venerdì 2 gennaio 2015

Apicultura: nel paradiso del miele

di Silvia Franco | 1 gennaio 2015 “L’ape regina è circondata da alcune ‘fedelissime’. La sua corona è un cerchio formato dalle api operaie che le ronzano intorno, la nutrono e la proteggono. Poi ci sono le api guardiane, a protezione dell’alveare, se porti da mangiare entri, altrimenti torna quando avrai fatto il tuo dovere. Ecco allora che il fiore è un campo di atterraggio morbido dove le api operaie arrivano per andare a pescare il nettare e si sporcano la schiena con il polline”. Me lo spiega il signor Silvano Maestranzi, apicoltore a Giustino, in Val Rendena, dove insieme alla moglie gestisce un negozio di prodotti apistici trentini, “Dalla Natura la Salute”.
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Fuori nevica, le api aspettano il passare dell’inverno nelle loro arnie, vicine vicine per ripararsi dal freddo. Non è la prima volta che capito in questo paradiso del miele, mi piace farmi raccontare da Silvano il mondo delle api, un vero e proprio sistema di autogestione efficace da millenni. Ma non è tutto rose e fiori. L’apicoltura ogni giorno deve combattere contro la minaccia dell’inquinamento. L’ape è il primo filtro del territorio: se muoiono le api vuol dire che il territorio è inquinato. Il miele che producono, infatti, non è altro che un “rigurgito” digestivo del nettare. E l’ape non digerisce i veleni. Quindi se il territorio è inquinato, l’ape inevitabilmente si estinguerà.  In Italia per il momento non c’è un’emergenza, ma sono i Paesi dell’Est, come Romania o Ungheria, dove esistono vere e proprie scuole di apicoltori, le zone più attente alla salute dell’ape e questo è un vantaggio sia in termini di qualità della produzione, sia per quanto riguarda ilbusiness del biologico. Un business che arriva a 265 miliardi l’anno. Invece nella regione del Sichuan, in Cina, non ci sono più api. Peggio, non ci sono più insetti. Il livello di inquinamento è spaventoso e il lavoro delle api operaie viene sostituito dall’impollinazione manuale di lavoratrici pagate una misera.
E’ evidente che l’impollinazione non può essere messa in mano all’uomo. Non è solo una questione di soldi – le api fruttano 265 miliardi di euro l’anno – ma anche di cibo. Se manca l’impollinazione da insetto mancano frutta e verdura. L’80% della vegetazione mondiale deriva dall’impollinazione. Secondo le stime della Fao, le api si occupano di 71 delle circa 100 colture che forniscono il 90% dei prodotti alimentari a livello mondiale. In sostanza, come disse lo stesso Einstein: “Se muore l’insetto impollinatore, entro 5 anni moriamo anche noi”.
Siamo alla fine della nostra chiacchiera, si sentono i passi che dal salone arrivano verso la cucina. Sono quelli di un bambino. Silvano naturalmente riconosce subito il nipotino, prima ancora che compaia. Calzamaglia rossa, pile azzurro, tre anni appena compiuti. “Eccolo l’apicoltore del futuro!”. E se non sarà lui a seguire le orme del nonno, speriamo almeno che siano molti dei suoi coetanei.
In questi mesi di attenzione alle storie di persone che con il loro sudore cercando sì di fare business ma allo stesso tempo di mettersi dalla parte della Terra, voglio chiudere questo post con un auspicio. Mi auguro che nel 2015 impareremo ad essere tutti più consapevoli del valore del territorio che ci circonda. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/01/apicultura-nel-paradiso-miele/1308678/

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