Diciamolo subito: la
legge sui reati ambientali, che verrà approvata definitivamente dal
Parlamento italiano in queste ore, recependo in qualche modo le
sollecitazioni europee a legiferare in materia, è serva delle
lobbies industriali e favorisce in maniera spudorata gli inquinatori
di professione, complicando a dismisura le fattispecie probatorie.
Tutto quello che sta
avvenendo in Parlamento ha il sapore di una vergognosa costruzione
scenografica nella quale, dietro la facciata di una legge che
intenderebbe colpire i delitti contro l’ambiente, ancora una volta
al bene dei cittadini ed alla tutela della loro salute viene
sfacciatamente anteposto l’interesse del peggior potere economico e
finanziario, con l’effetto devastante di ostacolare, invece che
semplificare, le attività di indagine e giudizio su questa
delicatissima materia.
Siamo, infatti, in
dirittura di arrivo di quello che rappresenta un vero e proprio
salvacondotto per i grandi inquinatori nazionali ed il tentativo di
assestare il colpo definitivo alle legittime proteste dei cittadini
danneggiati da grossi ed inquinanti insediamenti industriali
nazionali: il testo pare infatti scritto appositamente per limitare
le indagini e mettere a rischio molti procedimenti in corso (si
vedano i casi Porto Tolle, Tirreno Power, Ilva).
Non meraviglia affatto che
una simile proposta di legge sia stata sollecitata da personaggi
vicini ad imprenditori arricchitisi con il business delle discariche,
né che si sia determinato in Parlamento un fronte trasversale ed
unanime tra destra e sinistra, responsabili a pari merito di tutti i
provvedimenti e le leggi che hanno legittimato ogni sorta di
affarismo e di uso privatistico dei territori e dei beni collettivi –
in primis l’acqua.
Sconcerta, invece, che in
questo fronte si siano collocati i grillini che fin dall’inizio si
sono resi complici della stesura di un testo equivoco e pasticciato,
tale da offrire innumerevoli scappatoie e tanta benevolenza per gli
inquinatori. Al punto che viene da chiedersi se, questa inedita
convergenza d’interessi con PD, SEL e la destra non sia un caso di
patologica ingenuità o l’ennesima dimostrazione di una plateale
inettitudine politica soprattutto alla luce del fatto che il relatore
di tale testo è Micillo, cittadino della “Terra dei Fuochi”,
sostenuto da suoi colleghi campani, che dovrebbero conoscere molto
bene gli spaventosi interessi industriali e malavitosi che si muovono
dietro il tema dei rifiuti tossici.
Altrettanto inspiegabile è
l’appoggio all’iniziativa parlamentare venuto da tante
associazioni e singoli che in questi giorni non hanno lesinato
appelli per sollecitare una immediata e definitiva approvazione del
testo senza ulteriori modifiche. Se ci è facile comprendere
l’inusitata fretta di Legambiente e di altre lobbies ambientaliste
sempre più protagoniste nel business della cosiddetta green economy,
comprendiamo meno l’incapacità critica di associazioni come Libera
o di comitati che hanno lottato per vedere affermato il principio che
“chi inquina paga”, anche di fronte a critiche severe che a
questo testo di legge continuano a venire da pezzi della
magistratura, da esponenti dei verdi e da tanti attivisti ed anche di
fronte all’imposizione dei petrolieri di cassare dalla legge il
divieto dell’uso dell’air gun. Nell’ultima formulazione del
testo, è stato infatti cancellato il divieto di prospezioni
petrolifere marine con spari di aria compressa nel fondali (norma
introdotta in uno dei passaggi parlamentari), in perfetta continuità
con la politica di devastazione territoriale prevista dallo
SbloccaItalia in merito alle "misure per la valorizzazione
delle risorse energetiche nazionali".
Quanto il disegno di legge
sui reati ambientali in esame fosse inadeguato lo avevamo denunciato
nel nostro comunicato “La grande truffa della legge sui reati
ambientali” del 3 giugno 2014, nel quale segnalavamo alcune
sintomatiche ed inaccettabili storture della legge: la subordinazione
della punibilità del reato di “inquinamento
ambientale”
a violazioni di
disposizioni legislative, regolamentari o amministrative
che rendeva impossibile procedere contro inquinatori che non
sono in violazione della legge o delle continue
deroghe per loro redatte; una
definizione di disastro ambientale non basata su contenuti
chiari e processabili quanto piuttosto sul criterio di una
un’alterazione irreversibile dell'equilibrio dell'ecosistema”, di
per sé assai difficile se non impossibile da dimostrare; una
definizione del reato di disastro ambientale quale reato di
danno e non più di pericolo concreto; l’introduzione infine del
“ravvedimento operoso” con beneficio di riduzione di pena (fino
ai due terzi) per l’inquinatore che si dichiari d’accordo ad
operare una bonifica dei luoghi, magari beneficiando di finanziamenti
pubblici per la stessa bonifica. Analogamente destava preoccupazione
l’inserimento nel Testo unico
ambientale applicato “alle ipotesi
contravvenzionali in materia ambientale che non hanno cagionato danno
o pericolo concreto ed attuale di danno
alle risorse ambientali” ennesimo caso
di condono mascherato,
facilitato dal fatto che nella maggior parte dei casi i reati
ambientali, anche le stesse discariche illegali di rifiuti tossici,
non producono un danno immediato.
Oggi la legge, dopo i
numerosi rimbalzi tra le due Camere, contiene addirittura elementi
peggiorativi rispetto al testo inziale.
In
primo luogo risulta punibile solo chi inquina abusivamente e non chi
lo ha fatto con l’autorizzazione dello Stato (basta avere la VIA,
l’AIA e diventerà impossibile per un magistrato intervenire) e
solo se il danno cagionato è “significativo e misurabile”.
Concetto quest’ultimo vago che, in assenza di criteri per valutare
la significatività e la misura del danno, lascia ampi margini a
scappatoie.
In
particolare, in merito al disastro ambientale, se da un lato si fanno
salvi i casi previsti dall’art. 434 c.p. dall’altro si
circoscrive questo gravissimo reato alla sola casistica di
“abusività”, vincolandone dunque la sua perseguibilità ai soli
casi in cui tale disastro non sia a norma di legge, pur essendo noto
che la maggior parte dei danni industriali sono perseguiti nel pieno
rispetto delle normative vigenti; viene ribadita inoltre
l’identificazione del disastro ambientale con l’alterazione
irreversibile dell’ecosistema o, alternativamente, con una
alterazione la cui eliminazione richiede una “rimozione onerosa”
e “con provvedimenti eccezionali” o relativa all’ “estensione”
del danno. Ancora una volta, quindi, escludendo la fattispecie ben
più efficace di “pericolo concreto”, affinchè chi inquini sia
punito, sarà necessario dimostrare la irreversibilità del danno
(concetto del tutto teorico che andava sostituito con quello ben più
realistico di persistenza nel tempo), produrre dati
certi sull’estensione ed il numero delle persone coinvolte,
nonché la incontrovertibile correlazione tra
decessi, malattie o offese e gli eventi
inquinanti. A meno che non ci si trovi di fronte ad un’altra Seveso
o ad un’altra Bhopal, è il paradiso degli inquinatori. Se
infine i delitti contro l’ambiente sono di natura colposa (che è
poi la casistica prevalente), viene offerto un ricco sconto di pena
agli inquinatori; permane inoltre il “ravvedimento operoso”, con
tutte le ambiguità che tale norma comporta.
Quanto
poi alla parte
sesta-bis inserita nel
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Testo Unico
Ambientale), viene confermata anche nel nuovo testo la logica delle
contravvenzioni con la depenalizzazione e l’archiviazione
generalizzata dei reati che trova ulteriore e drammatica conferma nel
decreto legislativo n. 28/2015 entrato in vigore il 2 aprile 2015
attuativo della delega ricevuta dal Parlamento con la legge n.
67/2014 per "escludere la punibilità di condotte sanzionate con
la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel
massimo a cinque anni” anche per i reati ambientali e contro la
salute pubblica. Per quel che ci riguarda riconfermiamo, dunque,
quanto detto in occasione della prima stesura del testo ovvero che
siamo davanti ad un “condono mascherato”. Inoltre, come
denunciavamo nel nostro comunicato di giugno 2014, “basterà
seguire le prescrizioni indicate dalla polizia giudiziaria e pagare
una sanzione pari ad un quarto del massimo della contravvenzione per
sanare l’illecito e procederne all’archiviazione. Ma quello che
è più grave è che si carichi la polizia giudiziaria di compiti di
carattere tecnico/amministrativo estranei alla sua funzione e alle
sue competenze, rendendo ancora più inefficace l’opera di
prevenzione sul territorio e l’accertamento reale dei danni.
Infatti, a differenza della procedura sin qui adottata, la polizia
giudiziaria (carabinieri, guardia forestale, ecc.) da braccio
esecutivo della magistratura si trasformerà in un organo di
valutazione delle violazioni, impartendo al responsabile del reato le
prescrizioni tecniche e i tempi di risistemazione ambientale, accerta
il loro effettivo adempimento e riscuote la contravvenzione
comunicando al PM l’estinzione del reato affinché ci sia
l’archiviazione. È facilmente immaginabile, alla luce anche della
possibilità data al responsabile del reato di eliminare le
conseguenze pericolose con modalità diverse da quelle prescritte,
come questo possa favorire finte bonifiche, se non addirittura
fenomeni, non estranei sui nostri territori, di collusione e
complicità”.
Si tratta in conclusione
di un testo inaccettabile che, dietro i proclami propagandistici,
piega ancora una volta gli interessi dei cittadini a quello dei
potentati economici di cui la politica si dimostra disciplinata
portavoce e garante di totale impunità. E’ un disegno legge che
continuiamo dunque a definire vergognoso. Come è vergognoso che in
questa tornata elettorale, in particolare in Campania, i partiti
utilizzando strumentalmente l’approvazione di questa legge e le
numerose candidature di presunti elementi della società civile,
puntino a capitalizzare lo sforzo di mobilitazione di quel “fiume
in piena” di cittadini scesi in piazza nel 2013 per difendere il
loro futuro.
Gli effetti di questa
legge finiranno inesorabilmente per colpire proprio le comunità che
da anni lottano contro il ricatto di una maggiore “crescita” o
“maggiore occupazione” a patto che si accetti la devastazione del
proprio territorio, delle risorse naturali e dell’ambiente e dunque
della salute dei cittadini. Coerentemente con il nostro schieramento
dalla parte delle vittime di questo sistema, ci rifiutiamo di essere
complici avvalorando l’idea che da oggi c’è una legge che
colpisce chi inquina ed uccide. Anche in questo caso NOT IN OUR
NAME.
Napoli 19/5/2015
CO.RE.RI (COORDINAMENTO
REGIONALE RIFIUTI CAMPANIA) - RETE CAMPANA SALUTE E
AMBIENTE
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