sabato 23 maggio 2015

A volte il segreto è indispensabile, a proposito della sentenza della discarica di Busi – Montedison

INUTILE SCRUPOLO
Sapere che un membro
del collegio la pensava
diversamente dagli altri,
farne cioè un beniamino o
un bersaglio, non ha nulla
a che fare con la Giustizia

Bruno Tinti
La sentenza della Corte
d’assise di Chieti
sulla discarica di
Bussi ha innescato
polemiche e dibattiti. Le questioni
su cui si discute sono tre.
1) La sentenza è “giusta”?
2) I giudici popolari (alcuni) sono
stati intimiditi?
3) È bene che le diverse opinioni
espresse in camera di consiglio
al momento della decisione siano
note all’esterno?
1 - Una sentenza conforme alla
legge è “giusta” per definizione.
A nulla rileva che la legge applicata
sia iniqua, emanata per
compiacere interessi potenti,
sbagliata tecnicamente. I giudici
non hanno il potere (per fortuna)
di disapplicare o correggere
le leggi che ritengono sbagliate o
ingiuste. Possono, quando ne
sussistono i presupposti, sollevare
eccezioni di legittimità costituzionale;
la Corte deciderà.
Ma le sentenze devono rispettare
il diritto, non la volontà (occasionale)
del popolo. Così se
l’iniqua legge sulla prescrizione
impedisce la condanna del peggiore
dei delinquenti, il problema
non riguarda la sentenza né
ovviamente – il giudice che la
emette, ma il Parlamento che
non modifica la legge. Diversa
cosa è una sentenza emessa per
favorire qualcuno. Questa non è
una sentenza “ingiusta”, è un
crimine. Che va denunciato, da
chiunque, primo tra tutti il giudice
del Collegio che ne sia consapevole
e che non ha potuto
evitarlo perché messo in minoranza.
Qui non è questione di
segreto di camera di consiglio,
ma di rispetto dell’articolo 357
del codice penale che obbliga il
pubblico ufficiale a denunciare i
reati di cui viene a conoscenza.
Per finire, una sentenza che viene
riformata nei gradi di giudizio
successivi non è una sentenza
ingiusta”. Come ho cercato
di spiegare molte volte, le sentenze
successive si eseguono
non perché intrinsecamente
giuste” (potrebbe essere “giu -
sta” quella precedente e “sba -
gliata” quella successiva) ma solo
perché è necessario risolvere i
conflitti per garantire la civile
convivenza. Non ho elementi
per stabilire se la sentenza sulla
discarica di Bussi sia “giusta”,
criminale”o“sbagliata”. Lo decideranno
gli uffici giudiziari di
Campobasso, competenti a giudicare
i magistrati di Chieti.
2 – Pare accertato che il presidente
della Corte d’assise abbia
pronunciato la frase riportata da
due giudici popolari: “Se decidete
per la sussistenza del dolo
(e quindi per la condanna, la
prescrizione non sarebbe scattata)
e se poi in Appello lo escludono,
correte il rischio di
un’azione per risarcimento
danni e potete perdere tutto
quello che avete”. La frase però
si presta a diverse interpretazioni.
I giudici togati potrebbero
essere stati fermamente convinti
della non sussistenza del dolo.
Tanto convinti da ritenere che
una decisione diversa avrebbe
potuto integrare una manifesta
violazione di legge o il travisamento
del fatto o delle prove,
come previsto dalla recente legge
sulla responsabilità civile dei
magistrati. Avrebbero dunque
ammonito i giudici popolari nel
loro interesse. Oppure potrebbero
aver adottato questo sistema
per superare quella che loro
consideravano una irragionevole
impuntatura di persone
non esperte di diritto e cocciutamente
intestardite. E, se così
fosse andata, sarebbe certamente
comportamento censurabile.
Oppure ancora, impegnati a favorire
gli imputati e dunque a
commettere un reato, potrebbero
aver utilizzato questa intimidazione
per perseguire il loro
scopo criminale. In questo caso
la violenza privata commessa
(questo il reato) sarebbe il minore
dei loro problemi.
3 – Nell’ordinamento giuridico
italiano le motivazioni delle decisioni
dei giudici sono sempre
rese note. Le sentenze contengono
le ragioni della decisione, e
se non è così sono riformate nei
successivi gradi di giudizio.
Sempre esplicitano anche le ragioni
opposte, quelle che avrebbero
portato a decisione di senso
contrario, per spiegare perché
non sono state ritenute valide.
E, anche in questo caso, se
così non è, sono riformate. Vi è
dunque una totale trasparenza.
Diversa cosa è dare conto della
opinione dissenziente del giudice
di minoranza. Ciò non solo è
del tutto inutile, ma è anche
dannoso. Inutile perché la sentenza
non perde efficacia se uno
dei componenti del Collegio la
pensava diversamente dagli altri.
Dannosa perché, soprattutto
in un momento storico come
questo, caratterizzato dalla delegittimazione
dei giudici, dellamagistratura nel suo complesso
e, in definitiva, dell’istituzione
stessa di una giustizia amministrata
da magistrati professionisti,
aggraverebbe le polemiche
che puntualmente (e quasi sempre
strumentalmente) imputati
e gruppi di potere di riferimento
sollevano nei confronti di sentenze
che li riguardano. I contrasti
in camera di consiglio sono
di natura tecnica, destinati a
essere riproposti nei gradi successivi
di giudizio, resi noti nelle
sentenze di Appello o Cassazione,
pubblicizzati da giuristi su
riviste tecniche e, sempre più
frequentemente, sugli organi di
informazione. Sapere che il giudice
tale la pensava diversamente
dai suoi colleghi, farne un beniamino
o un bersaglio dell’opi -
nione pubblica, non ha nulla a

che fare con la Giustizia e la Democrazia. il fatto quotidiano 23 maggio 2015 

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