domenica 22 giugno 2014

Latina scalo ecco gli elaborati della centrale a biogas



. Romani
SINTESI NON TECNICA
DELLO STUDIO DI IMPATTO AMBIENTALE
ai sensi del D. Lgs 152/06 e s.m.i.
30
(Geol. Gabrio Romani)
Via Adriatica 111/G 06135 Perugia
g.romani@igrsrl.com
Committente: Progettista: Rif. Job. Rev. Data Pag. Luglio
RECALL Latina Srl Ing. Ferdinando Ferdinandi 002amb/2013 08/2013 220/5160 Sintesi non tecnica
INDICE
INTRODUZIONE
UBICAZIONE DEL PROGETTO
ALTERNATIVE PROGETTUALI
1 QUADRO DI RIFERIMENTO PROGRAMMATICO
1.1 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio
1.2 Piano Territoriale Paesistico Regionale
1.3 Piano di Tutela della Acque
1.4 Piano per il Risanamento della Qualità dell’Aria
1.5 Piano Stralcio dell’Assetto Idrogeologico
1.6 Regio Decreto n. 3267 del 30/12/1923 “Vincolo Idrogeologico”
1.7 Piano Regolatore Generale (PRG) del Comune di Latina
1.8 Piano Energetico Regionale
1.9 Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti
2 QUADRO DI RIFERIMENTO PROGETTUALE
2.1 Introduzione e aspetti generali
2.2 Descrizione del processo produttivo nel suo complesso
3 CARATTERISTICHE DELL’IMPATTO SULLE SINGOLE COMPONENTI E INTERVENTI DI
MITIGAZIONE
3.1 Aspetti climatici e impatti in atmosfera
3.1.1 Emissione in atmosfera dei gas di scarico dei motori endotermici di combustione del biogas
3.1.2 Polveri
3.1.3 Emissioni odorigene
3.2 Idrogeologia
3.2.1 Impianti di gestione delle acque di prima pioggia
3.2.2 Impianti di trattamento delle acque di processo
3.2.3 Compatibilità pozzo - acquifero
3.3 Aspetti geologici e sismici
3.4 Uso e protezione del Suolo
3.5 Aspetti vegetazionali
3.6 Aspetti faunistici
3.7 Salute Pubblica
3.7.1 Rumore
3.7.2 Traffico indotto
3.8 Aspetti paesaggistici
3.9 Interventi di mitigazione ambientale
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INTRODUZIONE
Il presente documento di Sintesi, redatto ai sensi del DPCM 27 Dicembre 1988, è parte
integrante della documentazione prodotta al fine dell’espressione del provvedimento di
Valutazione di Impatto Ambientale, ai sensi del D. Lgs. 152/2006 e ss.mm.ii. del progetto di
realizzazione di un impianto di produzione di energia da biogas, della potenza di 1.487 kWel, da
ubicarsi in comune di Latina, località Latina Scalo.
L’impianto di produzione di energia da biogas, viene proposto dalla Società RECALL LATINA
Srl, con Sede Legale in Viale Le Corbusier, 393 – 04100 Latina (LT) (P. IVA 02734310598).
In esercizio l’impianto produrrà biogas attraverso “digestione anaerobica” di FORSU ed altre
matrici (come meglio esplicato al capitolo 3, paragrafo 3.2): un processo biologico di
fermentazione in assenza di ossigeno di materia prima ad elevato contenuto organico.
Il biogas così prodotto verrà utilizzato per la produzione di energia elettrica attraverso
combustione in motore endotermico.
Il motore opererà in assetto cogenerativo (produzione combinata di energia elettrica e termica)
e l’energia termica generata, sotto forma di acqua calda, sarà interamente utilizzata per
processi interni quali il riscaldamento della sospensione all’interno dei digestori, l’alimentazione
termica del sistema di trattamento del digestato liquido e l’essiccazione di biomasse legnose.
Per conseguire l’obiettivo sopra indicato sono stati eseguiti studi, rilievi e verifiche sull’area di
intervento e nel suo intorno significativo, i cui risultati sono illustrati ai capitoli che seguono.
Lo studio comprende la sintesi dell’analisi degli strumenti di tutela e pianificazione territoriale ed
evidenzia gli aspetti geologici, geomorfologici ed idrogeologici dell’area in esame. Sono state
inoltre trattate le caratteristiche paesaggistiche del territorio indagato.
Capitoli specifici sono stati inoltre dedicati all’individuazione degli impatti connessi alla
realizzazione dell’impianto contestualizzato nella realtà ambientale e paesaggistica del luogo.
Il progetto in esame è stato sviluppato in piena conformità alla normativa vigente, verificando le
relazioni e la sua coerenza con gli obiettivi perseguiti dagli atti di pianificazione e
programmazione territoriale e settoriale.
Le principali finalità del progetto, pertanto, possono essere così sintetizzate:
�� dimensionamento dellimpianto e delle sue strutture in termini di massima efficienza e
produttività, nel rispetto della sua collocazione ambientale e territoriale;
�� valutazione della conformità del progetto alla normativa vigente, con particolare
riferimento ai requisiti e prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 387 del 29 dicembre 2003
Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dellenergia elettrica
prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dellelettricità” e successive
modificazioni e norme attuative, nonché al DGR Lazio n. 16 del 13 gennaio 2010;
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�� studio e descrizione di tutti gli elementi atti a dimostrare la compatibilità tra il progetto e
lambiente di riferimento.
UBICAZIONE DELL’AREA
L’area di ubicazione dell’impianto in oggetto è sito in, località Latina Scalo, con accesso da Via
delle Industrie, nel territorio appartenente amministrativamente al Comune di Latina (LT).
La superficie complessiva dell’insediamento è pari a circa 60.000 m2; di questi circa 30.000 m2
occupano l’area dell’impianto (comprensiva delle aree destinata a verde, parcheggi, spazi di
manovra, locali tecnici, ecc.).
Ad oggi l’area d’intervento risulta essere priva di qualsiasi infrastruttura o intervento di
urbanizzazione, al esclusione di un accesso su via delle industrie, utilizzato esclusivamente
come viabilità di servizio,.
Dal punto di vista cartografico l’area di progetto è inquadrata:
nella sezione n. 400080 della CTR Lazio;
al Foglio n. 62 della Mappa Catastale del Comune di Latina, particelle n. 16, 19, 20 e 99 ,
Entrando nel dettaglio, l’ambito del territorio circostante l’impianto appare da un lato a carattere
prevalentemente agricolo, con la quasi totalità delle aree coltivate (prevalentemente seminativi
e pascoli), dall’altro caratterizzato da aree industriali e/o artigianali (riconducibili alla D.R.S.
Depositi Regionali Surgelati S.p.A., alla Chemtura S.r.l., al Polo Intermodale di Latina Scalo).
In termini di distanza dai centri abitati rilevanti (vedi Figura 1), vi è da sottolineare che il più
vicino è l’insediamento di Latina Scalo (direzione sud-est), che dista circa 1,8 km dall’impianto,
seguiti da Sermoneta (direzione nord-est), Norma (direzione nord-est), Latina (direzione sud) e
Cisterna di Latina (direzione nord-ovest) distanti rispettivamente circa 4 km, 6 km, 9 km e 10 km
in linea d’aria. Per quanto riguarda gli insediamenti residenziali più piccoli, nel comune di
Sermoneta troviamo località Ponte Nuovo (direzione est) ad una distanza di 2,1 km, mentre nel
comune di Latina troviamo a 7 ed 8 km le località di Borgo Podgora e di Borgo Piave. In ultimo,
vi è da aggiungere come all’interno del raggio di 500 m dal perimetro del sito d’interesse siano
presenti case sparse concentrate nel quadrante occidentale rispetto al lotto in esame.
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ALTERNATIVE PROGETTUALI
Le alternative progettuali proponibili si basano in genere o sulla scelta del sito, in base alle sue
caratteristiche, o sulle tecnologie utilizzabili, oppure sulla cosiddetta Alternativa 0, ovvero la non
realizzazione dell’opera proposta.
La scelta del sito, nel caso in questione, è avvenuta in seguito alle seguenti caratteristiche dello
stesso:
congruenza con la Pianificazione urbanistica e territoriale, dato che l’area è priva di vincoli
ambientali ostativi e rientra nella programmazione Comunale come area Industriale;
facile accessibilità e raggiungibilità essendo il sito proposto ubicato nella vicinanza di
strutture viarie atte al passaggio dei mezzi di adduzione della materia prima (in questo
caso un rifiuto) e di trasporto all’esterno dei residui di lavorazione;
scarsa visibilità dell’opera da parte di recettori sensibili dal punto di vista paesaggistico;
non rilevante valore ambientale ed ecosistemico dell’area;
non rilevante densità abitativa nel comprensorio finitimo al sito.
La scelta della tipologia di tecnologie, come si vedrà in seguito, è avvenuta al fine di
minimizzare ogni impatto possibile sul territorio circostante, impiegando metodi produttivi e di
lavorazione intermedia tali da scongiurare ogni possibilità di scarichi inquinanti in aria o in
acqua, anche solo odorigeni o polveri, anche in caso di incidente.
In merito all’alternativa 0, la sua scelta comporterebbe negare la possibilità di smaltire, nel
Lazio, una quantità di FORSU che altrimenti sarebbe destinata ad essere smaltita fuori
Regione, con un notevole aggravio di costi per la collettività, sia in termini economici che di
impatto sull’ambiente.
Sulla base di tali considerazioni si è giunti alla conclusione che il progetto proposto rappresenti
la migliore alternativa possibile sia in termini di BAT, sia di localizzazione, sia di opportunità,
soprattutto considerando la contingenza della situazione dei rifiuti nel Lazio e nella vicina città di
Roma.
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1. QUADRO DI RIFERIMENTO PROGRAMMATICO
1.1 Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004)
Relativamente alle disposizioni legislative in materia dei beni culturali e ambientali, il Decreto
Legislativo, sostituisce il D.L. 490/99 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali, a norma della L. 8 ottobre 1997 n. 352, art.1”. Tale decreto entrato in
vigore dal 1° maggio 2004, è l’unico codice dei beni culturali e del paesaggio. Il presente
decreto, afferma che il patrimonio culturale è costituito dai Beni culturali e dai Beni
paesaggistici:
- Beni culturali - le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico,
archeologico antropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose aventi valore di civiltà;
- Beni paesaggistici - gli immobili e le aree indicate dall’art. 134 del presente DL, costituenti
espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio.
In riferimento al D.Lgs. 42/2004, le opere di intervento risultano:
Adiacenti ma esterne (area di impianto) a Fiumi, torrenti, corsi d'acqua iscritti negli elenchi
previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con
Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una
fascia di 150 metri ciascuna (art. 142 comma 1 lett. c) D. Lgs 42/2004), Vedi Tav 145.
Completamente interne (viabilità di accesso e cavidotto interrato di collegamento): a Fiumi,
torrenti, corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle
acque ed impianti elettrici, approvato con Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le
relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna (art. 142 comma 1 lett.
c) D. Lgs 42/2004). In particolare il tracciato del cavidotto e la viabilità di accesso all’impianto
ricadono all’interno della fascia di rispetto di 150m del canale delle acque medie. La tutela di
questo bene paesistico è ripresa dall’art. 46 delle NTA del PTPR.
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1.2 PIANO TERRITORIALE PAESISTICO REGIONALE (PTPR)
Piano Territoriale Paesistico (PTP)
La normativa di tutela paesaggistica, archeologica, dei beni culturali ed ambientali prevede che
molte aree del territorio siano sottoposte a vincoli, cioè limitazioni all'uso, quali divieto di
edificazione, cambiamenti del territorio o degli edifici esistenti ecc.
La Legge “Galasso” 8 ago 1985, n. 431 ha stabilito una serie di vincoli quali zone costiere,
fiumi e torrenti, zone di interesse archeologico, zone di vincolo paesaggistico ecc. ed ha
disposto che le aree vincolate venissero cartografate dalle singole Regioni nei PTP.
La cartografia dedicata che identifica le aree vincolate del Lazio fa capo alla Legge Regionale 6
Luglio 1998, n. 24 - "Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo
paesistico". Questa è la norma di approvazione dei P.T.P. già redatti ed adottati dalla Regione
Lazio con precedenti provvedimenti.
Nella Tavola E/1 dei PTP sono riportati i Vincoli ex legge 431/85.
Oggi tulle le norme sui vincoli a la tutela dei beni culturali ed ambientali sono ricomprese nel D.
Lgs. 22 gennaio 2004, n.42: "Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137"
L’area di intervento ricade all’interno del Pianto Territoriale Paesistico Lazio Ambito Territoriale
n. 10 Latina.
Poiché, presso l’area di intervento, le misure previste del PTP sono meno restrittive rispetto a
quelle riportate nel PTPR si rimanda all’analisi della vincolistica prevista dal PTPR per ulteriori
approfondimenti.
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Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR)
La pianificazione territoriale regionale fa riferimento essenzialmente al Piano Territoriale
Paesistico Regionale (PTPR), adottato con Delibera della Giunta Regionale del 25 luglio 2007
n. 556 e del 21 dicembre 2007 n. 1025. Il nuovo PTPR sostituisce il precedente PTP.
Il PTPR intende per paesaggio le parti del territorio i cui caratteri distintivi derivano dalla natura,
dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni nelle quali la tutela e valorizzazione del
paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili
come indicato nell’art. 131 del Codice dei beni culturali e del paesaggio D. Lgs. 42/2004.
Il PTPR assume altresì come riferimento la definizione di “Paesaggio” contenuta nella
Convenzione Europea del Paesaggio, Legge 14/2006, in base alla quale esso designa una
determinata parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva
dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.
Il paesaggio è la parte del territorio che comprende l’insieme dei beni costituenti l’identità della
comunità locale sotto il profilo storico-culturale e geografico-naturale garantendone la
permanenza e il riconoscimento.
Il Piano Territoriale Paesaggistico Regionale è lo strumento di pianificazione attraverso cui, nel
Lazio, la Pubblica Amministrazione disciplina le modalità di governo del paesaggio, indicando le
relative azioni volte alla conservazione, valorizzazione, al ripristino o alla creazione di paesaggi.
Il PTPR riconosce il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita della
collettività e ne promuove la fruizione uniformandosi a principi e metodi che assicurino il
concorso degli enti locali e l’autonomo apporto delle formazioni sociali, sulla base del principio
di sussidiarietà.
Il PTPR sviluppa le sue previsioni sulla base del quadro conoscitivo dei beni del patrimonio
naturale, culturale e del paesaggio della Regione Lazio
Per l’analisi dell’interferenza del progetto in esame con le norme del PTPR, sono riportate le
TAV 140, la TAV 145, la TAV 146 e la TAV 147 che rappresentano rispettivamente stralci degli
elaborati cartografici allegati al Piano come Tavola A, Tavola B, Tavola C e Tavola D con
l’ingombro dell’impianto a biogas, della viabilità di accesso e del tracciato del cavidotto interrato
di collegamento alla linea elettrica nazionale.
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Dall’esame degli elaborati grafici riprodotti, si evince come l’area dell’impianto interagisce con
alcune delle norme di tutela definite dal Piano Paesistico Territoriale Regionale.
Tavola A
In base a quanto riportato nelle cartografie allegate al PTPR (Tavola A Foglio n. 35), tutte le
opere di progetto ricadono esclusivamente in un sistema di Paesaggio Agrario è più
specificatamente in Paesaggio Agrario di Valore.
La disciplina di tutela, d’uso e di valorizzazione del Paesaggio Agrario di Valore è prevista
dall’art. 25 delle Norme del PTPR.
L’art. 25 del PTPR intende per Paesaggio agrario di valore “porzioni di territorio che conservano
la vocazione agricola anche se sottoposte a mutamenti fondiari e/o colturali”.
In base alla Tabella A dell’art, 25 del PTPR, le Componenti del paesaggio e gli elementi da
tutelare nel Paesaggio Agrario di Valore sono:
�� Seminativi di media e modesta estensione;
�� Colture tipiche o specializzate permanenti (vigneti frutteti, oliveti castagneti, noccioleti);
�� Vivai;
�� Colture orticole;
�� Centri rurali utilizzabili anche per lo sviluppo di attività complementari.
Il rispetto delle componenti del paesaggio e degli elementi da tutelare suddetti, nel Paesaggio
Agrario di Valore interno all’area di intervento, è stato oggetto di valutazione in fase di adozione
degli strumenti urbanistici vigenti, che hanno previsto per questo lotto una destinazione
Urbanistica a Zona D (Zona Industriale). I terreni oggetto di intervento, anche se attualmente
utilizzati come seminativo, non costituiscono un nucleo organico produttivo riconducibile ad una
specifica realtà agraria in quanto frammentati in varie proprietà ed isolati da più ampi contesti
agricoli limitrofi. Nel complesso i terreni inedificati circostanti ricadenti anch’essi in zona con
destinazione d’uso Industriale non presentano continuità con altri appezzamenti agricoli
essendo chiusi tra l’edificato industriale, le infrastrutture viarie e l’aeroporto Camani. In base a
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quanto detto i terreni oggetto di intervento non sono mai stati contraddistinti da una particolare
vocazione agricola rimanendo nelle disponibilità di vari proprietari e non assorbiti dalle realtà
agrarie operanti nell’area Pontina.
Inoltre la realizzazione delle opere in progetto non insiste sensibilmente sui fattori di rischio e gli
elementi di vulnerabilità del Paesaggio Agrario di valore in quanto:
�� sono previste limitate modificazioni dell’assetto fondiario, agricolo e colturale;
�� L’intervento non comporta suddivisione e frammentazione del paesaggio;
�� Non è prevista l’intrusione di elementi estranei o incongrui con la configurazione
compositiva, percettiva e simbolica attuale (presenza area industriale);
�� Non sono previste modificazioni dei caratteri strutturanti il territorio agricolo;
�� La riduzione di suolo agrario è irrilevante rispetto all’ambito paesaggistico e all’area
vasta;
�� Non è prevista un’intensificazione dello sfruttamento agricolo;
�� Non verranno condotte modificazioni della funzionalità ecologica, idraulica e
dell’equilibrio idrogeologico dell’area.
Sempre la Tabella A dell’art, 25 del PTPR riporta tra gli Obiettivi di tutela e miglioramento della
qualità del paesaggio, anche in relazione ad uno sviluppo sostenibile, la possibilità di
valorizzare energia rinnovabile all’interno del Paesaggio Agrario di Valore.
In base a quanto finora detto la realizzazione del progetto non compromette sensibilmente le
componenti e gli elementi da tutelare del Paesaggio Agrario di Valore ed è in linea con gli
obiettivi di tutela e miglioramento della qualità del paesaggio.
In riferimento alle azioni/trasformazioni e obiettivi di tutela previste per la tipologia di “paesaggio
agrario di valore” nella Tabella B dell’art. 25 del PTPR il progetto si configura come “Impianto
per la produzione di energia areali con grande impatto territoriale (centrali idro – termoelettriche,
impianti di termovalorizzazione, impianti fotovoltaici)” consentito al punto 6.3 “secondo le
procedure delle norme vigenti in materia, previo accertamento in sede di autorizzazione
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paesaggistica della compatibilità con i valori riconosciuti del contesto agrario ed alla
realizzazione di misure ed opere di mitigazione degli effetti ineliminabili sul paesaggio e di
miglioramento della qualità del contesto rurale”.
L’intervento proposto include, nelle scelte progettuali, il rispetto delle disposizioni regolamentari
previste per il Paesaggio agrario di valore come riportate in Tabella C dell’art. n. 25 del PTPR.
Tavola B
In base a quanto riportato nelle cartografie allegate al PTPR (Tavola B Foglio n. 35 - Beni
Paesaggistici), le opere di progetto ricadono o lambiscono aree individuate come Beni
Paesaggistici (vedi TAV 145). In particolare:
Il terreno di sedime dell’impianto è adiacente ma esterno alla fascia di rispetto di 150m dai corsi
delle acque pubbliche normata dall’art. 35 del PTPR. Il corso d’acqua tutelato è il Canale delle
Acque Medie. Si ricorda che l’impianto non interferirà in alcun modo con il bene tutelato e con la
vegetazione antropica arginale esistente (distanza impianto bene tutelato >=150m; distanza
impianto vegetazione arginale >= 140m).
Il terreno di sedime dell’impianto è adiacente ma esterno alla fascia di rispetto di 150m dai
canali delle bonifiche agrarie e le relative sponde normata dall’art. 46 del PTPR. Il canale di
bonifica tutelato è il Canale d’Irrigazione (ex canale di derivazione a servizio dello Zuccherificio).
Si ricorda che l’impianto non interferirà in alcun modo con il bene tutelato e con la vegetazione
antropica arginale esistente (distanza impianto bene tutelato >=154m; distanza impianto
vegetazione arginale >= 150m).
La viabilità di accesso all’impianto ed il cavidotto interrato di collegamento saranno
completamente ricadenti nella fascia di rispetto di 150m dai corsi delle acque pubbliche normata
dall’art. 35 del PTPR. Il corso d’acqua tutelato è il Canale delle Acque Medie. La viabilità di
progetto occuperà circa 2.946m2 interni alla fascia di rispetto dell’argine sinistro del canale,
mentre il cavidotto interrato di collegamento occuperà una superficie di circa 520m2 all’interno
della stessa fascia di rispetto. La nuova viabilità di accesso all’impianto sarà posta ad una
distanza superiore a 70m dal bene tutelato e non interferirà in alcun modo con il corso d’acqua
e la vegetazione antropica arginale esistente. Il cavidotto interrato in progetto non interesserà
minimamente il canale delle acque medie (bene tutelato) e tantomeno la vegetazione antropica
arginale esistente.
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L’art. 35 del PTPR cita al comma 1 “Ai sensi dell’articolo 142 co1, lettera c), del Codice sono
sottoposti a vincolo paesistico i fiumi, i torrenti ed i corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al
testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio
decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di
150 metri ciascuna, di seguito denominata fascia di rispetto”.
Lo stesso art. 35 riporta a comma 6 “I corsi d’acqua e le relative fasce di rispetto debbono
essere mantenuti integri e inedificati per una profondità di metri 150 per parte; nel caso di canali
e collettori artificiali (condizione di progetto), la profondità delle fasce da mantenere integre e
inedificate si riduce a metri 50”.
Al comma 8 dell’art 35 del PTPR si ha: “Per le zone C, D ed F, di cui al Decreto Ministeriale 2
aprile 1968, come delimitate dagli strumenti urbanistici approvati alla data di adozione dei PTP
o, per i territori sprovvisti di PTP, alla data di entrata in vigore della l.r. 24/98 nonchè per le aree
individuate dal PTPR, ogni modifica allo stato dei luoghi nelle fasce di rispetto è subordinata alle
seguenti condizioni:
a) mantenimento di una fascia di inedificabilità di metri 50 a partire dall’argine;
b) comprovata esistenza di aree edificate contigue;
c) rispetto della disciplina di altri eventuali beni dichiarati di notevole interesse pubblico o
sottoposti a vincolo paesistico.”
Poichè l’area di intervento ricade in zona D ai sensi del DM 2 Aprile 1968 ed in base a quanto
riportato nell’art. 35 del PTPR comma 8, la realizzazione della viabilità di accesso al lotto e del
cavidotto interrato è ammissibile in quanto è mantenuta una fascia di inedificabilità di 50m a
partire dall’argine, sono presenti aree edificate contigue (vedi TAV 145) e non sono presenti
interferenze con altri eventuali beni dichiarati di notevole interesse pubblico o sottoposti a
vincolo paesistico.
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Tavola C
Nella Tavola C Foglio n. 35 Beni del Patrimonio naturale e culturale e azioni strategiche del
PTPR (vedi TAV 146), il lotto di intervento risulta esterno a beni ed ambiti prioritari delineati
nello strumento urbanistico.
Il lotto di intervento ricade ad una distanza di circa 250m dalla rete ferroviaria Roma-Napoli
delineata nel PTPR come percorso panoramico ai sensi dell’art. 31 bis e 16 della L. R. 24/98.
Per tale motivo si è ritenuto utile valutare nei successivi paragrafi l’impatto visivo generato
dall’opera sulla skyline dei potenziali viaggiatori presenti sulla linea ferroviaria.
Tavola D
Nella Tavola D Foglio n. 35 del PTPR (vedi TAV 147), il lotto di intervento e le relative opere
accessorie risultano esterne a beni appartenenti all’inviluppo dei beni paesaggisti.
Sulla base di quanto finora esposto, si può affermare la compatibilità dell’opera di progetto
rispetto ai vincoli di tipo paesaggistico-ambientale definiti dal PTPR, anche in virtù delle stesse
caratteristiche costruttive dell’opera, le modalità di esercizio dell’impianto e la tipologia dell’area
di intervento.
Si deve infatti ricordare che:
- le opere di progetto non interferiranno sensibilmente con i beni tutelati descritti né
quantomeno ne inficeranno la percezione visiva.
- l’opera di progetto non comporta trasformazioni rilevanti del territorio e non prevede
interventi significativi di carattere infrastrutturale;
- è garantita una sostanziale conservazione dell’assetto attuale del territorio, in quanto gli
interventi previsti comportano modesti scavi e/o movimentazioni di terreno, che non
alterano in modo sostanziale il profilo del terreno;
- gli interventi di progetto non prevedono in alcun modo modificazione alla vegetazione
esistente eposta ad istanza mai inferiore a 30m;
- la visuale panoramica percepita da diversi punti di osservazione (come evidenziato nello
Studio di Inserimento Paesistico allegato e nel paragrafo 3.8) non è condizionata in
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modo rilevante dalla presenza dell’opera di progetto e poco significativa è da ritenersi la
sottrazione di paesaggio e di terreno agricolo, indotta dall’opera stessa.
Sulla base di quanto sopra esposto, si può sicuramente affermare la piena compatibilità
dell’opera di progetto rispetto ai vincoli di tipo paesaggistico-ambientale definiti dal PTPR,
anche in virtù delle stesse caratteristiche costruttive dell’opera, le modalità di esercizio della
stessa e la tipologia dei terreni interessati dall’intervento.
1.3 PIANO DI TUTELA DELLE ACQUE
Il Piano di tutela delle acque costituisce un adempimento della Regione per il perseguimento
della tutela delle risorse idriche in tutte le fa ttispecie con cui in natura si presentano.
Il Piano di tutela prende le mosse da una approfondita conoscenza dello stato delle risorse, sia
sotto il profilo della qualità che sotto il profilo delle utilizzazioni.
La normativa vigente in tema di tutte la delle acque è attualmente definita dal D.Lgs 3 aprile
2006 n.152 – Norme in materia ambientale –. Il Piano di Tutela delle Acque della Regione Lazio
è stato redatto ai sensi della precedente normativa, D.Lgs 152/1999 e s.m.i., in vigore al
momento della raccolta, elaborazione e valutazione dei dati.
Il Piano sarà oggetto di successive revisioni in coerenza con gli indirizzi generali e gli atti di
coordinamento emanati dallo Stato e dalle Autorità di bacino distrettuali, come previsto dal
D.Lgs 152/2006.
Il presente Piano di Tutela contiene:
a) i risultati delle at tività conoscitive;
b) l’individuazione degli obiettivi di qualità ambientale e per specifiche destinazioni;
c) l’elenco dei corpi idrici a specifica destinazione e delle aree richiede;nti specifiche misure di
prevenzione dall’inquinamento e di risanamento
d) l’indicazione temporale degli interventi e delle relative priorità;
e) il programma di verifica dell’efficacia degli interventi;
f) gli interventi di bonifica dei corpi idrici.
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Gli studi condotti hanno portato a suddividere il territorio regionale in 39 bacini; di questi 36
individuano altrettanti corpi idrici significativi, uno raccoglie i bacini endoreici presenti nella
Regione cui non è possibile associare corpi idrici significativi e gli ultimi due sono costituiti dai
sistemi idrici delle isole Ponziane.
Il Piano ha richiesto una conoscenza approfondita della struttura del territorio nei suoi vari
aspetti geologici, idrologici, idrogeologici, vegetazionali, di vulnerabilità e di pressione antropica
da confrontare conil risultato dell’analisi della qualità delle acque e con le specifiche protezioni
previste dalla legge per porzioni di territorio interessate da corpi idrici a specifica destinazione.
Gli studi, che hanno richiesto un anno e mezzo di raccolta dati ed elaborazioni, sono riportati
nei successivi volumi e rappresentati in sintesi cartografica per bacino nell’atlante dei bacini
idrografici.
Lo stato qualitativo dei corpi idrici profondi e superficiali appare dagli studi sulla individuazione
delle zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola, dal monitoraggio delle emergenze delle falde e
dal monitoraggio dei corpi idrici superficiali.
Negli studi condotti per la individuazione delle zone vulnerabili ai nitrati e dal monitoraggio delle
sorgenti si evince che i grandi complessi idrogeologici, sedi delle risorse idriche profonde iù
importanti, sono in buono stato di conservazione qualitativa. Dagli studi condotti dalle Autorità di
Bacino emerge invece che alcuni complessi, quali quelli dei sistemi vulcanici, pongono problemi
in ordine alla conservazione quantitativa delle risorse, in relazione ad utilizzazioni al di sopra
delle possibilità delle falde. Per le situazioni accertate sono state assunte dalla Giunta
Regionale provvedimenti per il governo delle utilizzazioni degli acquiferi.
Per altre situazioni per le quali le conoscenze non hanno ancora raggiunto il necessario
approfondimento sono in corso studi; le norme di attuazione fissano semplici regole che
potranno condurre a soluzione le problematiche poste dallo sfruttamento intensivo delle falde.
Lo stato qualitativo dei corpi idrici superficiali si presenta molto più complesso e non del tutto
tranquillizzante.
Dall’esame della tavola si evince che nel Lazio è molto esteso lo stato di qualità ambientale
sufficiente”, anche per bacini dove sarebbe stato logico attendersi una qualità migliore in
relazione alla limitata pressione antropica come per esempio nel reatino. Tale stato si estende
anche nel viterbese e nei bacini del Liri e del Melfa.
L’area ricade nel bacino n. 27 “Rio Martino”.
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1.4 PIANO DI RISANAMENTO DELLA QUALITA’ DELL’ARIA
Il Piano di risanamento della qualità dell’aria è lo strumento di pianificazione con il quale la
Regione Lazio da applicazione alla direttiva 96/62/CE, direttiva madre “in materia di valutazione
e di gestione della qualità dell’aria ambiente” e alle successive direttive integrative.
In accordo con quanto prescritto dalla normativa persegue due obiettivi generali:
- il risanamento della qualità dell’aria nelle zone dove si sono superati i limiti previsti dalla
normativa o vi è un forte rischio di superamento,
- il mantenimento della qualità dell’aria nel restante territorio;
attraverso misure di contenimento e di riduzione delle emissioni da traffico, industriali e diffuse,
che portino a conseguire il rispetto dei limiti imposti dalla normativa, ma anche a mantenere
anzi a migliorare la qualità dell’aria ambiente nelle aree del territorio dove non si rilevano
criticità.
I Comuni e le Province insieme ad ARPA Lazio sono chiamate in base alle loro competenze ad
attivare ed intensificare i controlli sulle emissioni degli impianti termici civili e degli impianti
industriali e a porre particolare rilievo alle attività autorizzative AIA.
Anche la Regione viene investita di compiti volti ad incentivare la conversione a metano degli
impianti di riscaldamento alimentati con combustibili non gassosi, dando priorità ai comuni di
Roma e Frosinone; ad incentivare il ricorso a fonti di energia rinnovabile o assimilata ai fini del
soddisfacimento del fabbisogno energetico per il riscaldamento, il condizionamento,
l'illuminazione e la produzione di acqua calda sanitaria degli edifici; a promuovere iniziative per
l’utilizzo di impian ti di cogenerazione e teleriscaldamento in particolare in strutture pubbliche
sanitarie e nelle aree di nuovo sviluppo edilizio, ecc.
La Regione deve inoltre promuovere attività di ricerca e sviluppo tecnologico finalizzate alla
realizzazione di sistemi non convenzionali per la trazione autoveicolare e la produzione di
energia elettrica.
Particolare rilievo viene dato all’informazione e sensibilizzazione della popolazione: il successo
delle azioni del Piano sarà maggiore se la popolazione verrà coinvolta e resa partecipe dei
problemi dell’inquinamento, consapevole della necessità di attuare cambiamenti
comportamentali e abitudinari in tema di mobilità, consumo energetico e sul rispetto delle
risorse disponibili. Nel Piano viene previsto
che la Regione e gli Enti Locali, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, promuovano
iniziative di divulgazione, di informazione e di educazione ambientale, sulla natura, le sorgenti,
la diffusione degli
inquinanti nonché sullo stato della qualità dell’aria ambiente e degli effetti sulla salute umana.
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Ai fini dell’attuazione delle misure del pia no sono state individuate, nel territorio regionale, tre
zone differenziate da diversi livelli di criticità dell’aria ambiente:
zona A, che comprende i due agglomerati di Roma e Frosinone dove si osservano le
maggiori criticità sia per l’entità dei superamenti dei limiti di legge, sia per la quantità di
popolazione esposta;
zona B, che comprende i comuni dove è accertato, sia con misure dirette o per risultato del
modello di simulazione, l’effettivo supera mento o l’elevato rischio di superamento, del limite
da parte di almeno un inquinante;
zona C, che include il restante territorio della Regione nel quale ricadono i comuni a basso
rischio di superamento dei limiti di legge
Alcune delle azioni previste riguardano l’intero territorio regionale al fine di garantire il
mantenimento della qualità dell’aria ove non si riscontrano superamenti dei valori limite; altre
misure interessano i comuni dove è accertato l’effettivo superamento o l’elevato rischio di
superamento del valore limite da parte di almeno un inquinante. Infine per i due agglomerati più
critici (Roma e Frosinone) sono previsti ulteriori provvedimenti specifici.
Si riportano schematicamente le misure individuate:
Su tutto il territorio regionale zone A; B e C sono previsti:
Provvedimenti per la riduzione delle emissioni di impianti di combustione ad uso civile;
Provvedimenti per la riduzione delle emissioni di impianti di combustione ad uso industriale;
Provvedimenti per la riduzione delle emissioni diffuse;
Controllo delle emissioni dei veicoli.
Nelle zone A e B sono previsti:
rinnovo e potenziamento del trasporto pubblico con mezzi a basso impatto ambientale;
iniziative di incentivazione all’utilizzo dei mezzi pubblici;
ammodernamento delle flotte delle società di servizi pubblici con mezzi conformi alle
normative europee;
adozione da parte dei Comuni del Pia no urbano del traffico, limitazione della circolazione
veicolare nel centro urbano, adozione del piano del traffico merci al fine di evitare o ridurre la
circolazione dei mezzi pesanti all’interno dei centri urbani.
Per la verifica ed il monitoraggio del piano verranno predisposti specifici rapporti al fine di
valutare lo stato di attuazione delle misure e soprattutto la loro efficacia in termini di riduzione
delle concentrazioni di inquinanti in atmosfera.
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In considerazione degli effetti sulla salute umana associati all’inquinamento atmosferico è
prevista anche una valutazione dell’impatto sanitario delle misure.
Il Comune di Latina ricade in zona B (vedi figura sottostante).
1.5 PIANO STRALCIO ASSETTO IDROGEOLOGICO
Altro importante strumento di pianificazione e gestione del territorio, esistente a livello regionale,
è Il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI), che costituisce uno strumento conoscitivo,
normativo e tecnico mediante il quale sono programmate e pianificate azioni, norme d’uso ed
interventi al fine della conservazione, difesa e valorizzazione del suolo e alla prevenzione del
rischio idrogeologico.
Esso, infatti, rappresenta, nel territorio regionale, i livelli di pericolosità e rischio derivanti dal
dissesto idrogeologico relativamente alla dinamica dei versanti ed alla pericolosità
geomorfologica e alla dinamica dei corsi d’acqua ed alla pericolosità idraulica e d’inondazione.
Il P.A.I. – Piano per l’Assetto Idrogeologico è stato adottato con deliberazione del Comitato
Istituzionale n. 1 del 13 luglio 2009 (B.U.R.L. n. 37 del 07/10/2009)
L’intervento di progetto non interagisce in alcun modo con le definizioni e norme del PAI,
essendo infatti localizzato al di fuori di qualsiasi area catalogata e definita dal PAI stesso come
area a rischio frana o a rischio esondazione (Vedi TAV 148).
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1.6 R.D.L. N. 3267 DEL 30 DICEMBRE 1923 (“VINCOLO IDROGEOLOGICO”)
Il Regio Decreto Legge n. 3267/1923 prevede il riordinamento e la riforma della legislazione in
materia di boschi e di territori montani. In particolare, all’art. 1, il decreto sottopone a vincolo
idrogeologico, i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di uso
contrastanti con la norma, possono subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime
delle acque, causando un danno pubblico. I successivi art. 7, 8 e 9 definiscono una serie di
prescrizioni sulla utilizzazione e la gestione dei territori vincolati; l’art. 7 prescrive che la
trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e dei terreni saldi in terreni soggetti a
periodiche lavorazioni, sono subordinate ad autorizzazione rilasciata dal comitato forestale, nel
rispetto delle modalità da esso prescritte.
L’interazione delle opere di progetto con questa norma di tutela non sussiste, in quanto sia
l’impianto che le opere accessorie (viabilità e cavidotto di collegamento) sono esterne e distanti
da aree sottoposte a “vincolo idrogeologico” (vedi Tav 150).
1.7 PIANO REGOLATORE GENERALE (PRG) COMUNE DI LATINA
Il lotto oggetto di analisi è localizzato, come detto, in località Latina Scalo, in zona individuata
nel Piano Regolatore generale del Comune di Latina come: Zona Territoriale Omogenea (ZTO)
F, Sottozona F1 – ZONA INDUSTRIALE (Zona D ai sensi del DM 2 Aprile 1968) (vedi TAV 120
ed estratto a seguire)
In questa Sottozona è consentita la costruzione di stabilimenti ed impianti industriali in genere,
su superfici minime di 1.000 mq per medie industrie e 10.000 mq per le grandi industrie.
Per la determinazione dell’area utile alla costruzione dell’impianto sono prese in considerazioni
le distanze minime riportate nelle Norme Tecniche del P.R.G. e del P.P.E. : distacco dal ciglio
stradale pari a 40m, distanze dai confini o dai corpi di fabbrica dello stesso complesso di
almeno 7m o comunque pari all’altezza dell’edificio principale (nel caso in esame 14m) e
distanze minime dalle recinzioni di 7m.
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In base agli indirizzi regionali e provinciali e alle Norme Tecniche Attuative del PRG del
Comune di Latina l’intervento è compatibile con le attività previste con la destinazione
d’uso descritta.
1.8 PIANO ENERGETICO REGIONALE
Il progetto qui proposto, oltre ad andare nella direzione indicata in quanto polifunzionale,
rispondendo sia alle necessità di smaltimento della frazione organica differenziata degli RSU,
sia al completo riutilizzo degli stessi, contribuisce alla realizzazione degli obiettivi del PER
producendo energia elettrica rispettando tutte le indicazioni del PER stesso.
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1.9 PIANO REGIONALE DI GESTIONE DEI RIFIUTI
Considerando che la realizzazione di un impianto a recupero energetico e totale equilibrio di
massa, come quello proposto, concorre sicuramente al raggiungimento degli obiettivi di Piano,
che non vi sono fattori escludenti nella localizzazione, che l’aspetto di attenzione rispetto alla
qualità delle risorse idriche è stato preso in debita considerazione in fase progettuale e che vi
sono almeno sei fattori preferenziali evidenziati nella scelta del sito, si può concludere che
l’impianto previsto è perfettamente in linea con quanto pianificato dal Piano Regionale di
Gestione dei Rifiuti.
2 QUADRO DI RIFERIMENTO PROGETTUALE
2.1 INTRODUZIONE ED ASPETTI GENERALI
Il presente paragrafo è volto a descrivere l’impianto di digestione anaerobica per la
stabilizzazione ed il recupero energetico alimentato con la Frazione Organica dei Rifiuti Urbani
(FORSU), con scarti agroindustriali e agro-alimentari.
Nella fattispecie il rifiuto organico in ingresso, dopo opportuni pre-trattamenti finalizzati alla
rimozione di contaminanti inerti quali plastiche (sovvallo leggero), metalli (sovvallo pesante),
sabbie ed altre matrici, sarà indirizzato alle vasche di digestione anaerobica ove avverrà la fase
di bio-trasformazione anaerobica delle sostanze volatili in biogas.
Il substrato di risulta del processo di produzione del biogas, è un sottoprodotto denominato
digestato” che sarà separato in una fase liquida pompabile ed una fase solida palabile.
Il biogas, viene estratto dai digestori mediante idoneo sistema e, a seguito di opportuno
pretrattamento, è inviato ad alimentare la centrale di cogenerazione costituita da motori a
combustione interna per la produzione combinata di energia elettrica e termica.
L’energia elettrica viene ceduta interamente alla rete di distribuzione nazionale (al netto
dell’autoconsumo), con punto di recapito presso la cabina ENEL appositamente predisposta;
l’energia termica viene reimpiegata nel processo di pastorizzazione del rifiuto organico
pretrattato, nel riscaldamento delle biomasse all’interno dei digestori, nel sistema di
depurazione del digestato separato liquido (fase di evaporazione/condensazione) e nel sistema
di essiccazione delle biomasse legnose.
Le due fasi solida e liquida del digestato, separate mediante un processo di centrifugazione,
seguono due distinti percorsi nell’ambito delle successive fasi di processo: la fase solida
(compresi dunque i residui solidi della decantazione) viene inviata a impianto di compostaggio
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esterno, completando dunque il processo di biotrasformazione; la fase liquida viene in parte
ricircolata in testa al processo per agevolare la formazione della miscela da sottoporre a
digestione anaerobica ed in parte inviata al sistema di depurazione delle acque di processo e,
dopo una serie di opportuni trattamenti (correzione pH, evaporazione, condensazione ed
osmosi inversa) viene in parte riutilizzata a copertura delle idroesigenze (ad uso industriale ed
irriguo) dell’impianto ed in parte sversata in adiacente canale, dopo ottenimento della specifica
autorizzazione allo scarico.
La configurazione impiantistica ipotizzata ha come finalità da un lato quella di massimizzare il
recupero della frazione organica dei rifiuti sia sotto forma di energia (elettrica e termica), sia
sotto forma di materia (ammendante compostato misto prodotto da impianto di compostaggio
terzo a partire dal digestato solido prodotto dall’impianto di digestione anaerobica in oggetto),
dall’altro quella di minimizzare la produzione di rifiuti di scarto, offrendo la possibilità di
ricircolare e/o riutilizzare le acque trattate limitando al minimo lo sfruttamento delle risorse
idriche sotterranee.
2.2 DESCRIZIONE DEL PROCESSO PRODUTTIVO NEL SUO
COMPLESSO
L’attività dell’impianto in progetto può essere descritta come segue:
Fase di ricezione
Il rifiuto organico, proveniente dalla raccolta differenziata e da industrie agro-alimentari, verrà
conferito presso l’impianto dal lunedì al sabato (esclusi giorni festivi), mediante opportuni mezzi
di trasporto (di proprietà di aziende terze rispetto all’impianto).
All’ingresso dei mezzi di trasporto, i rifiuti in arrivo saranno sottoposti a primo controllo (visivo,
formulari, etc.) per l’ammissibilità all’impianto. Dopo questo screening iniziale e verificata la
compatibilità del mezzo e del prodotto per la consegna, si procederà alle operazioni di pesatura
e registrazione.
I mezzi saranno quindi indirizzati all’interno di un capannone depressurizzato in cui è locata la
stazione di ricezione e stoccaggio, dove si procederà al trasferimento e allo scarico dei rifiuti
trasportati. In questa fase si provvederà ad effettuare un secondo controllo visivo della
compatibilità dei rifiuti con il sito. Il capannone è mantenuto in atmosfera depressurizzata al fine
di evitare la possibile propagazione di emissioni odorigene verso l’esterno tramite un apposito
sistema di aspirazione e filtraggio che verrà descritto nei paragrafi a seguire.
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Data l’incertezza relativa alla composizione dei rifiuti si procederà ad un controllo dimensionale
e rimozione di rifiuti ingombranti, generalmente individuati allo scarico dai camion e/o durante le
operazioni di movimentazione e di caricamento con la pala frontale.
I mezzi scarichi passeranno, prima di immettersi nell’area asfaltata adiacente il capannone, su
una stazione di lavaggio ruote al fine di evitare la possibilità di spargimento sul piazzale e sulle
aree di manovra esterne, del percolato generato dai rifiuti, con possibile generazione di
emissioni odorigene. Prima di lasciare il sito, i mezzi scarichi saranno sottoposti ad un’ulteriore
operazione di pesatura e registrazione.
Alimentazione e pretrattamento del rifiuto
Il punto di carico della FORSU e degli altri rifiuti organici da inviare al pretrattamento è posto
all’interno del capannone depressurizzato ed è costituito da una tramoggia posta sopra al primo
nastro di alimentazione dell’impianto.
Nel punto di carico il nastro antisdrucciolo ha una zona di impatto con una maggiore frequenza
dei rulli di supporto che consente di ricevere il rifiuto caricato con la pala.
Il rifiuto caricato su un sistema di nastri trasportatori viene trasferito nel comparto di trattamento
e alimentato in un Pulper, dove il trattamento del rifiuto avviene ad umido (in fase liquida)
all’interno di macchine chiuse, assicurando pertanto il mantenimento di condizioni ottimali nei
luoghi di lavoro, anche dal punto di vista delle emissioni odorigene.
Nel punto di carico il nastro antisdrucciolo ha una zona di impatto con una maggiore frequenza
dei rulli di supporto che consente di ricevere il rifiuto caricato con la pala.
Il rifiuto caricato su un sistema di nastri trasportatori viene trasferito nel comparto di trattamento
e alimentato in un Pulper, dove il trattamento del rifiuto avviene ad umido (in fase liquida)
all’interno di macchine chiuse, assicurando pertanto il mantenimento di condizioni ottimali nei
luoghi di lavoro, anche dal punto di vista delle emissioni odorigene.
Questo trattamento consiste in una prima depurazione grossolana del rifiuto solido con la
rimozione della maggior parte dei materiali inerti presenti nella matrice in ingresso. La
sospensione organica è quindi inviata ad un ulteriore stazione di trattamento che consente la
rimozione della componente di inerti con dimensioni inferiori a 10 mm. Tale frazione infatti
risulta essere problematica negli impianti di digestione anaerobica in quanto genera intasamenti
delle tubazioni, sedimentazioni nei digestori e usura nelle macchine. La fase di pretrattamento
ha lo scopo di ottenere una matrice in ingresso ai digestori privo di materiali estranei, requisito
fondamentale per ottimizzare la resa metanigena e garantire un un digestato “di alta qualità”,
ovvero con un contenuto ridottissimo di materiali non organici.
La sospensione organica viene a questo punto inviata ad una stazione di pastorizzazione. Al
fine del presente progetto il processo di pastorizzazione non risulta un elemento indispensabile
in quanto a seguito di una separazione solido/liquida del digestato, la frazione solida sarà
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destinata ad un centro di compostaggio esterno, dove avverrà la fase di stabilizzazione e
igienizzazione attraverso processi aerobici, mentre la frazione liquida sarà depurata in apposito
sistema e scaricata su ricettore idrico superficiale rispettando i parametri di legge.
Qualora risulti per qualsiasi causa, necessario avviare il processo in oggetto, la pastorizzazione
della sospensione avverrà riscaldandola e mantenendola ad una temperatura > 70°C per la
durata di un’ora. Ciò verrà realizzato con tre serbatoi di pastorizzazione operanti in discontinuo.
La sospensione organica depurata da contaminanti viene portata a questo punto ad una
temperatura di circa 38°C e stoccata in serbatoi di equalizzazione prima di essere inviata alla
stazione di digestione anaerobica.
L’impianto in progetto ha lo scopo di valorizzare la frazione organica del rifiuto solido urbano
(FORSU o “umido”) e sottoprodotti dell’industria agroalimentare per la produzione di energia
elettrica e calore. La materia organica in ingresso all’impianto sarà trasformata in biogas
attraverso un processo di digestione anaerobica. Il biogas prodotto alimenterà un cogeneratore
per la produzione di energia elettrica e calore. L’impianto tratterà 40.500 ton/anno di materia
organica, altrimenti diretta in discarica, e permetterà di produrre 13.888ton/anno di compost
(concime) per l’agricoltura, 4.000 ton/anno di cippato (combustibile per stufe), 8,8 GWh/anno di
energia elettrica netta capace di soddisfare i fabbisogni di energia elettrica di un anno di oltre
5.850 famiglie e recuperare 11,6 GWh di Energia termica.
Si riportano a seguire i dati sintetici caratteristici dell’impianto:
Impianto a biogas alimentato da fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e
riutilizzo del calore.
Potenza elettrica: 1.487 kWel
Potenza termica 1.451 kWt
Ore di produzione: 8000
Energia elettrica prodotta: 11,89 GWh/anno
Energia elettrica ceduta alla rete di distribuzione nazionale: 8,8 GWh/anno
Energia Termica prodotta: 16 GWh/anno
Energia termica riutilizzata: 11,6 GWh/anno
Materie prime in ingresso: 35.000 ton/anno di FORSU e 5.500 Ton/anno Rifiuto verde e
ramaglie
Area di impianto: 26.450m2
Digestione Anaerobica
Dal serbatoio di equalizzazione, la sospensione viene inviata in due biodigestori che possono
lavorare indipendentemente. Nei biodigestori la sospensione viene miscelata con agitatori e
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mantenuta alla temperatura di processo di circa 38 - 40 °C (i biodigestori sono coibentati e
dotati di sistemi di riscaldamento). I batteri trasformano una parte della sostanza volatile delle
biomasse in biogas (metano e anidride carbonica), attraverso un processo di idrolisi e
metanizzazione. Il gas prodotto si accumula in gasometri realizzati in materiale plastico ancorati
sopra i biodigestori che gonfiandosi permettono di immagazzinare il biogas. Il biogas prodotto è
composto di metano, anidride carbonica e tracce di altri composti quali ad esempio idrogeno
solforato.
Produzione di energia
Per poter essere utilizzato a fini energetici, il biogas deve essere pretrattato. La desolforazione
del biogas viene effettuata direttamente all’interno dei gasometri: l’idrogeno solforato, attraverso
un processo biologico regolato con l’immissione di aria, viene convertito in zolfo che precipita
nel digestato. L'umidità presente nel biogas viene estratta in un separatore di condensa e viene
inviata alla vasca dell’acqua di processo per essere riutilizzata nuovamente nel ciclo produttivo.
Il processo di condensazione del biogas avviene attraverso un suo raffreddamento ad una
temperatura di 10°C.
Il biogas così depurato è inviato al cogeneratore costituito da un motore a combustione interna.
Il gruppo di cogenerazione ha una potenza di 1487 kW elettrici e di 1451 kW termici. L’energia
elettrica è prodotta grazie ad un’alternatore, installato a monte del gruppo cogenerativo, in
bassa tensione e prima di essere immessa in rete necessita di una trasformazione dalla bassa
alla media tensione: l’impianto sarà dunque dotato di una sala di trasformazione che renderà la
corrente prodotta idonea alla ricezione da parte della rete di distribuzione nazionale. Il calore
prodotto dal cogeneratore viene utilizzato per:
Riscaldamento della sospensione per la pastorizzazione (solo se necessario),
Riscaldamento della sospensione per la digestione anaerobica,
Alimentazione termica dell’evaporatore del sistema di trattamento del digestato
separato liquido,
Alimentazione termica del sistema di essiccazione rifiuti verdi.
In caso di fermo dell’impianto il biogas prodotto sarà inviato ad una torcia di emergenza che
brucerà il biogas riducendo l’effetto clima alterante dell’eventuale emissione diretta di biogas in
atmosfera scongiurando la possibilità di dispersione nell’ambiente.
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Separazione solido/liquido del digestato
Il materiale digerito in uscita dai digestore viene inviato, attraverso pompe volumetriche, alla
stazione di separazione solido/liquido situata a una quota di +4 m rispetto al piano campagna.
Non è necessario un serbatoio di accumulo all’uscita del digestore poiché il dimensionamento
dei digestori consente di rinviare il volume all’interno degli stessi utilizzandoli anche come buffer
di contenimento.
Il separatore solido/liquido è dimensionato per favorire il funzionamento in continuo, senza
presidio di personale.
Dalla stazione di separazione si ottengono due flussi:
�� Il materiale disidratato, detto anche SEPARATO SOLIDO, con un residuo secco
che varia dal 25 al 35%, che viene scaricato direttamente all’interno di cassoni del
volume di 30 mc cadauno e viene condotto presso impianti di compostaggio terzi.
�� Il materiale filtrato, detto anche SEPARATO LIQUIDO o ACQUA DI PROCESSO,
carico di sostanze organiche disciolte e con residuo secco di circa 4-5%, che viene
inviato nella vasca dell’acqua di processo e da qui viene in parte ricircolato nel
pretrattamento per produrre la sospensione organica da inviare alla digestione
anaerobica ed in parte inviato alla stazione di trattamento per la sua chiarificazione e
scarico su corpo idrico superficiale.
Al fine di ovviare a problematiche relative agli impatti odorigeni, la stazione di separazione
solido/liquido è situata all’interno di un capannone chiuso e tenuto in depressione, con l’aria
sottoposta a trattamento in scrubber e biofiltro.
Il digestato tal quale o il separato liquido potranno in alternativa essere stoccati in opportune
vasche ubicate come riportato in planimetria generale, qualora risultino fermi o
malfunzionamenti rispettivamente della stazione di separazione e/o di depurazione.
Circuito acqua e trattamento del separato liquido
Al fine di ridurre al minimo i consumi di acqua, nell’impianto in oggetto è previsto di
massimizzare il riutilizzo delle acque di processo. In particolar modo l’intero ciclo impiantistico è
finalizzato a poter ricircolare il più possibile le acque al suo interno minimizzando
contestualmente quanto più possibile la richiesta di acqua industriale esterna necessaria per il
funzionamento dell’impianto.
Il digestato liquido viene infatti per quanto possibile ricircolato in testa all’impianto e solamente
l’eccedenza viene inviata all’impianto di trattamento delle acque.
Il digestato liquido in esubero è sottoposto ad un trattamento costituito da un processo
evaporativo sotto-vuoto seguito da un sistema ad osmosi inversa, che consente la
concentrazione dei solidi sospesi totali in esso contenuti e la produzione di acqua chiarificata,
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con parametri chimico-fisici tali da consentire lo scarico in acque superficiali a norma del D.Lgs.
152/06. Il concentrato solido sarà riunificato al digestato separato solido, in quanto presenta le
sue stesse caratteristiche.
L’impianto utilizzerà dunque per il suo funzionamento solo acqua di processo ad l’eccezione di:
�� Scrubber e biofiltro;
�� Lavaggio dell’impianto, delle aree di stoccaggio rifiuti, delle macchine fisse e dei
mezzi d’opera;
�� Servizi igienici e lavaggio impianto da parte degli operatori
�� Mantenimento delle aree verdi.
Per gli utilizzi sopra indicati sarà utilizzata acqua di falda derivata da un pozzo da realizzare e
per il quale verrà richiesta Autorizzazione all’escavazione prima e richiesta di concessione alla
derivazione in seguito.
L’acqua di processo chiarificata in esubero sarà a questo punto convogliata al corpo idrico
superficiale nel rispetto delle prescrizioni che saranno contenute nell’autorizzazione allo scarico.
Trattamento del separato solido
Il digestato separato solido, verrà temporaneamente stoccato su una platea sita all’interno del
capannone depressurizzato e dotato di sistema di aspirazione e trattamento delle arie esauste
e successivamente conferito a centri di compostaggio esterni, per una finale stabilizzazione
chimico-fisica, mediante cassoni isolati che evitino emissioni odorigene in atmosfera ed
eventuali percolati.
Cippatura ed essiccazione dei rifiuti verdi
Al fine di una valorizzazione energetica di tutto il calore prodotto dal cogeneratore, è prevista
l’installazione di un sistema di cippatura ed essiccazione dei rifiuti verdi (sfalci di potature del
verde pubblico e privato) posto all’interno del già descritto capannone per il pre e post
trattamento.
I rifiuti verdi conferiti all’impianto, dopo la fase di accettazione, saranno stoccati all’interno di un
tettoia di circa 280 m2 (vedi planimetria generale), in attesa di essere inviati al predetto sistema.
Nella stesso capannone sarà inoltre presente una bricchettatrice/pellettizzatrice che renderà il
rifiuto verde delle dimensioni idonee alla successiva fase di essiccazione.
Dal sistema di comminuzione, il rifiuto verde pellettizzato sarà inviato, attraverso una stazione di
carico automatizzata, all’interno dell’essiccatore attraverso il quale sarà prodotto cippato a
basso tenore di umidità.
Questa operazione consentirà il recupero pressoché totale del calore di cogenerazione, a tutto
beneficio della sostenibilità ambientale di tutto il ciclo produttivo.
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Il quantitativo di sfalci di potature dei rifiuti verdi da trattare, sarà strettamente dimensionato
sulla base della quantità di calore in esubero disponibile.
Gestione del sovvallo
In uscita dalla stazione di pretrattamento si generano tre tipologie di sovvallo:
�� un sovvallo costituito dalla frazione leggera identificato dal codice CER 19.05.01
�� un sovvallo costituito dalla frazione pesante identificato dal codice CER 19.08.02
�� un sovvallo costituito da inerti con dimensioni < 10 mm identificato dal codice
CER 19.08.02
La frazione pesante e gli inerti con dimensioni < 10 mm sarà destinata ad impianti di
smaltimento ovvero in discarica.
La frazione leggera potrà essere conferita ad impianti terzi al fine di essere trasformata in CSS
ovvero smaltita in discarica.
3 CARATTERISTICHE DELL'IMPATTO SULLE SINGOLE COMPONENTI
E INTERVENTI DI MITIGAZIONE
La presente sezione dello Studio di Impatto ambientale costituisce la parte riepilogativa dello
Studio stesso e viene estesa analizzando gli impatti attesi su ognuna della componenti
ambientali sopra descritte.
Si ritiene necessario evidenziare che i contenuti dei paragrafi precedenti hanno evidenziato
sostanzialmente impatti poco significati sull’ambiente dell’intervento proposto dalla ditta
RECALL LATINA S.r.l.; non solo, ma si ritiene ancorché importante delineare gli aspetti socio
economici dell’intervento stesso, ai fini di una corretta valutazione dei benefici e dei costi per la
collettività e l’ambiente che il progetto in argomento rappresenta.
3.1 ASPETTI CLIMATICI E IMPATTI IN ATMOSFERA
L’area di intervento presenta caratteri bioclimatici (termotipo mesomediterraneo, ombrotipo
subumido-umido) ed edafici (suoli su sabbie dunari e piroclastiti) che consentono di individuare
una forte potenzialità per boschi caducifogli con locali presenze di sughera e leccio, secondo la
Carta del Fitoclima del Lazio di Blasi.
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Gli impatti sul clima e l’atmosfera potrebbero essere ascritti sicuramente all’emissioni di gas,
alla liberazione di polveri in atmosfera e alle emissioni odorigene conseguentemente alle attività
previste dal progetto.
3.1.1 EMISSIONE IN ATMOSFERA DEI GAS DI SCARICO DEI MOTORI ENDOTERMICI DI
COMBUSTIONE BIOGAS
Analisi degli impatti
Uno degli aspetti ambientali più significativi del progetto è senza dubbio rappresentato dalle
emissioni del motore per la combustione del biogas proveniente dai digestori. Il biogas prodotto
all’interno delle vasche di digestione, attraverso processi biologici descritti nei paragrafi
precedenti, sarà captato e trasportato, attraverso linee di adduzione dedicate, dapprima ad un
sistema di depurazione del biogas ed in secondo luogo alla centrale elettrica (gruppo
cogenerativo) e, in caso di emergenza da sovrappressione/arresto del cogeneratore, alla torcia
di sfioro ed emergenza.
Attraverso il gruppo cogeneratore il biogas sarà valorizzato per produzione di energia elettrica
(ceduta alla rete) e termica (utilizzata in fase di pretrattamento, riscaldamento dei digestori e
soddisfacimento dei fabbisogni termici dell’impianto).
A fronte di una valorizzazione energetica ne consegue tuttavia la generazione di emissioni
puntuali di gas di scarico del motore endotermico in atmosfera, attraverso apposito camino. Per
il motore che verrà installato, si dispone dei dati di progetto, secondo i quali il volume massimo
dei gas di scarico umidi risulta essere pari a 6.171 Nm3/h.
Nella tabella di seguito si riportano i dati relativi ai gas di scarico secondo le schede tecniche del
fornitore (Motore Jembacher JMC420 GS-B.L. o similare).
Dati gas di scarico
Parametri U.M. Valore
Temperatura gas di scarico a pieno carico °C 424
Temperatura gas di scarico a BMEP = 15[bar] °C 444
Temperatura gas di scarico a BMEP = 10 [bar] °C 469
Portata gas di scarico umido kg/h 7938
Portata gas di scarico secco kg/h 7368
Volume gas di scarico umido Nm3/h 6171
Volume gas di scarica secco Nm3/h 5487
Contropressione mass. Gas di scarico all'uscita motore mbar 60
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Altri parametri, connessi agli scarichi di gas in atmosfera, che possono generare impatti
sull’ambiente e sulla salute dell’uomo sono SO2, NOx, CO, HCl, HF, COT, Polveri, tutti
parametri per cui è previsto il rispetto di valori limite dalla normativa vigente.
Nella valutazione delle emissioni in atmosfera si considera il caso più gravoso in cui si ipotizza il
funzionamento dell’impianto per 8.500 h/anno e un valore di concentrazione degli inquinanti al
limite con quanto previsto dalla normativa di riferimento e riportato nella tabella che segue.
Limiti di emissioni per gli impianti a combustione interna a norma del piano di tutela e ripristino della qualità dell’aria
della Regione Lazio.
Inquinante U.M. Valori Limite
SO2 mg/Nm3 350
NOX + NH3 (come NO2) mg/Nm3 450
CO mg/Nm3 500
HCl mg/Nm3 10
HF mg/Nm3 2
COT mg/Nm3 100
Polveri mg/Nm3 10
Sulla base dei predetti valori limite, si riportano le emissioni massime generabili nella seguente
tabella.
Stima delle emissioni in atmosfera prodotte dal gruppo cogenerativo nel corso dell’anno.
Inquinante U.M. Valore
SO2 ton/anno 18,35
NOX + NH3 (come NO2) ton/anno 23,60
CO ton/anno 26,22
HCl ton/anno 0,52
HF ton/anno 0,10
COT ton/anno 5,24
Polveri ton/anno 0,52
Le considerazioni sulle emissioni in atmosfera effettuate nel presente paragrafo risultano essere
molto cautelativi in quanto, i limiti previsti dal piano di tutela e ripristino della qualità dell’aria
della Regione Lazio sono più restrittivi rispetto a quelli previsti dal D.Lgs. 152/06.
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In ogni caso, stante la potenza termica primaria, che supera il valore limite di 3,0 MW (circa 3,5
MW) dovrà essere richiesta specifica autorizzazione alle emissioni in atmosfera ai sensi di
legge.
Misura di mitigazione e prevenzione
In generale le emissioni dei gas di scarico del gruppo cogenerativo, in quanto soggette a
specifica autorizzazione, sono vincolate a rispettare i limiti imposti dagli stessi dispositivi
autorizzativi, nonché sono oggetto di una serie di attività di monitoraggio e controllo (illustrate
nei successivi paragrafi), finalizzate alla verifica del corretto funzionamento ed al rispetto dei
limiti di cui sopra. Già questo aspetto, ovvero il rispetto dei limiti imposti, rappresenta di per sé
un accorgimento di prevenzione che mira a ridurre il possibile inquinamento atmosferico per
effetto della diffusione degli efflussi gassosi in uscita dai punti di emissione.
I camini dei motori sono posizionati ad un’altezza di almeno 10 m da terra, così come indicato
dall’art. 6 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano di Risanamento della Qualità dell’aria
della Regione Lazio per gli impianti con potenza termica compresa tra 3MW e 10MW termici
quale quello in oggetto, e questo senza dubbio rappresenta un elemento di mitigazione del
possibile impatto sulla qualità dell’aria all’interno dell’area di impianto, con diretto beneficio per
lo stato di salute delle maestranze impiegate ogni giorno e dunque, in linea di principio,
sfavorevolmente esposte (tempi di permanenza prolungati e frequenti) a tali effetti.
Al fine di garantire il rispetto delle concentrazioni di COT e CO al camino sarà inoltre prevista
l’installazione di un termoreattore che consentirà la post-combustione dei fumi fino ai valori
previsti dalla normativa.
DESCRIZIONE DELL’IMPIANTO DI POST-TRATTAMENTO DEI FUMI
Il sistema di post-combustione previsto sarà costituito dai seguenti componenti:
Post combustore
Costruito internamente in acciaio inox AISI 310 per contenere le sollecitazioni termiche ed
esternamente in acciaio al carbonio verniciato. La sua funzione è di abbattimento del carbonio
organico totale (COT) e del CO, emesso dai fumi di scarico dei motori alimentati a biogas. Le
sue dimensioni di ingombro in pianta sono circa 4,5 x 2.3 metri, per un’altezza massima di 3,3
metri. In particolare esso sarà costituito da:
- Torri di accumulo calore :n°2 Torri a letto statico costruite in acciaio inox AISI 310.
Ciascuna torre è predisposta per contenere i corpi ceramici ed ha una struttura di
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sostegno interna adeguata al massimo carico statico. Corpi di riempimento in materiale
ceramico adatto a temperature fino 1000 °C, con conducibilità termica K da 0,958 a 1,024
al variare delle temperature di esercizio, che presentano altissima resistenza alla
temperatura, all’abrasione e minimi coefficienti di dilatazione. La conformazione di detti
corpi è tale da assicurare il massimo rapporto utile fra superficie di contatto e massa
disponibile per l’accumulo ed il rilascio del calore.
- Camera di ossidazione termica: Camera di reazione costruita in acciaio inox AISI 310.
Costituisce la parte superiore di collegamento fra le due torri di accumulo. All’interno è
alloggiato un sistema di resistenze elettriche da 3,5 Kw cadauna e le termocoppie,
quest’ultime utilizzate per il controllo necessario al mantenimento della temperatura di
regime impostata.
Valvola a 4 vie
Costruita in acciaio inox AISI 310 e opportunamente coibentata con azionatore pneumatico e
rilevatore di posizione, per garantire la posizione corretta per ogni ciclo di funzionamento.
Circuito gas di scarico
Sistema di tubazioni dedicate al trasporto dei fumi, realizzate in acciaio inox AISI 304 e
provviste di giunti di dilatazione. Saranno inoltre opportunamente coibentate e rivestite con
lamierino in alluminio. Il tutto sarà alloggiato su staffe di acciaio dotate di rulli di scorrimento, per
permettere la dilatazione necessaria secondo la temperatura di esercizio. Lungo la linea
saranno installati punti di campionamento e punti di drenaggio. Tale circuito termina all’interno
del camino esistente presso l’impianto.
Quadro elettrico
Utilizzato per il comando e controllo delle funzioni del post combustore, fornito a bordo
macchina e corredato di tettoia antipioggia Grado di Protezione IP 55. Comprenderà:
- Armadio con ventilatore e bocchette per raffreddamento;
- Interruttore generale;
- Comandi, protezioni, alimentazione e segnalazioni al sistema;
- Morsettiere con contatti puliti per consensi e blocchi esterni;
- Trasformatori ausiliari;
- Relé programmatore per la regolazione automatica della temperatura e logica di
funzionamento; P.L.C. programmato per la gestione ed il controllo del sistema che
gestisce le logiche di marcia: regolazione, blocco ed allarme, set-point di
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termoregolazione e sicurezze, logica di segnalazione sulle pagine grafiche del pannello
interfaccia operatore;
- Pannello d’interfaccia operatore touch-screen per la visualizzazione dei tempi del ciclo,
acquisizione dati, visualizzazione allarmi, grafico andamento, set-point di
termoregolazione. Provvisto d’idonea password.
Schematizzazione del circuito di abbattimento del CO e del COT
Il funzionamento dell’impianto si basa sulla proprietà di particolari corpi ceramici, di peso e
superficie esterna ben definiti, che fungono da accumulatori di energia termica (serbatoi
di calore), scambiabile attraverso un contatto diretto aria/corpi.
Il flusso d’aria da depurare attraversa alternativamente e con tempi variabili, basati sulle
temperature della camera di reazione, due serbatoi di calore che fungono rispettivamente da
riscaldatore e da recuperatore di energia termica.
Condizione necessaria per la distruzione del COT e del CO è una temperatura costante di
almeno 750°C, che permetta la completa ossidazione. In fase di avviamento il sistema di
gestione pilota, con un sistema ad impulsi, una serie di resistenze elettriche che permettono il
raggiungimento della temperatura richiesta e lo stesso sistema le disattiva a temperatura
raggiunta, continuando il funzionamento in autoalimentazione.
Per accelerare tale condizione il post combustore è dotato di due lance per l’immissione di gas.
Tali componenti possono essere utilizzati dal sistema di gestione anche durante il normale
Committente: Progettista: Rif. Job. Rev. Data Pag. Luglio
RECALL Latina Srl Ing. Ferdinando Ferdinandi 002amb/2013 08/2013 3240/1506 Sintesi non tecnica
esercizio, qualora si dovesse verificare un calo di temperatura al di sotto dei 750°C, dovuto alla
variazione di volume di gas di scarico convogliato all’interno del sistema.
La peculiare caratteristica fisica dei corpi ceramici è utilizzata per creare le condizioni termiche
di minor consumo d’energia ausiliaria, per portare l’aria inquinata nella camera di reazione. In
altre parole, l’energia termica, necessaria per il riscaldamento dell’aria inquinata sino alla
temperatura di completa ossidazione, viene trasferita alternativamente tra i due serbatoi di
calore.
L’inquinante presente nelle emissioni inizia a bruciare (senza fiamma) sin dal momento in cui
raggiunge la sua temperatura di autoaccensione, che avviene già all’interno del letto ceramico.
In tal modo si ha un innalzamento della temperatura, in ragione della concentrazione
dell’inquinante.
Il gas, già in fase di ossidazione e quindi di depurazione, passa poi nella camera di reazione per
ottenere la combustione completa delle sostanze organiche presenti e per fornire al sistema
l’energia termica necessaria all’auto funzionamento.
La camera sarà opportunamente dimensionata per assicurare al gas di scarico una
permanenza non inferiore a 0,8 sec. alla temperatura di reazione di almeno 750°C.
Il gas combusto così purificato attraversa poi il secondo serbatoio al quale cede il contenuto di
calore precedentemente accumulato, per poi uscire dal camino con una temperatura di poco
superiore a quella d’ingresso.
Con questo sistema si è sviluppato un processo nel quale l’energia termica necessaria al
riscaldamento del flusso d’aria fino alla temperatura di reazione, è immagazzinata in serbatoi
di calore aventi masse, caratteristiche chimico-fisiche e superfici di scambio termico tali, da
minimizzare i costi di gestione.
DESCRIZIONE DEL SISTEMA DI DESOLFORAZIONE
Al fine di evitare la corrosione delle componenti meccaniche del motore e l’immissione dei
inquinanti in atmosfera, prima dell’utilizzazione del biogas all’interno dei gruppi cogenerativi, il
biogas, che contiene modeste tracce di acido solfidrico (H2S), sarà opportunamente trattato, in
particolare adottando un sistema di desolforazione biologica che avverrà attraverso
l’insufflazione di aria all’interno delle cupole gasometriche sovrastanti i fermentatori.
Mediante un sistema di compressione, una piccola quantità d’aria, continuamente controllata,
verrà introdotta nel serbatoio di raccolta del gas.
La quantità d’aria verrà regolata secondo il contenuto di acido solfidrico. Quando il contenuto di
acido solfidrico aumenterà, anche l’aria introdotta subirà un conseguente incremento e quando
il contenuto di acido solfidrico diminuirà verrà analogamente ridotta l’aria in ingresso.
Committente: Progettista: Rif. Job. Rev. Data Pag. Luglio
RECALL Latina Srl Ing. Ferdinando Ferdinandi 002amb/2013 08/2013 3250/1506 Sintesi non tecnica
Il tasso di ossigeno del biogas viene misurato e visualizzato in quanto deve rientrare tra un
minimo dello 0,1% e un massimo dello 0,8% in volume.
Il tasso d’ossigeno non dovrà comunque eccedere il 6% in volume in nessuna circostanza. Per
evitare il riflusso di biogas nella tubazione dell’aria viene installata una valvola di non ritorno.
Nel processo di desolforazione biologica, i batteri dapprima ossidano l’acido solfidrico in ione
solfato e quindi riducono il solfato formando zolfo elementare.
Per i batteri è normalmente sufficiente un tasso di ossigeno ridotto (< 1% in volume). In tale
processo biologico i batteri aderiscono alle superfici del fermentatore. È presente un leggero
deposito solido sopra la sospensione semiliquida. Lo strato di deposito fornisce umidità e
nutrimento ai batteri.
Lo zolfo elementare si accumulerà sulle superfici del fermentatore, specialmente sulla superficie
del fluido in fermentazione e sarà visibile sotto forma di strato bianco-giallastro.
Questi depositi di zolfo elementare vengono successivamente rimossi dalla camera di
sospensione assieme al residuo di fermentazione e non ne viene permesso l’accumulo nel
fermentatore.
I micro-organismi, della famiglia Thiobacillus, sono già presenti nel materiale in fase di
digestione.
Le rese di abbattimento, variabili in funzione delle caratteristiche locali di temperatura e del
tempo di reazione, possono raggiungere il 95%.
La concentrazione di H2S attesa nel biogas, dopo il trattamento sopra descritto, è pari a circa lo
0,02 % in volume, valore molto inferiore a quanto prescritto dal D.L. 152/2006 e soprattutto dal
Piano di tutela dell’aria della Regione Lazio.
Qualora tali valori non siano rispettati, si procederà ad un ulteriore abbattimento per via chimica
attraverso l’immissione nei digestori di ossido di ferro e/o l’installazione di filtri ai carboni attivi
sulla linea di captazione e adduzione del biogas ai motori.
3.1.2 POLVERI
Analisi degli impatti
Il materiale conferito presso l’impianto è costituito da rifiuti ad elevata percentuale di umidità,
tale da non consentire la formazione di polveri. Inoltre non essendo previste lavorazioni
meccaniche veloci delle biomasse quali triturazione di residui ligno-cellulosici, vagliatura e
raffinazione del digestato solido (interamente conferito presso impianti terzi) non si prevede in
alcun modo la produzione di polveri.
Committente: Progettista: Rif. Job. Rev. Data Pag. Luglio
RECALL Latina Srl Ing. Ferdinando Ferdinandi 002amb/2013 08/2013 3260/1506 Sintesi non tecnica
L’unica possibile fonte di inquinamento da polveri può essere generata dal passaggio dei mezzi
conferitori e dei mezzi d’opera. Tuttavia essendo la viabilità e l’area di manovra dell’impianto
interamente asfaltata come pure la viabilità di accesso al lotto, il rischio di generazione delle
polveri risulta estremamente ridotto.
Nonostante si ritenga poco significativo l’effetto di tale impatto sulle componenti ambientali
interessate si ritiene comunque necessario fornire, nei paragrafi successivi, indicazioni sulle
misure di prevenzione e di mitigazione che possono essere adottate.
Misura di mitigazione e prevenzione
Al fine della salvaguardia della salute dell’uomo e dell’ambiente dalla emissioni di polveri, in
primo luogo si rimanda al rispetto della normativa di riferimento in materia dei qualità dell’aria ed
in particolare al D.Lgs. 155/2010 che fornisce i valori limite della concentrazioni di inquinanti
dell’aria e dei quali si riporta una sintesi nella tabella che segue.
Sintesi del quadro normativo relativo ai valori limite delle concentrazioni di polveri sottili nell’aria
Inquinante
Tempo di
mediazione dei
dati
Unità di
Misura Limite Margine di tolleranza
Data di
raggiungimento
del valore limite
1 giorno g/m3
50 (da non superare
più di 35 volte per
anno civile)
50% il 19 luglio 1999, con una
riduzione il 1° gennaio 2001 e
successivamente ogni 12 mesi secondo
una percentuale annua costante fino a
raggingere lo 0% entro il 1° gennaio
2005
Già in vigore dal 1°
gennaio 2005
PM 10
1 anno civile g/m3 40
20% il 19 luglio 1999, con una
riduzione il 1° gennaio 2001 e
successivamente ogni 12 mesi secondo
una percentuale annua costante fino a
raggingere lo 0% entro il 1° gennaio
2005
Già in vigore dal 1°
gennaio 2005
FASE 1
1 anno civile g/m3 25
20% il 11 giugno 2008, con una
riduzione il 1° gennaio successivo e
successivamente ogni 12 mesi secondo
una percentuale annua costante fino a
raggingere lo 0% entro il 1° gennaio
2015
1° gennaio 2015
PM 2,5 FASE 2
Valore limite da stabilire con successivo decreto ai sensi dell'articolo 22,
comma 6, tenuto conto del valore indicativo di 20 μg/m3 e delle verifiche
effettate dalla Commissione europea alla luce di ulteriori informazioni circa le
conseguenze sulla salute e sull'ambiente, la fattibilita' tecnica e l'esperienza
circa il perseguimento del valore obiettivo negli Stati membri.
Committente: Progettista: Rif. Job. Rev. Data Pag. Luglio
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Per quanto riguarda le misure preventive e/o mitigative da adottare durante la fase esecutiva
dell’impianto si forniscono le seguenti indicazioni:
limitare le velocità dei mezzi impiegati in cantiere entro i 10 km/h, in modo da ridurre la
possibilità di generare polveri;
provvedere, durante la stagione secca, alla periodica bagnatura delle aree di lavorazione in
modo da abbattere la possibilità di generazione di polveri;
realizzare, una barriera arborea perimetrale con funzione di schermo alla diffusione e
propagazione verso l’esterno delle polveri;
Nonostante l’adozione degli accorgimenti sopra descritti, gli addetti alle macchine che possono
essere soggetti all’inalazione di polveri, verranno comunque dotati di dispositivi di protezione
individuale per evitare l’inalazione diretta, ed utilizzeranno mezzi operativi comunque muniti di
cabine di protezione in grado di isolarli dalla propagazione delle polveri medesime, ai sensi del
D.Lgs. 81/08 e smi.
3.1.3 EMISSIONI ODORIGENE
Analisi degli impatti
Le emissioni di odori molesti rappresentano senza dubbio una potenziale fonte di impatto
rilevante per l’impianto oggetto della presente relazione. Tale impatto risulta inoltre quello
socialmente più sentito in quanto costituisce uno dei principali fattori di alterazione del
benessere psicofisico in quanto l’emissione incontrollata di cattivi odori, potrebbe provocare
malesseri fisici e spiacevoli sensazioni di disagio sia negli addetti dell’impianto che nella
popolazione residente nelle immediate vicinanze dell’impianto. L’inquinamento olfattivo è
costituito dall’emissione in atmosfera di composti volatili organici che, nella maggior parte dei
casi, non raggiunge concentrazioni tali da determinare pericoli reali per la salute. Tra l’altro, la
percezione dell’odore è una reazione involontaria e spontanea ed è un fattore tipicamente
soggettivo; ognuno di noi percepisce l’intensità dell’odore, il cosiddetto “tono edonico”, e lo
considera più o meno sgradevole in base alla proprio sensibilità di percepire e sopportare
questo disagio.
L’impianto in oggetto è alimentato da rifiuti organici, ricchi pertanto di materiale putrescibile in
grado di generare emissioni diffuse di odori. Pertanto l’impianto in questione è potenzialmente
produttore di emissioni odorigene proprio in relazione al tipo specifico di rifiuti trattati in ciascuna
delle sezioni che costituiranno la struttura. In particolar modo le esalazioni maleodoranti
saranno generate dai composti volatili prodotti durante la decomposizione dei rifiuti, soprattutto
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in fase di deposito. Infatti, le parti organiche, degradandosi, formano complesse molecole di gas
che sono i principali responsabili di tali emissioni odorigene.
Le potenziali emissioni di odori nell’impianto in oggetto sono:
- emissioni dal prodotto fresco, appena conferito, costituito essenzialmente da sottoprodotti
della prima decomposizione della sostanza organica, riguardante per lo più le zone di
stoccaggio;
- emissioni odorigene dal sistema di concentrazione delle acque di processo (acque di
disidratazione del digestato in uscita dalla sezione di digestione anaerobica) immesse in
testa all’hydropulper;
- emissioni di biogas (metano, anidride carbonica, etc.) e soprattutto della sua componente
minore, l’acido solfidrico (H2S). Tale composto al fine di non generare impatti
sull’ambiente e sui macchinari viene rimosso, prima che il biogas sia inviato al motore,
mediante l’unità di desolforazione biologica sopra descritta. Tutto il processo avviene in
un ambiente a tenuta ermetica, studiato per evitare dispersioni e potenzialmente dannose.
Dopo la desolforazione il biogas è trasportato in condotte stagne che non permettono
scambi con l’esterno fino al motore che lo utilizzerà come combustibile. E’ pertanto
evidente come nell’intero processo, non vi sia interfaccia tra l’ambiente circostante ed il
sistema di condutture che trattano e convogliano il biogas al motore. In base a quanto
detto si possono escludere emissioni odorigene legate alla dispersione di H2S
Nei paragrafi successivi si forniscono indicazioni sulle misure di prevenzione e di mitigazione
che saranno adottate al fine minimizzare i potenziali imbatti ambientali legati alle emissioni
odorigene.
Misura di mitigazione e prevenzione
Al fine di evitare la diffusione in ambienti circostanti di odori, l’impianto sarà dotato di un sistema
aeraulico per la captazione dell’aria (confinamento dell’aria nei locali di lavorazione) e da un
sistema di abbattimento delle arie esauste. In particolare il sistema aeraulico per la captazione
dell’aria sarà costituito da una rete di tubazioni di aspirazione servita da ventilatori assiali
deputato all’estrazione dell’arie esauste presenti nei locali di lavorazione per convogliarle ad un
sistema di abbattimento costituito da scrubber e biofiltro.
Lo scrubber ad umido è un'apparecchiatura che consente di abbattere la concentrazione di
sostanze presenti in una corrente gassosa solitamente polveri e microinquinanti acidi,
attraverso il contatto e la miscelazione tra la corrente di aria inquinata e un liquido in
controcorrente. Tale processo si realizza in un ambiente confinato completamente isolato con
l’esterno in cui avviene il trasferimento dalla fase gas alla fase liquida delle componenti
inquinanti presenti nella miscela, mediante dissoluzione in opportuno solvente. Il liquido
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assorbente base è l’acqua. L’impiego di acqua e reagenti chimici garantisce l’efficacia
dell’abbattimento sia per le sostanze idrosolubili (quali ammoniaca, alcoli, acidi grassi volatili,
ecc.) che per quelle scarsamente solubili (quali composti clorurati, le ammine, l’acido solfidrico, i
chetoni, le aldeidi, ecc.) o insolubili (quali dimetildisolfuro, idrocarburi aromatici, ecc.).
Il sistema di biofiltrazione è una tecnologia mediante la quale le emissioni gassose da trattare
vengono fatte passare uniformemente attraverso un mezzo poroso biologicamente attivo,
ovvero in un apposito letto riempito con materiali quali cortecce, legno triturato, compost
maturo, torba, ecc., mantenuti a condizioni di temperatura e umidità costanti e che vengono
colonizzati da microrganismi aerobi in grado di degradare i composti da trattare presenti nelle
emissioni. Prima dell’uscita dal letto filtrante, la corrente emissiva si arricchisce di CO2 e degli
altri composti volatili prodotti e del calore generato dalle reazioni biochimiche. È importante
sottolineare che la colonizzazione e le attività metaboliche avvengono all’interno del biofilm che,
in questo caso, deve intendersi come la pellicola d’acqua che si crea attorno alle particelle della
matrice solida di cui il biofiltro è costituito. I composti rimovibili con la biofiltrazione sono:
ammoniaca, monossido di carbonio, acido solfidrico, acetone, benzene, butanolo, acetato di
butile, dietilammina, disolfuro di metile, etanolo, esano, etilbenzene, butilaldeide, acetato,
scatolo, indolo, metanolo, metiletilchetone, stirene, isopropanolo, metano, metilmercaptano,
monoditriclorometano, monossido di azoto, tricloroetano, tetracloroetano, 2-etilesanolo, xilene.
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Il sistema aeraulico e di abbattimento delle emissioni sarà asservito ai capannoni descritti nei
paragrafi precedenti, e nei quali avverrà il conferimento ed il pretrattamento dei rifiuto, nonché il
post-trattamento del digestato.
Il principio di funzionamento del sistema di trattamento dell’aria esausta è riportato nella figura
di seguito.
I principali inquinanti che si ritrovano negli effluenti dalle specifiche attività sono polveri ed odori
originati dalle sostanze organiche in bio-ossidazione, già avviata all’interno dei mezzi al
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momento del conferimento. In particolare i suddetti impatti possono essere generati ad opera
della presenza di alcune componenti chimiche quali:
- Polveri Totali,
- Acidi organici (acido acetico + acido propionico + acido butirrico),
- Mercaptani,
- Ammoniaca,
- Idrogeno solforato,
- Altre sostanze organiche volatili.
La quantità stimata di polveri prodotte dalle sostanze oggetto della presente richiesta, è pari
(come da esperienze similari) cautelativamente a 200 mg/m3. Inoltre si assume come
temperatura dell’effluente gassoso all’interno dei capannoni quella dell’ambiente circostante.
Per una più accurata descrizione del processo vedere la Relazione dedicata alle Emissioni in
atmosfera allegata al presente Studio
Dall’analisi di quanto riportato si può evidenziare come il progetto proposto possa provocare un
impatto sull’atmosfera sensibile, reversibile solamente con il termine del ciclo di vita
dell’impianto, ma completamente mitigabile.
3.2 IDROGEOLOGIA
Dal punto di vista idrogeologico e di qualità delle acque il sito di progetto ricade nel
Bacino n. 27 “Rio Martino”. I corsi d’Acqua di detto bacino, secondo il Piano di Tutela della
qualità delle acque, presentano una qualità scadente.
Il progetto, prevedendo il prelievo d’acqua tramite realizzazione di un pozzo e scarichi in
corpo idrico superficiale presenta potenziali impatti sulla componente idrica sotterranea e
superficiale.
Scarichi delle acque
I sistemi di trattamento delle acque reflue prodotte dall’impianto si differenziano in:
- Impianto di trattamento delle acque di prima pioggia,
- impianto d trattamento delle acque di processo.
Tali sistemi sono dimensionati per trattare tutte le acque di scarico, quindi anche nel caso in
cui, per qualsiasi motivo tecnico, non si possa effettuare il ricircolo dell’acqua verso l’impianto.
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3.2.1 IMPIANTI DI GESTIONE DELLE ACQUE DI PRIMA PIOGGIA
L’impianto di trattamento delle acque di prima pioggia depurerà le acque:
- Meteoriche di dilavamento piazzali;
- di prove antincendio e di lavaggio piazzali esterni.
Le prime insistono sui piazzali di transito e manovra e di stoccaggio/deposito temporaneo di
rifiuti non pericolosi e sulle aree di viabilità e parcheggio. Tali acque sono caratterizzate da
residui di sabbie, oli e tracce di idrocarburi derivanti dalla presenza degli autoveicoli di trasporto.
Si considerano acque da trattare quelle corrispondenti ai primi 5 mm di pioggia assunte con un
coefficiente di afflusso in fognatura pari a 1.
Le acque in eccesso e le acque meteoriche provenienti dai tetti degli edifici, considerate a
basso carico inquinante, verranno direttamente scaricate nel corpo idrico recettore dal pozzetto
finale dell’impianto.
Le acque per le prove antincendio vengono raramente utilizzate per prove interne di tenuta, di
pressione statica e dinamica e per esercitazioni. Questa tipologia di acque viene normalmente
raccolta dai sistemi di fognatura delle acque di prima pioggia e convogliata all’impianto di
trattamento.
Le acque di lavaggio piazzali esterni agli edifici costituiscono una tipologia di scarico che
tipicamente viene generata, solo nel periodo estivo. Unitamente all’acqua non viene utilizzato
alcun detergente o prodotto chimico di sorta. Le acque di lavaggio per caratteristiche e portate
vengono assimilate alle acque di dilavamento dei piazzali e quindi raccolte dalla medesima rete
e trattate nel medesimo impianto.
Descrizione del processo di depurazione delle acque di prima pioggia
Il sistema di trattamento delle suddette acque è articolato nelle seguenti fasi:
- Accumulo. Tramite dei pozzetti di captazione, opportunamente posizionati, le acque di
prima pioggia verranno convogliate nelle vasche di accumulo. Dette vasche sono
collegate tra loro da una condotta posta ad una certa altezza dal fondo in modo da
impedire il trascinamento nelle successive vasche del materiale sedimentato, garantendo
una preventiva fase di dissabbiatura del materiale più grossolano;
- Accumulo e sollevamento. In questa vasca verrà posta idonea pompa per il travaso al
dissabbiatore-disoleatore;
- Dissabbiatore – disoleatore. Tale sistema è usato per la separazione dei solidi
sedimentabili e degli oli sfruttando la loro diversa densità: mentre le sabbie si
depositeranno sul fondo della vasca, gli oli in superficie saranno accumulati in un pozzetto
di raccolta che sarà periodicamente aperto per far scolmare le sostanze oleose che si
depositano in superficie. Si provvederà periodicamente allo svuotamento del
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dissabbiatore-disoleatore per lo smaltimento delle sabbie e degli oli accumulati attraverso
ditte autorizzate a norma di legge.
Il sistema di trattamento delle acque di prima pioggia è dimensionato per trattare i primi 5 mm di
pioggia. L’eccedenza e le acque provenienti dai tetti, essendo considerate acque pulite, sono
convogliate direttamente nel pozzetto finale per poi essere direttamente scaricate nel canale,
nel rispetto di quanto sarà prescritto dalla Provincia di Latina, settore Ecologia e Ambiente, in
fase di autorizzazione allo scarico.
3.2.2. IMPIANTO DI TRATTAMENTO DELLE ACQUE DI PROCESSO
L’impianto d trattamento delle acque di processo depurerà:
- le acque reflue domestiche;
- le acque di processo (digestione anaerobica);
- le acque di lavaggio ruote;
- gli sversamenti accidentali e colaticci eventualmente prodotti nelle aree interne;
- le acque di lavaggio delle pavimentazioni interne ai capannoni.
Le acque reflue domestiche provengono dai servizi igienici presenti nell’edificio uffici. Si
riportano le caratteristiche medie delle acque reflue civili:
BOD5 (30 gr/ad*g) kg/d 0,3
Azoto (9 gr/ad*g) Kg/d 0,09
Fosforo (1 gr/ad*g) Kg/d 0,01
Le acque derivanti dal processo di digestione anaerobica (il digestato), in quantità da trattare
nettamente superiore rispetto le altre, sono caratterizzate da un elevato contenuto di azoto
ammoniacale, creatosi durante la degradazione delle frazioni organiche, variabile, secondo dati
di letteratura, da 1.000 a 2.500 mg/l, con punte di a 4.000 mg/l; possono altresì essere presenti
concentrazioni residue di acidi grassi non trasformati durante la digestione. Il digestato presenta
una percentuale di sostanza secca pari a circa 8%.
Le acque di lavaggio delle ruote provengono dal lavaggio degli automezzi per la raccolta ed il
trasporto dei rifiuti in uscita all’impianto. Tale sistema, voluto per evitare che i mezzi trasportino
al di fuori dell’impianto materia organica raccolta durante lo scarico nella sezione di stoccaggio
dei rifiuti, è costituito da una platea, con apposita griglia per la raccolta dell’acqua, e da una
struttura autoportante dalla quale vengono emessi dei getti di acqua a forte pressione. Il ciclo di
lavaggio è completamente automatico e non è pertanto necessaria la presenza di personale
durante l’operazione.
Le acque di lavaggio delle pavimentazioni interne sono acque che si generano occasionalmente
quando si effettua la pulizia nei capannoni: nei casi in cui saranno utilizzati prodotti per la pulizia
dei locali, l’acqua di scarico prodotta verrà convogliata verso l’impianto di depurazione.
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Le acque di lavaggio delle pavimentazioni interne, le acque degli sversamenti accidentali e
colaticci prodotti nelle aree interne e le acque destinate al lavaggio delle ruote saranno
composte principalmente da frazioni organiche e avranno quindi caratteristiche simili a quelle
del digestato. Tali acque potranno, tramite una valvola di baypass , o essere direzionate verso
l’impianto di trattamento delle acque di processo o essere recuperate nel serbatoio polmone.
Descrizione del processo di depurazione
Il processo di trattamento proposto sfrutta il calore prodotto dal cogeneratore durante la
trasformazione del biogas in energia tramite un sistema di evaporazione/concentrazione.
Il sistema ha come obiettivi principali:
- la riduzione dei volumi in gioco;
- il recupero del calore prodotto;
- la concentrazione dei nutrienti presenti nel digestato.
Tale impianto sarà preceduto da un sistema di separazione di fasi che produrrà, da una parte,
una frazione solida da avviare ad una successiva fase di bio-ossidazione presso opportuni
impianti autorizzati e, dall’altra, una frazione liquida ricca di nutrienti (ammoniaca, fosfato,
potassio) che sarà avviata al trattamento in oggetto.
I prodotti finali del sistema di evaporazione/condensazione saranno:
- il distillato che presenta caratteristiche tali da poter soddisfare i limiti per lo scarico in
acque superficiali,
- il concentrato, avente un’elevate quantità di ammoniaca (sotto forma di sali di ammonio),
che sarà poi o utilizzato nei campi per le sue proprietà fertilizzanti o utilizzato per
arricchire il digestato solido da avviare alla fase successiva di compostaggio.
Il sistema prevede tre fasi distinte:
- correzione del pH al fine di creare nella successiva fase di processo quell’ambiente acido
in grado di favorire le reazioni chimiche che consentono di “trattenere” l’ammoniaca NH3,
presente nel refluo in ingresso, nel concentrato come ione ammonio NH4+ e per eliminare
i gas incondensabili quali la CO2;
- evaporazione/condensazione con separazione delle due frazioni liquida/solida di cui
sopra;
- fase di post-trattamento per affinare la qualità del distillato ed eliminare residui di
inquinanti che possono essere ancora presenti pervio lo scarico in fosso.
Il sistema multi stadi sfrutta il calore recuperato dal modulo di cogenerazione, sotto forma di
acqua o di vapore.
Tutta la depurazione avviene in un serbatoi e tubazioni chiusi e collegati tra loro in modo da
evitare così perdite di ammoniaca creatasi durante la fase di evaporazione.
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Per una più accurata descrizione del processo vedere la Relazione dedicata agli Scarichi
allegata al presente Studio.
3.2.3 CONSIDERAZIONI SULLA COMPATIBILITA’ POZZO/ACQUIFERO
Ricordando il fabbisogno idrico massimo richiesto in concessione pari a 14.512m3/anno e
considerando che le ricariche della falda che si intende captare ammontano a 4.838.230
m3/anno, appare evidente come il volume idrico richiesto in concessione rappresenti lo 0,3%
delle ricariche. Tale valore risulta ampiamente sostenibile dal sistema idrogeologico interessato
e permette di escludere che il prelievo richiesto in concessione possa inficiare la falda e
condurre ad un depauperamento della risorsa.
Allo stesso modo ricordando la portata massima richiesta in concessione pari a 3,545l/s e la
portata media delle ricariche che alimentano la falda (153,42l/s), appare evidente come il
massimo prelievo che si potrà realizzare esclusivamente 5 giorni anno non consecutivi con un
pompaggio di 8 h/gg rappresenta il 2,31% delle ricariche. In base a quanto detto si può
assumere che anche la massima portata di prelievo prevista dal progetto è ampiamente
compatibile con il sistema idrogeologico interessato dalle opere.
Le considerazioni finora fatte sono supportate anche dal fatto che le acque derivate dal pozzo
vengono restituite all’interno dello stesso bacino idrogeologico captato e le restituzioni sono
superiori ai prelievi.
La distanza dell’opera in progetto dal mare (oltre 18 km) è tale da scongiurare qualsiasi
problema di potenziali intrusioni di acque saline.
A circa 300 m dal sito di realizzazione del pozzo si rilevano insediamenti industriali che possono
configurarsi come potenziali centri di pericolo. Tali insediamenti sono realizzati al disopra dello
stesso acquifero freatico superficiale oggetto di captazione. Tuttavia la presenza di litologie
superficiali a scarsa permeabilità e una direzione di deflusso sotterraneo con direzione sud
sono comunque in grado di garantire la salvaguardia della risorsa.
Dall’analisi di quanto riportato si può evidenziare come il progetto proposto possa provocare un
impatto sui corpi idrici superficiali sensibile, reversibile solamente con il termine del ciclo di vita
dell’impianto, ma completamente mitigabile. La realizzazione del pozzo, non crea invece impatti
rilevanti sulla falda sotterranea.
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3.3 ASPETTI GEOLOGICI E SISMICI
Inquadramento geologico locale
Per quanto concerne l’assetto geologico locale, l’area in esame è caratterizzata da una
stratigrafia costituita per i primi 50/60 m da alternanze fra depositi di tipo argilloso, limoso,
torboso, di origine lagunare e spessore variabile con frequenti eteropie sia verticali che
orizzontali, contenenti livelli travertinosi, intervallati da un livello più o meno potente di
piroclastici di provenienza albana.
Tali terreni sono posto al tetto di depositi marini in facies epilitorale che, da circa 60 m di
profondità,proseguono oltre i 100 m. La porzione superiore dei depositi marini è contraddistinta
dalla presenza di marne e limi..
Aspetti Morfologici
L’area in esame si inserisce nella zona orientale della Pianura Pontina, un’area pianeggiante
delimitata a Nord dai rilievi dei Colli Albani, a N-E dalle pendici della catena dei Monti Lepini e a
Sud e S-W dal Mare Tirreno e dal promontorio del Circeo.
Il modellato superficiale presenta una forma pianeggiante che digrada in maniera blanda verso
il mar Tirreno e contrasta in maniera netta con lo stacco morfologico rappresentato dai
contrafforti Sudoccidentali dei rilievi della catena lepina.
Più blando invece è il passaggio fra la Piana Pontina e i versanti meridionali dei rilievi dei Colli
Albani.
L’idrografia è contraddistinta dalla presenza di una fitta rete di canali di origine antropica
risalenti all’opera di bonifica, che ha permesso il drenaggio delle acque superficiali verso la
costa, quest’ultima caratterizzata dalla presenza di un cordone litoraneo.
In riferimento all’assetto morfologico locale, la zona si mostra pianeggiante, con l’unica variabile
rappresentata dalla presenza delle arginature dei numerosi canali e fossi artificiali che la
attraversano.
Visto l’assetto morfologico, si esclude il manifestarsi di fenomeni legati ad eventi di dissesto
gravitativo.
L’impatto sulla componente geologica può ritenersi limitato sia nella fase di cantiere, in
cui si avranno i movimenti terra che altereranno l’assetto esistente, sia nella fase di
esercizio in cui l’aumento della superficie impermeabilizzata saià completamente
mitigata dalla regimazione delle acque meteoriche.
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Aspetti Sismici
In base a quanto stabilito nell’allegato C alla D.G.R. n. 10 del 13/01/2012 è possibile definire la
Pericolosità Geologica del Sito e la Classe di Rischio Geologico ad essa correlata nella seguente maniera:
Classe d’uso della struttura II
Categoria sismica UAS 3A
Pericolosità geologica Tipo A: Bassa
Classe di rischio geologico Rischio Basso
In base a quanto riportato il sito di intervento non presenta particolari rischi di natura
geologica e sismica.
3.4 USO E PROTEZIONE DEL SUOLO
I terreni oggetto di intervento, anche se attualmente utilizzati come seminativo, non
costituiscono un nucleo organico produttivo riconducibile ad una specifica realtà agraria in
quanto frammentati in varie proprietà ed isolati da più ampi contesti agricoli limitrofi. Nel
complesso i terreni inedificati circostanti ricadenti anch’essi in zona con destinazione d’uso
Industriale non presentano continuità con altri appezzamenti agricoli essendo chiusi tra
l’edificato industriale, le infrastrutture viarie e l’aeroporto Camani. In base a quanto detto i
terreni oggetto di intervento non sono mai stati contraddistinti da una particolare vocazione
agricola rimanendo nelle disponibilità di vari proprietari e non assorbiti dalle realtà agrarie
operanti nell’area Pontina.
Onde prevenire ogni fenomeno di inquinamento del suolo verranno adottate le seguenti misure:
- Pavimentazione delle aree interne adibite allo stoccaggio/deposito temporaneo e alla
lavorazione: Tutte le pavimentazioni interne ai capannoni ed alle tettoie saranno del tipo
industriale in calcestruzzo cementizio armato. I capannoni saranno dotati di un sistema
per la raccolta delle acque di lavaggio e di eventuali percolati e sversamenti. Essendo i
rifiuti trattati tutti rifiuti non pericolosi che possono produrre percolati organici, il lavaggio
sarà effettuato unicamente con acqua con o senza prodotti per abbattimento odori.
- Pavimentazione delle aree esterne adibite allo stoccaggio e delle aree di manovra e di
sosta: Le aree di stoccaggio esterne al capannone e le aree adibite alla viabilità interna e
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al parcheggio saranno pavimentate con conglomerato bituminoso con cordolo di
contenimento perimetrale e dotate di fognatura di raccolta delle acque meteoriche in
modo da permettere un veloce e sicuro deflusso delle acque nelle reti fognanti. I rifiuti in
grado di produrre percolati saranno stoccati/depositati temporaneamente in cassoni
coperti stagni.
- Cordoli di separazione tra le zone pavimentate e le aree a verde: Tra le aree a verde e
le aree pavimentate saranno realizzati dei cordoli in calcestruzzo rialzati, rispetto alla
quota dei piazzali, tali da non consentire alle acque meteoriche di defluire nelle zone a
verde.
- Regimazione delle acque meteoriche: Il sistema di fognature consentirà il deflusso
delle acque meteoriche in corsi d’acqua superficiali, impedendo nell’area dell’impianto
infiltrazioni e percolazioni sul suolo.
L’alterazione dell’Uso del suolo deve ritenersi sensibile ma reversibile in quanto ai sensi del D.
Lgs 387/2003 è prevista la dismissione dell’impianto al termine del ciclo di vita dello stesso. Le
attività previste sono comunque perfettamente congruenti sia con le vocazioni dell’area, sia con
la Pianificazione urbanistica vigente, che prevede l’assenza di Vincoli ambientali ostativi e la
previsione di utilizzo industriale per l’area.
3.5 ASPETTI VEGETAZIONALI
Sito analizzato
Nel settore tirrenico il Lazio presenta caratteri bioclimatici (termotipo mesomediterraneo,
ombrotipo subumido-umido) ed edafici (suoli su sabbie dunari e piroclastiti) che consentono di
individuare una forte potenzialità per boschi caducifogli con locali presenze di sughera e leccio
(Blasi, 1994).
Dai rilievi condotti, le zone analizzate presentano un’elevata antropizzazione derivante dal fatto
che sono presenti numerosi interventi antropici quali la presenza dei canali, le arginature
artificiali, ponti stradali e fabbricati (soprattutto industriali) a ridosso e nelle immediate vicinanze
del sito (vedi per esempio l’Aeroporto).
Presso l’area di studio il canale delle acque medie ha una sezione geometrica trapezoidale con
argini artificiali ben definiti (anch’essi a sezione trapezoidale) che si innalzano dalla circostante
area pianeggiante. Il canale nel tratto di interesse è interessato da numerose opere idrauliche
che da monte verso valle possono essere così descritte: ponte ferroviario della linea Roma-
Napoli; derivazione idrica per un canale irriguo; attraversamento idraulico del Canale della
Banditella. Presso l’area di studio il canale delle acque medie presenta i lineamenti tipici di un
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canale artificiale quali: tragitto rettificato, argini geometrici regolari, viabilità arginale al colmo
delle arginature, scarsa o assente vegetazione ripariale.
Le arginature sono coperte, per una fascia di 5-10m, da una vegetazione tipica dei rilevati
antropici caratterizzata da specie arbustive infestanti con radi esemplari arborei di Ailanthus spp
e Robinia pseudoacacia. Le specie arbustive prevalenti sono Arundo donax, Rubus spp e Rosa
sp. In via subordinata e nei tratti meno antropizzati si rilevano, Salix fragilis, Ciematis sp. e
Typha. Tra gli arbusti crescono numerose specie erbacee quali: Plantago lanceolata, Trifolium
repens, Avena fatua, Taraxacum officinale, Ranunculus sceleratus, Poa pratensis, Hordeum
murinum, Rubus fruticosus, Vicia sativa, Urtica dioica ,Artemisia verlotorum. In alcuni tratti la
vegetazione arbustiva e monospecifica con soli esemplari di Arundo donax.
La vegetazione erbacea ed arbustiva termina ai piedi della scarpata dell’argine dove iniziano
terreni agricoli e terreni industriali. L’assenza di vegetazione arborea o la sua scarsa presenza è
legata agli interventi di manutenzione idraulica che prevedono annualmente (nel periodo
primaverile ed estivo) lo sfalcio della vegetazione erbacea ed arbustiva.
Di conseguenza anche le associazioni vegetazionali presentano un influsso antropico rilevante
dovuto a secoli di attività umana su quel tratto di territorio.
La presenza umana costante e perdurata nei secoli ha fortemente influenzato il contesto
ecologico ed in particolare quello vegetazionale portando l'ecosistema ben lontano dallo stadio
di climax. munque lontane dalle condizioni potenziali dove tali siti sarebbero riconducibili a
quercete e leccete.
La flora erbacea è dominata da Rubus Fruticosus, presente pressoché ovunque che è
caratterizzata da una forte rusticità e resistenza, tanto che tale erbacea è presente in luoghi
fortemente disturbati quali vigneti, discariche, ambienti ruderali e fortemente antropizzati; tale
presenza è un indicatore ambientale molto forte e segnala quindi la forte antropizzazione dei
luoghi.
L’ impatto sulla vegetazione, andrà ad interessare associazioni già molto alterate e degradate.
Si presenta pertanto di lieve entità e mitigabile.
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3.6 ASPETTI FAUNISTICI
L’area studiata si caratterizza per essere una area agricola a seminativo irriguo, sub
pianeggiante, compresa tra le arginature artificiali del Canae delle Acque Medie e aree
industriali, commerciali e residenziali con limitanti possibilità di sviluppo della biodiversità.
La scarsa biodiversità dei luoghi è legata sia alla consistente pressione antropica dei luoghi sia
dalla scarsa presenza di corridoi ecologici utilizzabili principalmente dai vertebrati terrestri, sia
alla scarsa qualità chimico fisica delle acque.
In base a quanto detto appare evidente come la realizzazione del progetto possa comportare
modesti impatti sulla fauna terrestre e sull’avifauna.
3.7 SALUTE PUBBLICA
Considerate le peculiarità proprie dell’impianto proposto è evidente come gli elementi che
potrebbero influire sulla salute pubblica, oltre agli scarichi e reflui, sia in atmosfera che in acque
correnti superficiali, sopra approfonditi, siano costituiti dal rumore e traffico indotto, di seguito
trattate.
3.7.1 RUMORE
Zonizzazione acustica
Alla data di redazione della presente valutazione previsionale presso il Comune di Latina, non
risulta in vigore la classificazione del territorio comunale come previsto dalla Legge quadro
sull’inquinamento acustico L. 26 ottobre 1995; n.447 pubblicata sulla G.U. n.254 del 30 ottobre
1995; art. 6, comma 1 lettera a), pertanto si farà riferimento a quanto previsto dal dpcm 14
novembre 1997.
Inquadramento urbanistico e definizione della Zona Acustica
L’area di ubicazione dell’impianto in oggetto è sito in località Latina Scalo, con accesso da Via
delle Industrie, nel territorio appartenente amministrativamente al Comune di Latina (LT).
La superficie complessiva dell’insediamento è pari a circa 60.000 m2; di questi circa 30.000 m2
occupano l’area dell’impianto (comprensiva delle aree destinata a verde, parcheggi, spazi di
manovra, locali tecnici, ecc.). Ad oggi l’area d’intervento risulta essere priva da alcun intervento
di urbanizzazione.
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Entrando nel dettaglio, l’ambito del territorio circostante l’impianto appare da un lato a carattere
prevalentemente agricolo, con la quasi totalità delle aree coltivate (prettamente seminativi e
pascoli), dall’altro caratterizzato da aree industriali e/o artigianali (riconducibili alla D.R.S.
Depositi Regionali Surgelati S.p.A., alla Chemtura S.r.l., al Polo Intermodale di Latina Scalo).
In termini di distanza dai centri abitati rilevanti, vi è da sottolineare che il più vicino è località
Latina Scalo (direzione sud-est) che dista circa 1,8 km dall’impianto, seguiti da Sermoneta
(direzione nord-est), Norma (direzione nord-est), Latina (direzione sud) e Cisterna di Latina
(direzione nord-ovest) distanti rispettivamente circa 4 km, 6 km, 9 km e 10 km in linea d’aria.
Per quanto riguarda gli insediamenti residenziali più piccoli, nel comune di Semoneta troviamo
località Ponte Nuovo (direzione est) ad una distanza di 2,1 km, mentre nel comune di Latina
troviamo a 7 ed 8 km le località di Borgo Podgora e di Borgo Piave. In ultimo, vi è da
aggiungere come all’interno del raggio di 300 m dal perimetro del sito d’interesse siano presenti
case sparse concentrate nel quadrante occidentale rispetto al lotto in esame. Tale
inquadramento mette in evidenza il carattere isolato dell’area di progetto dal contesto urbano
e/o residenziale della zona.
Dal punto di vista altimetrico si può affermare che l’area d’intervento è da considerarsi
pianeggiante, caratterizzata da quote intorno ai 20 m s.l.m.
Da un sopralluogo volto alla caratterizzazione acustica dell’area si sono evidenziate le seguenti
sorgenti:
- rumore prodotto dagli impianti di raffreddamento e di trattamento presso gli opifici posti ad est
del fondo su cui dovrà sorgere l’impianto
- passaggi aerei
- passaggio autoveicoli leggeri e pesanti lungo via delle industrie
- passaggio convogli ferroviari merci e passeggeri
- rumore prodotto da uccelli, animali da cortile e frusciare delle piante
In funzione dei risultati ottenuti dalla campagna di misura effettuata e dei risultati del modello
matematico indicante che l’opera oggetto dell’intervento non produce variazioni significative nei
valori di immissione individuati presso i ricettori individuati si ritiene che vi siano fondati motivi
per ritenere l’impianto, nelle condizioni di monitoraggio e di indagine effettuate, compatibile la
zona acustica in cui verrà collocato.
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Si puntualizza poi che la scelta progettuale di realizzare l’impianto con tecnologie volte
all’abbattimento dell’inquinamento acustico, rappresenta una soluzione acusticamente ideale al
fine di minimizzare le emissioni rumorose verso l'esterno delle sorgenti in essa contenute.
Si evince che i livelli sonori di immissione previsti presso entrambi i ricettori non solo
rimarranno ampiamente entro i limiti di legge in entrambi i periodi di riferimento (diurno e
notturno), ma il clima acustico dell’area in esame non subirà modificazioni.
Da ciò si può concludere che il progetto avrà sulla componente in esame un impatto
trascurabile.
3.7.2 TRAFFICO INDOTTO
Dall’analisi dei dati relativi ai flussi di traffico indotti dall’attività oggetto della presente relazione
sulla SS7 – Appia, si evince come, nella configurazione peggiore, nel corso del periodo di
esercizio dell’impianto vi sia un incremento del traffico, rispetto alla situazione ante operam, del
solo 7% circa in ambo le direzioni corrispondente ad un flusso giornaliero pari a circa circa 25
veicoli al giorno in ingresso e successivamente in uscita.
Si ritiene pertanto che un traffico costituito da 6 mezzi/ora possa essere ritenuto poco
significativo e non impattante sulla viabilità attuale.
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3.8 ASPETTI PAESAGGISTICI
L’area di intervento si colloca nella porzione settentrionale dell’Agro Pontino che si chiude
contro i rilievi montuosi dei Lepini. Tale zona è esterna ad aree individuate nel PTPR della
Regione Lazio come aree tipizzate.
L’area circostante il lotto di intervento presenta una monotona morfologia pianeggiante
interrotta dai rilevati artificiali delle infrastrutture viarie, dai canali di bonifica e dagli edificati
industriali.
A nord corre in rilevato il tracciato della ferrovia Roma Napoli e il canale delle acque medie le
cui scarpate antropiche sono coperte da una fitta vegetazione (prevalentemente arbustiva) che
termina bruscamente in corrispondenza del raccordo con la pianura.
In questa zona il canale delle acque medie ha una sezione geometrica trapezoidale con argini
artificiali ben definiti (anch’essi a sezione trapezoidale) che si innalzano dalla circostante area
pianeggiante. Il canale nelle vicinanze del lotto (circa 150m) è interessato da numerose opere
idrauliche che da monte verso valle possono essere così descritte: ponte ferroviario della linea
Roma-Napoli; derivazione idrica per un canale irriguo (ex derivazione per l’alimentazione dello
Zuccherificio); attraversamento idraulico del Canale della Banditella. Presso l’area di studio il
canale delle acque medie presenta i lineamenti tipici di un canale artificiale quali: tragitto
rettificato, argini geometrici regolari, viabilità arginale al colmo delle arginature, scarsa o
assente vegetazione ripariale.
Le arginature sono coperte, per una fascia di 5-10m, da una vegetazione tipica dei rilevati
antropici caratterizzata da specie arbustive infestanti con radi esemplari arborei di Ailanthus spp
e Robinia pseudoacacia. Le specie arbustive prevalenti sono Arundo donax, Rubus spp e Rosa
sp. In via subordinata e nei tratti meno antropizzati si rilevano, Salix fragilis, Ciematis sp. e
Typha. Tra gli arbusti crescono numerose specie erbacee quali: Plantago lanceolata, Trifolium
repens, Avena fatua, Taraxacum officinale, Ranunculus sceleratus, Poa pratensis, Hordeum
murinum, Rubus fruticosus, Vicia sativa, Urtica dioica ,Artemisia verlotorum. In alcuni tratti la
vegetazione arbustiva e monospecifica con soli esemplari di Arundo donax.
La vegetazione erbacea ed arbustiva termina ai piedi della scarpata dell’argine dove iniziano
terreni agricoli e terreni industriali. L’assenza di vegetazione arborea o la sua scarsa presenza è
legata agli interventi di manutenzione idraulica che prevedono annualmente (nel periodo
primaverile ed estivo) lo sfalcio della vegetazione erbacea ed arbustiva.
I terreni oggetto di intervento, anche se attualmente utilizzati come seminativo, non
costituiscono un nucleo organico produttivo riconducibile ad una specifica realtà agraria in
quanto frammentati in varie proprietà ed isolati da più ampi contesti agricoli limitrofi. Nel
complesso i terreni inedificati circostanti ricadenti anch’essi in zona con destinazione d’uso
Industriale non presentano continuità con altri appezzamenti agricoli essendo chiusi tra
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l’edificato industriale, le infrastrutture viarie e l’aeroporto Camani. In base a quanto detto i
terreni oggetto di intervento non sono mai stati contraddistinti da una particolare vocazione
agricola rimanendo nelle disponibilità di vari proprietari e non assorbiti dalle realtà agrarie
operanti nell’area Pontina.
Circa 500m ad ovest del lotto di intervento sorge l’aeroporto militare Enrico Camani realizzato
nel 1939 ed occupante una superficie di circa un km2. Dell’aeroporto contraddistingue il
paesaggio la torre di controllo, visibile per la sua altezza, e la pista di atterraggio visibile dai
rilievi dei Lepini.
A sud dell’area di intervento sono presenti ampi appezzamenti coltivi che terminano a ridosso
dell’area industriale e proseguendo ancora è presente la Via Appia delimitata dai tipici filari di
pini.
Verso ovest l’area di intervento prosegue nella zona industriale con l’industria chimica della
Chemtura, i Depositi Regionali Surgelati (DSR) ed infine con la Piattaforma Logistica di Latina
Scalo (Area Ex Zuccherificio). L’area industriale è caratterizzata da fabbricati di notevoli
dimensioni (altezza anche superiori a 14m) con forme geometriche regolari intervallate da
impianti esterni con condotte serbatoi silos e camini. Nell’area si distinguono le strutture dell’Ex
Zuccherificio di colore rosso ed una architettura tipicamente razionalista.
Analizzando il giudizio complessivo circa la percezione visiva dell’impianto (vedi allegata
Relazione PAesaggistica) appare evidente come la realizzazione del progetto sia ininfluente
nella visuale panoramica condotta dai centri abitati di Norma e Sermoneta verso la pianura,
come anche la non visibilità delle opere ai viaggiatori che percorrono la linea ferroviaria Roma-
Napoli (percorso panoramico).
Allo stesso modo non è rilevante la visibilità dell’impianto percepita dagli osservatori che
percorrono la Via Appia mentre percorrendo Via delle Industrie l’impianto è ben visibile ma
produce un impatto sulla percezione della visuale poco rilevante.
In base a quanto ottenuto si è dimostrato come l’impatto visivo condotto dalla realizzazione
dell’impianto sui punti cruciali di percezione panoramica come la viabilità principale e di valenza
paesaggistica (Ferrovia RM-NA e Via Appia) ed anche dai luoghi caratterizzanti il paesaggio e
soggetti a notevole fruizione (Sermoneta e Norma) sia irrilevante.
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3.9 INTERVENTI DI MITIGAZIONE AMBIENTALE
Oltre alle opere di mitigazione degli impatti già trattate nei precedenti paragrafi, lungo la
recinzione che delimita l’area sarà realizzato uno schermo arboreo costituito da piante
autoctone poste in modo da attenuare l’impatto visivo e acustico che l’impianto può comportare
nelle aree limitrofe e da contrastare la dispersione di polveri e/o altri agenti potenzialmente
inquinanti verso l’esterno dell’impianto stesso.
Tale barriera avrà inoltre lo scopo di limitare l’eventuale diffusione di cattivi odori che seppur
molto ridotti per la tecnologia utilizzata, potrebbero comunque presentarsi in corrispondenza di
giornate molto ventose.
La tipologia di piante che costituiscono lo schermo arboreo sono di seguito descritte.
Lungo tutta la recinzione di confinamento dell’impianto sarà impiantato uno schermo arbustivo
costituito da ginestre. Tale pianta è un arbusto fiorifero a foglie caduche. Raggiunge i 2-3 metri
di altezza ed ha portamento eretto, tondeggiante, con chioma molto ramificata; i fusti sono
sottili, legnosi, molto flessibili, di colore verde scuro o marrone; le foglie sono piccole, lanceolate
o lineari, di colore verde scuro, molto distanziate le une dalle altre, che cadono all'inizio della
fioritura.
Produce numerosissimi fiori di colore giallo oro, delicatamente profumati, sui fusti spogli; ai fiori
fanno seguito i frutti: lunghi baccelli pubescenti, che contengono 10-15 semi appiattiti. Tale
arbusto è permanente e presenta il periodo di fioritura in primavera ed estate. E’
particolarmente presente nella regione mediterranea e pertanto si integra con il contesto
paesaggistico in cui verrà impiantata.
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Lungo la recinzione ovest, in prossimità delle limitrofe abitazioni, al fine di mitigare la eventuale
diffusione di cattivi odori e schermare l’impianto rispetto alle abitazioni più vicine, sarà
impiantata una barriera arborea costituita da eucalipti. L’eucalipto è un albero maestoso ed
elegante, che raggiunge altezze fino a 30 metri. Ha un fusto dritto con rami arcuati, chioma
largamente ovale o irregolare liscia grigio verdognola, che si stacca dal fusto in nastri irregolari
longitudinali, lasciando intravedere la corteccia più chiara, bianco o color crema che col tempo
diventa più scura.
La scelta dell’utilizzo di questa specie arborea è legata alla sua abbondante presenza sul
territorio e conseguentemente alla sua facile integrazione con il contesto paesaggistico in cui
verrà impiantata; infatti durante e dopo la bonifica dell'Agro vennero piantati numerosi esemplari
di eucalipti, in quanto le linee frangivento create dai filari di eucalipto costituivano una valida
protezione contro il forte vento e le trombe d'aria (piuttosto comuni nel Pontino, specialmente
nel periodo autunnale); inoltre limitando la dispersione d'acqua nei casi di irrigazione a lungo
getto contribuivano alla conservazione dei prodotti agricoli.

Progetti

  • 12/06/2014 - Realizzazione di un impianto a biogas della potenza nominale 1487 Kwe alimentato a rifiuti organici e sottoprodotti in loc. Latina Scalo V. delle Industrie Scarica Sintesi Elaborati Progettuali Responsabile del Procedimento: Fernando OlivieriRecapito Telefonico: 0651689362Indirizzo di Posta Elettronica Istituzionale: folivieri @regione.lazio.it
    proponente: RECALL LATINA SRL
    comune: Latina
    provincia: LT

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