusso rapporto eziologico, sia pure in termini di concausa, fra la condotta e l’evento di inquinamento, sicché non potranno non essere prese in considerazione ed attentamente valutate le situazioni molto frequenti di preesistente compromissione delle matrici ambientali”. Risultato: “La costruzione normativa del la fattispecie di inquinamento (e di disastro) in forma di reato di evento passa, sul piano processuale e probatorio, attraverso sentieri meno agevoli rispetto a quelli praticabili” nel passato. L’onere della prova, insomma, per l’accusa sarà più pesante. Pure il contestato avverbio “abusivamente” (chiunque cagiona abusivamente un disastro) inserito nella legge non è piaciuto molto alla Cassazione: bisognerà vedere, soprattutto, “se la formulazione rispetta gli in segnamenti dalla Corte Costituzionale in tema di ‘determi - natezza’ della incriminazione penale”. Magari è tutto a posto, ma “è lecito comunque dubitare della concreta necessità dell’in - serimento della clausola”, che poi sarebbe l’avverbio. Casi Eternit? Resterebbero comunque impuniti Lo aveva già fatto notare il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello: il processo Eternit, quello sull’inquina - mento da amianto in Piemonte, anche con questa nuova legge finirebbe in prescrizione. La previsione trova conferma nell’analisi della Cassazione. I sostenitori delle norme sottolineano il raddoppio dei termini della prescrizione, che per il disastro arriva dunque a 40 anni. Solo per quello doloso, però, cioè realizzato nella piena consapevolezza dal colpevole. Una cosa molto difficile da dimostrare, adesso anche di più quanto “per la presenza, nella nuova legge, di corrispondenti e ‘confinanti’figure colpose di inquinamento e di disastro ambientale, che potrebbero fungere da catalizzatore nell’inqua - dramento (in particolare, sub specie di colpa con previsione) della maggior parte dei casi pratici”. Insomma, dice l’Ufficio del Massimario, alla fine verrà usato quasi sempre il disastro colposo, in cui la pena di vent’anni può essere scontata fino a due terzi (e la prescrizione con lei). Fine dei “processi Eternit” visto che la Cassazione ha stabilito - ricorda la relazione della Suprema Corte - che il reato ambientale finisce nel momento in cui finisce l’atto che lo causa (e la nuova legge di questo non si occupa). Esempio: quando la fabbrica chiude comincia a correre la prescrizione, ma gli effetti del reato a volte ci mettono molti anni a manifestarsi. Risultato: gli inquinatori devono solo tirarla per le lunghe. Facile, come scrive anche la Cassazione, con questa legge. il fatto quotidiano 4 giugno 2015

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