lunedì 19 gennaio 2015

Una nuova commissione di inchiesta tornerà a occuparsi di uranio impoverito

Non si indagherà più solo sui casi di militari deceduti di cancro al rientro dalle missioni all’estero ma anche su tutti quei soldati in vita che, ancora oggi, aspettano gli indennizzi da parte del ministero per potersi curare e che hanno riportato danni permanenti che hanno pregiudicato le loro vite. Nuove morti sospette, nuovi ammalati, indennizzi non erogati o inadeguati alle vittime e infine neonati - figli di militari - venuti al mondo con gravi malformazioni.

 
Una nuova commissione di inchiesta tornerà a occuparsi di uranio impoverito. E con una novità: non si indagherà più, solamente, sui casi di militari deceduti di cancro al rientro dalle missioni all’estero ma di tutti quei soldati in vita che, ancora oggi, aspettano gli indennizzi da parte del ministero per potersi curare e che hanno riportato danni permanenti che hanno pregiudicato le loro vite: casi di infertilità permanente e “vittime terze”, tanto per fare unesempio. Ovvero, figli degli ex militari nati con gravissime anomalie. 

Ad annunciare la nuova battaglia, durante la IV commissione Difesa della Camera, è stata la deputata Sel Donatella Duranti, tarantina, dipendente civile delle forze armate. La commissione sarà composta da 21 deputati e dovrebbe arrivare a ottenere i primi risultati già dopo un anno. “Lo dobbiamo ai tanti militari che hanno onorato il nostro Paese, che si sono ammalati e che ancora oggi sono in attesa di risposte”, ha dichiarato. 

Una situazione allarmante che l’Espresso aveva già denunciatodi uranio impoverito si continua a morire, mentre i militari continuano a sentirsi abbandonati da quello stesso Stato che hanno servito con onore vestendo la divisa. 

Eppure l’ultima commissione d’inchiesta del Senato, conclusa nel 2013, non aveva avuto l’esito sperato. “Le relazioni conclusive delle ultime indagini parlamentari che si sono succedute in questi ultimi anni - spiega Duranti - hanno fatto emergere moltissimi elementi utili. Ma non sono state esaustive”. A livello probatorio, infatti, finora è stato quasi impossibile dimostrare in maniera incontrovertibile il nesso di casualità fra l’esposizione dei militari italiani in missione all’estero (soprattutto Kosovo e Balcani) ai proiettili all’uranio impoverito e i casi di tumore. 

Stavolta, però, le cose potrebbero andare diversamente. Proprio perché i risarcimenti che moltissimi ex soldati stanno ancora aspettando passano proprio da questi risultati. “Finora le domande risarcitorie che hanno trovato accoglimento sono in gran numero inferiori rispetto a quelle presentate”, conferma la deputata. 

Numeri già resi noti dall’Espresso: nel 2010 è stato istituito un fondo da 10 milioni di euro all’anno destinato alle vittime, che oggi ammonta a 30 milioni. Da allora agli sportelli del ministero sono arrivate 532 domande da parte di militari. Di queste, fanno sapere dalla Difesa, dopo essere state esaminate da un’apposita commissione medica, “circa il 25% sono state accolte”. Oltre il 70%, quindi, sono tornate al mittente. 

Si tratta di uomini in divisa che hanno servito per decenni la bandiera italiana, variegati per età e appartenenza militare, che di rientro dalle missioni all’estero si sono scoperti malati di cancro. Patologie molto simili fra di loro: tumori all’intestino, alla pelle, alle vie respiratorie, neoplasie polmonari, linfomi di Hodgkin. E frequentissimi casi di infertilità maschile, come testimoniano i risultati dell’ultima commissione d’inchiesta. Effetti deleteri che ci possono mettere anche 15 anni a manifestarsi.

Come è successo a Paolo, 35 anni, militare ancora in servizio nell’Esercito Italiano, partito in missione nel reggimento Aviazione quando aveva appena compiuto 20 anni. Che, una volta tornato a casa, si è scoperto malato di cancro al testicolo. Tramite il suo avvocato Stefano Caroli ha più volte chiesto aiuto al ministero della Difesa, formulando la richiesta di risarcimento con in allegato la documentazione medica. Ma - assicura il suo legale - “da due anni a questa parte non ha mai ricevuto neppure una risposta”. E così, pochi giorni fa, ha deciso formalmente di citare in giudizio presso la Procura di Rimini il ministero della Difesa. Anche perché le sue condizioni cliniche si sono aggravate. “Proprio di recente il mio assistito, pur guarito dal tumore dopo l’asportazione del testicolo, ha scoperto di aver perso definitivamente la capacità di procreare”, ha spiegato Caroli. 

Fra i militari di ritorno dalle missioni all’estero c’è poi chi, invece, i figli riesce a farli. Però nascono con gravi malformazioni. Nel linguaggio tecnico vengono definite “vittime terze”, perché sono loro a pagare indirettamente le conseguenze delle esposizioni dannose all’uranio subite dai padri. “Si tratta di numeri abnormi rispetto alla probabilità statistica descritta dalla letteratura medica - si legge nel documento che annuncia la nuova commissione di inchiesta - ma finché non sarà stabilito con certezza il nesso di casualità le loro famiglie non potranno avere adeguato sostentamento”.  E i risarcimenti, anche quando arrivano, ci mettono anni per essere riconosciuti. Come è successo al vicebrigadiere dell’Arma dei carabinieri Gaetano Luppino, che tra il 2003 e il 2004 ha partecipato a missioni in Bosnia e in Kosovo con la Msu (Multinational Specialized Unit), l’unità di forze di polizia che aveva il compito di lotta al crimine organizzato e al terrorismo. Dal 2008 a oggi ha subito quattro operazioni chirurgiche, l’ultima pochi mesi fa. Ma solo dopo anni di interventi, cure domiciliari, chemioterapie e sue spese e due vittorie in Tribunale gli è stato riconosciuto un risarcimento di 140mila euro, che il ministero della Difesa ha provveduto a versargli solo lo scorso 19 dicembre. 

“I soldi alla fine li ho avuti, ora posso anche andarmene in pace - si sfoga Luppino - le scuse, invece, quelle non me le ha fatte nessuno”. http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/01/19/news/una-nuova-commissione-di-inchiesta-tornera-a-occuparsi-di-uranio-impoverito-1.195419?ref=HEF_RULLO

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