martedì 26 maggio 2015

Fiumicino, diossina nell’aria dopo il rogo “In 150 intossicati”

NUOVA INCHIESTA DOPO I RILIEVI DI ARPA. AEROPORTI DI ROMA
NEGA. L’ACCUSA: DIPENDENTI AL LAVORO TROPPO PRESTO
“MALORI ED EDEMI” Avviso di garanzia per un dirigente dell’Asl e uno di Adr, gestore dello scalo. Si indaga anche sui materiali usati per i lavori al Terminal 3
 di Valeria Pacelli P roprio nel giorno in cui finalmente il Terminal 3 dell’aeroporto di Fiumicino viene dichiarato pienamente operativo, il sollievo per chi viaggia viene immediatamente smorzato da un dato inquietante: dopo l’incendio, secondo l’Arpa, nell’area c’è una elevata quantità di diossina. Non solo: secondo il sindacato Usb, “nonostante siano passati 18 giorni dall’incendio, i lavoratori continuano ad accusare malori, anche importanti, e a recarsi al Pronto soccorso: risulterebbe che la quota abbia superato i 400 casi solo nella zona di Fiumicino”.È l’ennesimo capitolo, anche giudiziario, della vicenda del rogo all’A e r oporto Leonardo da Vinci, che lo scorso 7 maggio ha raso al suolo cento metri quadri del Terminal 3. DOPO L’I N C H I E STA della Procura di Civitavecchia per incendio colposo (sono già indagati quattro operai addetti alla manutenzione e un dirigente di Adr, coordinatore degli impianti tecnici) adesso i magistrati stanno lavorando su un nuovo filone di indagine, partita dai disturbi alla pelle e alle vie respiratorie riscontrati dopo l’incendio da 150 dipendenti dello scalo. L’obiettivo, adesso, diventa capire se alcune parti del Terminal 3 siano state riaperte troppo in fretta, dimenticando i rischi per la salute di chi ci lavora. Già sono due gli indagati. Si tratta di un funzionario dell’Asl Rm D, nei confronti del quale si ipotizza l’abuso d’ufficio per non essere intervenuto a tutela e nel rispetto dello Statuto dei lavoratori, e di un alto funzionario di Adr (violazione della normativa sulla sicurezza), sospettato di aver fatto lavorare il personale nei giorni successivi al rogo ignorando le norme di tutela della salute. Ipotesi queste tutte da riscontrare. L’inchiesta oltre i disturbi alla pelle e alle vie respiratorie dei 150 dipendenti, si basa anche su un dato fornito dall’Agenzia regionale protezione ambientale (Arpa) che - dopo aver esaminato la qualità dell’aria nella zona - ha evidenziato la presenza di diossina, di Pcb e di furani in quantità rilevante. Un dato che contrasta con quelli di una società privata interpellata da Adr che, proprio recentemente, ha riaperto il “Molo D” del Terminal, previo parere favorevole di un funzionario dell’Asl Rm D. LA SOCIETÀ Aeroporti di Roma – controllata in gran parte dal gruppo Benetton – però fa sapere di non aver ricevuto “nessuna segnalazione da parte di Arpa o dell’Asl Roma D o di altro Ente competente in materia, che confermi la presenza di tale elemento chimico”. Stessa versione fornita da Enac (l’Ente nazionale per l’avia - zione civile) che al contrario starebbe valutando la possibilità di fare un esposto per procurato allarme. Soprattutto perché la notizia della presenza di diossina arriva proprio nel giorno in cui lo stesso Ente, dopo giorni di disagi, faceva tirare un sospiro di sollievo ai viaggiatori e compagnie comunicando che il Terminal 3 è tornato pienamente operativo. INTANTO L’I N C H I E STA del procuratore capo Gianfranco Amendola e del sostituto Valentina Zavatto si allarga. Nel mirino della procura sono finiti anche gli appalti e i materiali utilizzati nei lavori eseguiti negli ultimi tempi nel Terminal 3. Già sono stati acquisiti 18 faldoni di carte presso Adr e società che hanno effettuato i lavori, anche per fare chiarezza sulla tipologia dei materiali utilizzati. “L'iscrizione di nuovi indagati per il rogo al Terminal 3, insieme alla notizia che sono ben 150 i dipendenti dell’im - pianto costretti a cure e trattamenti sanitari, dimostra quanto sia urgente da parte del Parlamento un’iniziativa come il fascicolo d’inchiesta che la commissione Infortuni ha aperto su questo incidente”, afferma la presidente della Commissione infortuni del Senato, Camilla Fabbri (Pd). il fatto quotidiano 26 maggio 2015

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