venerdì 6 febbraio 2015

Tritolo e veleni: i misteri delle navi e la ’n d ran g h e t a

NUOVO SEQUESTRO DI ESPLOSIVO. “P ROV I E N E DALLA LAURA C”. IN MARE ANCHE RIFIUTI TOSSICI
 di Lucio Musolino Reggio Calabria C i sono navi e navi in Calabria. Quelle piene di rifiuti radioattivi e quelle con stive cariche di tonnellate di esplosivo. Le prime misteriosamente sono scomparse mentre le altre sono difficili da mettere in sicurezza e restano nella piena disponibilità delle famiglie mafiose. Sono navi che dormono sui fondali calabresi e sulle quali ci guadagna la ’ndrangheta che, a largo delle coste ioniche, ha un vero e proprio supermarket del tritolo C4. Un quantitativo enorme di esplosivo è già stato recuperato e nascosto dalle cosche. Gran parte però è ancora lì, dentro la stiva della “Laura C”, la nave militare silurata e affondata nel 1943 con 7 tonnellate di tnt. Scoperta nel 1970, quella nave è stata abbandonata fino a metà degli anni novanta quando è stata fatta una prima bonifica per impedire, solo in parte, l'accesso alla stiva. Cosa che non riuscì, tanto che nel 2002 con l'operazione “Bumma”, coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri, si scoprì che la 'ndrangheta, e in particolare la cosca Iamonte, riusciva a rifornirsi di tritolo proprio a largo di Melito Porto Salvo. E da qui che si deve partire per capire l'allarme lanciato ieri dal procuratore Federico Cafiero De Raho: “Ancora una volta la ‘Laura C’si conferma il supermarket di tritolo per la ’ndrangheta”. EPPURE DA DUE ANNI sono iniziate le operazioni di bonifica della nave che dovevano prevedere il recupero di tutto l’esplosivo, o almeno di quella parte di cui la ’ndrangheta ancora non si è impossessata. “Con la prefettura - aggiunge il magistrato - si sta tentando di fare in modo che non sia più raggiungibile questo tritolo. Appena qualche mese fa la Marina militare è intervenuta con propri uomini e ha tolto circa 80 chili. Un quantitativo notevole ma il resto non è riuscito a recuperarlo per le precarie condizioni del luogo e della nave. È evidente che la ‘Laura C’continua a essere, per le tonnellate di tritolo che contiene ancora, una fonte di approvvigionamento della ‘ndrangheta”. Ieri i carabinieri hanno eseguito un blitz contro la cosca Franco a cui sono stati sequestrati 5 detonatori e dieci formelle di tritolo che gli accertamenti hanno stabilito essere stato trafugato nella stiva della ‘Laura C’. Così come quello che, nei mesi scorsi, la Procura di Reggio ha inviato ai pm di Caltanissetta che si occupano delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Su questo, però, Cafiero non si sbilancia: “Sono accertamenti che la Procura di Caltanissetta ha fatto ma rientrano in un'altra indagine”. Di sicuro c’è che le famiglie mafiose calabresi “in tante altre occasioni hanno utilizzato il tritolo di quella nave”. Come nell’ottobre 2004 quando alcuni panetti di tritolo sono stati trovato in un bagno di Palazzo San Giorgio, sede del Comune all'epoca guidato da Scopelliti. Tre informative del Sismi, firmate da Marco Mancini, avevano rivelato il luogo esatto dove la ‘ndrangheta aveva lasciato il tritolo. Nonostante sembrerebbe siano stati pagati circa 200 mila euro per quell’informazione, a distanza di 11 anni non si è riusciti a capire quale cosca avrebbe organizzato l'attentato a Scopelliti negli stessi giorni in cui l’Italia ospitava il presidente degli Stati Uniti George Bush, a tre anni dall’attacco alle torri gemelle e in un clima che aveva, a prescindere, il sapore di azioni terroristiche. NON C’È SOLO la “Laura C” nei fondali del mare calabrese ma anche le cosiddette “navi dei veleni” che la ‘ndrangheta avrebbe utilizzato per smaltire rifiuti tossici e radioattivi. Navi affondate o spiaggiate sulle quali non si è mai fatta chiarezza. Tra gli atti desecretati nei mesi scorsi dalla Commissione parlamentare antimafia, c’è pure l’audizione del procuratore di Paola Bruno Giordano che ha indagato sulle rivelazioni del pentito Francesco Fonti circa l'affondamento della Cunsky, il relitto di Centraro, e della più famosa “Jolly Rosso”.“La ‘ndrangheta – ha affermato il magistrato –è solo l’anello terminale della vicenda: i 'soldati', gli esecutori materiali di un affondamento. Si tratta di situazioni gestite ad altissimi livelli”. Rifiuti tossici e radioattivi che, se non affondati con le navi, sarebbero stati interrati, come riporta una nota trasmessa nel 1995 dai servizi al Ministro dell’Interno, “nei tubi del metanodotto o in discariche abusive nella provincia di Reggio Calabria”. Un traffico, gestito dalle famiglie De Stefano, Morabito, Piromalli e Tegano, che “compren - derebbe – scriveva dell’ex Sisde – anche il contrabbando di uranio rosso”. Un anno prima, sempre i servizi, avevano riferito che l'allora latitante Giuseppe Morabito, detto ‘Ti - raddritto’, “avrebbe concesso, in cambio di una partita di armi, l’autorizzazione a far scaricare, nella zona di Africo, un quantitativo di scorie tossiche e presumibilmente, anche radioattive, contenute in bidoni metallici trasportati a mezzo di autotreni”. il fatto quotidiano 6 febbraio 2015

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