LA TESTIMONIANZA
Il padre di Francesco,
morto a 29 anni nello
stabilimento: “Tra t t a to
come un fornitore, non
di carbone, ma di una
vita: quella di mio figlio”
di Antonio Massari
I
l gelo è arrivato ieri mattina,
quando il gup del
tribunale di Taranto,
Vilma Gilli, ha accolto le
eccezioni sollevate dai legali di
Ilva spa, di Riva Fire e di Riva
Forni Elettrici: le tre società sono
escluse dalla responsabilità
civile. In caso di condanna, non
dovranno risarcire le vittime,
perché l’ultimo decreto del Governo
Renzi – equiparando di
fatto l’amministrazione straordinaria
al fallimento – le mette
al riparo dalle pretese risarcitorie.
Le parti civili, in caso di condanna,
potranno rivalersi sui
singoli imputati, oppure rivolgersi
al Tribunale fallimentare
di Milano.
L’IPOTESI del risarcimento non
scompare del tutto, ma diventa
farraginosa, e anche rischiosa:
non è detto che i familiari possano
ottenere ciò che chiedono.
E vedremo perché. “Decreto salva
Ilva? Chiamiamolo con il suo
vero nome: è l’ennesimo decreto
‘ammazza gente’”, commenta
Amedeo Zaccaria, padre di
Francesco, morto a 29 anni su
una gru, lavorando nell’Ilva. “È
l’ennesima manovra politica
perché i Riva possano risparmiare
soldi sulla pelle delle persone.
Da quando ho perso mio
figlio, ho perso anche la fiducia
in qualsiasi istituzione, ho avuto
un infarto per la rabbia accumulata
in questi anni. La realtà è
semplice: c’è chi all’Ilva ha fornito
il carbone. Bene, da padre le
dico che oggi anch’io mi sento
trattato alla stregua di un fornitore.
Il fornitore di una vita
umana: quella di mio figlio, che
vale quanto il carbone, se non di
meno”. E quindi: da ieri, la strada
per ottenere il risarcimento,
si trasforma in un penoso percorso
a ostacoli, come se già non
bastasse la pena delle vittime e
dei loro famigliari. Parliamo dei
famigliari degli operai morti negli
incidenti sul lavoro, o ammazzati
dal cancro, oppure degli
allevatori che hanno dovuto
abbattere centinaia di capi di bestiame,
dei miticoltori che hanno
perso il lavoro, a causa
dell’inquinamento che ha avvelenato
il mar Piccolo e riempito
di diossina le sue cozze. “Due casi
di tumore in più all’anno...
una minchiata...”, minimizzava
Fabio Riva, al telefono, leggendo
una relazione tecnica dell’Arpa.
“È la morte del diritto e della democrazia
– commenta Angelo
Bonelli, portavoce nazionale dei
Verdi, anch’essi tra le circa 800
parti civili –negare i risarcimenti
ai parenti delle vittime e alle
altre parti civili significa condannarli
ancora a morte. Questa
norma consente alle aziende che
hanno realizzato enormi profitti
sulla salute di operai e cittadini
di poter conservare i propri tesori
nei conti correnti bancari.
Grazie a un provvedimento dello
Stato italiano, da oggi, viene
vanificato il principio che chi inquina
paga”. Oggi il dossier Ilva
sarà nuovamente sul tavolo di
Palazzo Chigi: è previsto un vertice
con il presidente del Consiglio,
Matteo Renzi, per definire
gli emendamenti al decreto
all’esame del Parlamento.
Ma nel frattempo, da ieri, le tre
società dei Riva sono escluse dal
risarcimento per le vittime nel
processo penale in corso, nel
quale Nicola e Fabio Riva sono
accusati di associazione per delinquere
finalizzata al disastro
ambientale: l’Ilva è entrata in
amministrazione straordinaria,
mentre le altre due società, al
momento dell’incidente probatorio
del 2012, non erano presenti.
È IN BASE a questo mix, tra il
decreto Marzano e l’assenza
nell’incidente probatorio, che le
società approdano a questo risultato.
“Oltre il danno – continua
Amedeo Zaccaria - dobbiamo
subire anche la beffa: mio figlio
non c’è più da tre anni, e ogni
giorno devo lottare con il fatto
che un processo diventa una
partita a poker, bluff inclusi, e da
padre ho il diritto di dubitare
che tutto questo sia stato programmato,
che le istituzioni
manovrino per evitare danni ai
Riva e a tutti gli imprenditori
che si comportano come loro. Io
l’ho perso, non potrò più riaverlo,
aveva 29 anni e da soli 4 giorni
stava coronando il suo sogno
di formarsi una famiglia. Sulla
pelle di mio figlio quale partita si
sta giocando?”. Una partita
molto complessa. Perché, in caso
di condanna, al termine del
processo penale. Amedeo e le altre
parti civili, potranno chiedere
ai Riva il risarcimento del
danno, ma solo come persone
fisiche. E non è detto che il patrimonio
personale dei singoli
imprenditori sia sufficiente a risarcire
i danni che, teoricamente,
potrebbero arrivare fino a 30
miliardi.
Basti pensare che quando la
procura di Milano ha sequestrato
1,2 miliardi agli imprenditori
dell’acciaio, in realtà ha trovato
soltanto 600 milioni. A quel
punto, le parti civili, dovrebbero
avviare nuovi accertamenti patrimoniali,
con ulteriori spese e
perdite di tempo. Oppure rivalersi
in sede fallimentare, come
“creditore privilegiato”, perché
il credito deriva dal risarcimento
per il reato subìto.
“Sono equiparato a un creditore,
a un fornitore di carbone, come
se avessi fornito anche la
materia prima: mio figlio”, dice
il padre di Francesco Zaccaria
che, paradosso del linguaggio
giuridico, tra i creditori risulterebbe
persino un “privilegiato”. il fatto quotidiano 5 febbraio 2015
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