mercoledì 2 luglio 2014

a tutto gas SOUTH STREAMIL TUBO CHE SERVE A MOSCA MA SPAVENTA L’EUROPA

IL MAXI-CONDOTTO Non possiamo contare sul gas
americano e restiamo dipendenti da quello fornito
da Putin. Che non si fida del tutto dell’Italia
SOUTH STREAMIL TUBO
CHE SERVE A MOSCA
MA SPAVENTA L’EUROPA
POTERE GAZPROM
Dopo le tensioni del 2006
e 2009, il piano russo è stato
quello di aggirare l’Ucraina,
a Nord col gasdotto North
Stream verso la Germania
e a Sud con il South Stream
SENZA ALTERNATIVE
Bruxelles ha sempre sostenuto
il progetto alternativo
Nabucco, poi abbandonato
Ora si è rassegnata
a un rapporto di mutua
dipendenza con la Russia
di Gionata Picchio
Nel braccio di ferro politico
e diplomatico
tra Europa e Russia,
che si è inasprito la
scorsa settimana con l'accordo di
libero scambio tra Unione europea
e Ucraina, le infrastrutture energetiche
come il South Stream sono
diventate pedine chiave. Ma a chi
serve il nuovo maxi-gasdotto? In
certa misura proprio all'Europa,
più di quanto Bruxelles voglia ammettere.
Oltre naturalmente alle
imprese partecipanti, tra cui le italiane
Eni e Saipem. Ma più di tutti
serve alla Russia, che dipende dai
ricavi dell'export più che l'Europa
dal suo gas.
L'Europa copre col metano quasi
un quarto del suo fabbisogno di
energia primaria. Il 30 per cento
del gas che consuma viene dalla
Russia e una metà di questo, circa
80 miliardi di metri cubi all'anno,
transita per l'Ucraina. Negli ultimi
anni le dispute Mosca-Kiev sul gas
hanno portato all'interruzione dei
flussi all'Europa nel 2006 e nel
2009. La risposta russa è stata tentare
di aggirare l'Ucraina, a Nord
col gasdotto North Stream con approdo
in Germania, capacità 55
miliardi di metri cubi all'anno,
inaugurato nel 2011-12, e a Sud
con il South Stream, 63 miliardi di
metri cubi all'anno, invece ancora
da costruire.
I soci del tratto offshore del progetto,
che attraverserà il Mar Nero
per poi proseguire via Balcani fino
in Europa centrale, sono la russa
Gazprom col 50 per cento, Eni col
20, la francese Edf col 15 e la tedesca
Wintershall, controllata di
Basf (15). La decisione finale di investimento
sul tratto sottomarino è
stata presa nel 2012. L'avvio della
prima linea è atteso a fine 2015 e
dell'ultima nel 2018.
Con lo scoppio della crisi russo-
ucraina, la tensione sul progetto
è cresciuta. Se Bruxelles, da sempre
sostenitrice del progetto rivale Nabucco,
oggi tramontato, non aveva
RIPENSAMENTI
Alitalia, ora le Poste
vogliono vederci chiaro
Per Graziano Delrio sottosegre -
tario alla Presidenza del Consiglio,
è stato fatto “qualche passo
avanti ”. Ma la vicenda Alitalia si
trascina lenta come una fatica irrisolvibile.
Se ieri il governo ha
convocato a Palazzo Chigi l’amministratore
delegato, Gabriele
del Torchio, le banche creditrici e
gli azionisti da uno di questi,
Francesco Caio, Ad delle Poste si
è sentito porre una serie di dubbi,
anche pesanti. “L'alleanza tra Alitalia
e Etihad può creare le premesse
per il potenziamento e il
rilancio della compagnia aerea -
scrive l’azienda postale - Non sono
però ancora stati forniti da
Alitalia tutti gli elementi necessari
ad una compiuta valutazione
dell’impatto che l’accordo potrà
avere sulla struttura del capitale
e del debito dell’azienda”. Caio si
dice ancora interessato alle “sinergie
industriali e commerciali
da realizzare nella logistica” ma
vuole vederci chiaro. Nulla da dire,
però, sul fatto che l’ingresso
di Poste in Alitalia è oggetto di
una lettera della Commissione
europea a cui il governo dovrà rispondere
entro il 22 luglio. La Ue,
infatti, vede un aiuto di Stato mascherato
che il governo italiano
nega. Ma nessuno ci crede.
mai guardato South Stream con
simpatia, da febbraio è passata a un
aperto ostruzionismo. Arrivando
di recente a chiedere e ottenere dalla
Bulgaria, paese di transito del gasdotto,
l'interruzione dei lavori sul
tratto locale avviati a fine 2013.
Il bluff
di Bruxelles
Nella linea europea non mancano
le contraddizioni. Incoraggiando
Kiev a spostare il suo asse verso
Ovest, l'Europa ha contribuito a innescare
una transizione politica dal
futuro incerto. Conseguenza immediata
e certa però è stata una
nuova disputa sul gas tra Mosca e
Kiev che la Ue fatica a gestire e che
minaccia la sua stessa sicurezza
energetica.
Nella partita con Mosca, Bruxelles
insiste inoltre nel mostrare una
carta che non ha: la possibilità di
rinunciare dall'oggi al domani al
gas russo. In realtà è vero che col
calo dei consumi degli ultimi anni e
la crescita delle rinnovabili il potere
contrattuale della Russia si è
fortemente ridimensionato. E che
una limitata interruzione dei flussi
sarebbe gestibile. Ma tutt'altra cosa
è pensare di fare di colpo a meno di
130 miliardi di metri cubi di gas
ogni anno.
Nessuna delle alternative ipotizzabili,
infatti – dall'impostazione dagli
Stati Uniti dello shale gas (quello
estratto dalle rocce) alle forniture
dal Mar Caspio – può coprire
l'ammanco almeno nel medio termine.
Nella migliore delle ipotesi
gli Stati Uniti esporteranno circa
20 miliardi di metri cubi annui dal
2015 e altrettanti dal 2018, e per
averli l'Ue dovrà competere con i
prezzi dell'Asia. Quanto al Caspio,
se il gasdotto Albania-Puglia TAP
riuscirà a superare le opposizioni
locali, porterà 10 miliardi di metri
cubi annui di gas azero dal 2019.
Infine, l'Europa può certo ridurre il
peso del gas nel proprio mix energetico
ma anche questo richiede
tempo e risorse. Non a caso, in conclusione,
secondo il think tank
Oxford Institute for Energy Studies,
da un punto di vista puramente
commerciale la scelta migliore
per l'Ue sarebbe di sostenere South
Stream.
Meglio l’Austria
che Tarvisio
Al maxi-gasdotto, che oltre a Eni
vede in campo Saipem nella posa
della prima linea, non mancano
del resto neppure i sostenitori. Nato
nel 2007 proprio in seno alla
partnership tra Eni e Gazprom,
South Stream ha sempre goduto
dell'appoggio dei governi italiani,
sia con l'ex premier Romano Prodi
a cui, come racconta lui stesso, il
Cremlino offrì perfino la presidenza
del consorzio dopo la fine del
suo governo – sia con Silvio Berlusconi,
fino ad arrivare all'attuale
governo.
Ciò non ha impedito tuttavia a
Gazprom di spostare nei giorni
scorsi dall'Italia all'Austria all'Italia
il punto di arrivo europeo della pipeline.
Interpellato dal Fatto Quotidiano
l'ufficio stampa di Gazprom
conferma che con gli accordi
perfezionati la scorsa settimana
con l'austriaca OMV – per anni sul
fronte opposto come capofila del
Nabucco – “l'approdo di South
Stream in Europa diventa Baumgarten
e non più Tarvisio”, come
previsto negli ultimi anni.
Lo hub austriaco è oggi il più importante
dell'Europa centrale e da
qui il gas potrà proseguire per l'Italia
attraverso il già esistente gasdotto
TAG, controllato dalla Cassa
depositi e prestiti, ha rimarcato
nei giorni scorsi il numero due di
Gazprom Alexander Medvedev.
In ogni caso il presidente del Consiglio
Matteo Renzi e il ministro
dello Sviluppo Federica Guidi ribadiscono
spesso la strategicità
dell'opera per il nostro Paese. E
d'altra parte l'Italia non è l'unica
voce "stonata" con le posizioni di
Bruxelles verso la Russia. Ci sono i
paesi di transito del South Stream,
come la Bulgaria o l'Ungheria.
Costretti
alle esportazioni
Altri Paesi sono legati a Mosca da
una forte interdipendenza commerciale.
Oltre alla stessa Italia è il
caso della Germania, in prima linea
(almeno fino a poco fa) nell'auspicare
una soluzione negoziale alla
crisi ucraina. O della Francia, che
partecipa a South Stream con Edf e
con la Russia ha in ballo una fornitura
di navi porta-elicotteri per
1,2 miliardo di euro.
In ogni caso la più interessata alla
realizzazione di South Stream resta
la Russia. Negli ultimi anni con la
crisi dei consumi e l'aumento della
concorrenza sul mercato Ue, la leadership
di Mosca come fornitore di
gas dell'Europa è finita sotto pressione.
E in questo contesto di domanda
già debole le politiche Ue su
efficienza e rinnovabili hanno progressivamente
eroso spazi di mercato
al gas e il processo è destinato
a proseguire.
Per l'economia russa invece l'esportazione
di gas rimane vitale
per far quadrare i conti. Come
emerge da un'analisi di Federico
Pontoni e Antonio Sileo pubblicata
sul sito lavoce.info, ad esempio,
Gazprom realizza la stragrande
maggioranza dei propri margini
con l'export in Europa. Numeri
che i recenti accordi russi
con la Cina, pur aprendo prospettive
di diversificazione nel
medio termine, non bastano
per ora a riequilibrare.
il fatto quotidiano 2 luglio 2014


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