giovedì 30 gennaio 2014

Il pentito Schiavone: Cantone non ha fatto nulla per 7 anni. E scatta la denuncia

TERRA DEI FUOCHI 

L'ex pm Di Pietro «interrogata» il collaboratore:
«Voli alto, ma non dici un c...» NAPOLI — Giacca, pullover blu e camicia bianca al posto della toga, Antonio Di Pietro torna pm per un giorno. E, seduto davanti a un computer, interroga l'ex pentito del clan dei Casalesi Carmine Schiavone. Il video del colloquio, trasmesso due giorni fa dall'emittente «Molise tv», è stato pubblicato ieri dal presidente onorario dell'Idv sul suo sito ufficiale. Dura un'ora, 48 minuti e 33 secondi. Ma il veleno, come al solito, è nella coda. Ed è in una frase pronunciata da Schiavone a proposito di alcuni suoi verbali di interrogatorio: «Cantone dal 2000 al 2007 non ha fatto un cavolo». Cantone è Raffaele Cantone, magistrato in servizio presso il Massimario della Cassazione, uno dei pm che più si sono impegnati proprio nella lotta ai Casalesi.

LA REPLICA DI CANTONE - E a Schiavone ribatte a muso duro: «Non seguo la trasmissione e non ho visto il sito di Antonio Di Pietro — spiega al Corriere del Mezzogiorno — ma prendo atto di ciò che dice e lo denuncerò per diffamazione. Io faccio il magistrato, con i pentiti sono abituato a parlare solo in tribunale, e lì Schiavone risponderà delle sue farneticazioni. I miei fascicoli sono a disposizione di tutti». L'accusa di Schiavone, per la verità, non convince neppure Di Pietro, che gli risponde così: «Ma ti pare che Cantone, che ha sempre fatto attività antimafia, non faceva un cavolo?». Prima di raccontare il resto, però, c'è da capire perché l'ex magistrato simbolo della stagione di Mani Pulite decide di incontrare e interrogare il pentito che ha parlato degli sversamenti di rifiuti tossici. La riposta è nel verbale di audizione della Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti del 7 ottobre 1997, desecretato il 31 ottobre 2013.
I RIFERIMENTI AL MOLISE - Ci sono, in quelle pagine, anche riferimenti ai fusti interrati in Molise. E l'ex pm, molisano di Montenero di Bisaccia, vuole sapere dove sono. È per questo che Di Pietro decide di ascoltare Schiavone. L'incontro inizia con una battuta, quando il pentito offre una sigaretta al magistrato che la rifiuta ridendo: «Mi sono pentito anch'io». Procede con i due che si danno del «tu». E passa attraverso la rivelazione di un piano per un agguato contro l'allora pm: «Ti dovevano sparare — dice Schiavone — ma non ammazzare, solo spezzare tutte e due le gambe. Gli esecutori materiali erano romeni. Perché i servizi di sicurezza che sapevano tutto non ti hanno mai avvertito?». Il resto è il racconto di fatti, date, nomi. E di ipotesi suggestive. Come quella sul presunto filo rosso che unirebbe l'Eurocem (società che il pentito sostiene essere stata utilizzata dal clan) e il delitto di Walter Tobagi (il giornalista ucciso il 28 maggio 1980 dai terroristi). «Non vogliono far uscire il collegamento», rivela Schiavone. Un'ipotesi che Di Pietro smonta così: «Ma tu pensi che se dal '93 hai messo a verbale un elemento di prova che può aiutare l'autorità giudiziaria a capire cosa c'è dietro l'omicidio Tobagi, quello è stato nascosto? Non ci credo».
TONINO SCETTICO - E, quando Schiavone insiste proponendo «un incontro con Federico Cafiero de Raho e Lucio Di Pietro, che nel '94 mi dissero procediamo per quello che possiamo, se no non ci fanno fare niente», l'ex pm di Mani Pulite lo liquida con un «mah». Le dichiarazioni, inutile dirlo, puzzano di falso lontano un miglio. «È una cosa che non esiste, non ne ha mai parlato», dice Lucio Di Pietro, oggi procuratore generale a Salerno. E cade dalle nuvole anche Federico Cafiero de Raho, procuratore a Reggio Calabria: «È la prima volta che sento questa storia». Che non è l'unica da prendere con le molle. Schiavone, infatti, in due casi cita Cantone, il pm che l'aveva accusato di dire «un mucchio di stupidaggini» su rifiuti radioattivi e scorie atomiche interrate in Campania. E se Di Pietro lascia cadere una prima allusione («Ci sono alcuni verbali... dal 2000 al 2007 nella gestione Cantone non s'è fatto nulla»), lo ferma alla seconda, quando Schiavone afferma, con riferimento alle sue dichiarazioni, che «Cantone non ha fatto un cavolo». È l'ultimo veleno di un pentito che parla ma non dice. E al quale l'ex pm di Mani Pulite crede «con beneficio di inventario», perché «mi hai detto che sai delle cose, ma cosa sai non lo dici. Se fossi un magistrato ti farei una serie di contestazioni: hai volato alto, ma non hai detto un c... di niente». E, tanto per chiarire il suo pensiero, Antonio Di Pietro alla fine risponde così a una domanda della giornalista Carla Ferrante sull'attendibilità di Carmine Schiavone: «Quand'ero pm mi sono trovato spesso davanti a persone di questo tipo, che iniziano un discorso senza arrivare alla fine. Ma ci vuole il corpo di reato, se no le chiacchiere se le porta il vento». Che a volte spira lieve, come il venticello della calunnia.
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