mercoledì 3 dicembre 2014

Bhopal ancora aspetta la bonifica dopo 30 anni dall'incidente dell'Union Car­bide

India. A trent'anni dalla tragedia il sito resta contaminato. Ma per Dow Chemical il caso è chiuso 

lla notte tra il 2 e il 3 dicem­bre del 1984 si è con­su­mata a Bho­pal, Mad­hya Pra­desh, «la più grande tra­ge­dia indu­striale della sto­ria». È un vir­go­let­tato inteso ormai come tra­ge­dia per anto­no­ma­sia, men­tre per la mul­ti­na­zio­nale ame­ri­cana Union Car­bide — pas­sata sotto il con­trollo della sem­pre ame­ri­cana Dow Che­mi­cal nel 2001 — respon­sa­bile della fab­brica di pesti­cidi di Bho­pal, si è trat­tato e ancora oggi si tratta di «inci­dente». Ter­mine fata­li­stico, nella gestua­lità indiana sarebbe accom­pa­gnato da mani rivolte al cielo fatte roteare inces­san­te­mente, come a cogliere una mela dall’albero: «kya kare?» si direbbe, «cosa pos­siamo farci?». A trent’anni di distanza la let­te­ra­tura gior­na­li­stica e giu­ri­dica intorno ai fatti di Bho­pal ha assunto ormai dimen­sioni enci­clo­pe­di­che e come anda­rono le cose quella notte è ormai un assunto di domi­nio pubblico. La fab­brica gestita dalla suc­cur­sale indiana di Union Car­bide, con­trol­lata al 51 per cento dalla casa madre ame­ri­cana e al 49 da ban­che sta­tali indiane, ver­sava in con­di­zioni di sicu­rezza pre­ca­rie: manu­ten­zione appros­si­ma­tiva, mate­riali in stato di semi abban­dono, con­di­zioni che nel secon­da­rio in India sono ancora oggi molto spesso la norma. A causa di un’infiltrazione d’acqua — che Union Car­bide imputa a un atto di sabo­tag­gio — si inne­sca una rea­zione chi­mica all’interno di una delle tani­che con­te­nenti iso­cia­nato di metile, liquido alta­mente tos­sico uti­liz­zato nella pro­du­zione pla­sti­che e diser­banti. In forma gas­sosa, una nuvola tos­sica viene spri­gio­nata dalla fab­brica, rag­giun­gendo in poche ore il vicino cen­tro abi­tato. Nel giro di un paio di giorni i morti accer­tati sareb­bero stati oltre due­mila, senza con­tare l’alone di morte pro­pa­ga­tosi nelle vici­nanze dell’impianto. Alberi rin­sec­chiti, ter­reni e acqua avve­le­nati, migliaia tra capre e muc­che imme­dia­ta­mente abbat­tute per pro­vare ad argi­nare il contagio. Le morti cau­sate diret­ta­mente dalla per­dita tos­sica saranno oltre 5000 (tutti morti di asfis­sia), 4000 i disa­bili. Le com­pli­ca­zioni di carat­tere medico, secondo i nume­rosi gruppi di soprav­vis­suti e ong locali, hanno ucciso altre 25mila per­sone in trent’anni men­tre oltre mezzo milione oggi vive in uno stato di disa­bi­lità per­ma­nente all’apparato cogni­tivo, ai pol­moni o ai reni. Nella Bho­pal avve­le­nata il tasso di mor­ta­lità infan­tile, dal 3 dicem­bre 1984, è aumen­tato del 300 per cento. Del 200 per cento quello di morte endou­te­rina fetale. La richie­sta di risar­ci­mento e di giu­sti­zia per via legale ancora oggi rimane lar­ga­mente ine­vasa, com­plice una sostan­ziale ina­zione delle auto­rità indiane. All’indomani della tra­ge­dia, il governo indiano fece pas­sare una legge che per­met­teva al governo stesso di cen­tra­liz­zare le richie­ste di risar­ci­menti in sede legale: di fatto il governo si fece por­ta­voce unico delle istanze dei soprav­vis­suti, ingag­giando una bat­ta­glia legale, in ter­ri­to­rio indiano, con­tro Union Carbide. La richie­sta ini­ziale di 3,3 miliardi di dol­lari di risar­ci­mento venne dra­sti­ca­mente ridi­men­sio­nata davanti al rifiuto di Union Car­bide, accon­ten­tan­dosi di 470 milioni di dol­lari, pagati a New Delhi nel 1989. Una parte dei soprav­vis­suti rice­vette, in media, 400 dol­lari a testa, men­tre altre decine di migliaia con pro­blemi cro­nici di respi­ra­zione, vista, emi­cra­nie, non rien­trando nel com­puto uffi­ciale delle «vit­time di Bho­pal» sti­lato dal governo, sono state sem­pli­ce­mente dimenticate. Lo scorso novem­bre, avvi­ci­nan­dosi il tren­ten­nale della strage, decine di cit­ta­dini di Bho­pal hanno mani­fe­stato davanti al par­la­mento di New Delhi, chie­dendo che il nuovo governo Modi rical­co­lasse il numero degli aventi diritto a com­pen­sa­zioni e ria­prisse la disputa con la nuova pro­prietà di Dow Che­mi­cals. Dopo sei giorni di scio­pero della fame por­tati avanti da sei donne, un fun­zio­na­rio del Mini­stry of Che­mi­cals ha rag­giunto i mani­fe­stanti annun­ciando che il governo si sarebbe impe­gnato a rive­dere le cifre e richie­dere una giu­sta com­pen­sa­zione per le vittime. Nel frat­tempo il ter­ri­to­rio di Bho­pal con­ti­nua a essere con­ta­mi­nato: liquami tos­sici fuo­rie­scono senza solu­zione di con­ti­nuità dalla fab­brica abban­do­nata, avve­le­nando i corsi d’acqua e aggiun­gen­dosi ai resi­dui di mer­cu­rio e altre sostanze tos­si­che risa­lenti ai ver­sa­menti della fab­brica in atti­vità. Secondo le stime, i 6,4 ettari cir­co­stanti l’impianto sareb­bero tec­ni­ca­mente inu­ti­liz­za­bili. Letali. Dal 1984 a oggi nes­suna ope­ra­zione di boni­fica è stata por­tata avanti né dal governo né da Union Car­bide, che si è limi­tata ad aprire un ospe­dale per il trat­ta­mento spe­ci­fico dei soprav­vis­suti. Nes­suno vuole pren­dersi la respon­sa­bi­lità eco­no­mica delle one­rose ope­ra­zioni di puli­zia, tanto che per Dow Che­mi­cal l’affare Bho­pal è un caso chiuso, anche dal punto di vista legale. Nel giu­gno del 2010 sette ex dipen­denti della suc­cur­sale indiana di Union Car­bide — tra cui il pre­si­dente — sono stati con­dan­nati a due anni di reclu­sione e una multa di 2000 dol­lari. A tutti furono imme­dia­ta­mente garan­titi gli arre­sti domiciliari. Nel 1991 il tri­bu­nale di Bho­pal con­dannò l’allora pre­si­dente di Union Car­bide War­ren Ander­son per omi­ci­dio col­poso, reato puni­bile fino a un mas­simo di dieci anni di car­cere. Ander­son non si pre­sentò mai in aula in India. Il governo indiano com­pilò e pre­sento le pra­ti­che per l’estradizione solo nel 2003, ini­zia­tiva alla quale Washing­ton si oppose con­si­de­rando le accuse for­mu­late basan­dosi su prove «insuf­fi­cienti». Secondo Union Car­bide, la respon­sa­bi­lità dell’«incidente» doveva essere inte­ra­mente impu­ta­bile alla suc­cur­sale indiana. Il 29 set­tem­bre 2014 War­ren Ander­son «è morto in una cli­nica pri­vata a Vero Beach, Cali­for­nia, all’età di 93 anni. La noti­zia, per volontà della fami­glia, non venne comu­ni­cata ai media per un mese. Secondo quanto ripor­tato da quo­ti­diano indiano The Hindu, quando a Bho­pal si venne a sapere del decesso di War­ren, un gruppo di soprav­vis­suti si radunò fuori dalla fab­brica abban­do­nata por­tando un grosso ritratto dell’ex pre­si­dente di Union Car­bide. E a turno, uno per uno, ci spu­ta­rono sopra.http://ilmanifesto.info/bhopal-ancora-aspetta-la-bonifica/

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