giovedì 19 dicembre 2013
“È povero chi ha bisogno di tanto per essere felice” Pepe Mujica,presidente Uruguay
Il fatto quotidiano 19 dicembre 2013
SPINELLO LIBERO
Pepe Mujica, ex
guerrigliero, ha imposto
la statalizzazione della
cannabis per sottrarla
al narcotraffico e
controllare il consumo
di Jonathan Watts
Se c’è qualcuno che può affermare di essere
l’esempio vivente dell’austerità e
della frugalità, questi è José Mujica, presidente
dell’Uruguay che ha rinunciato
al palazzo presidenziale preferendo vivere in una
casa di campagna, donare la maggior parte del
suo appannaggio allo Stato per la realizzazione di
progetti sociali, volare in economy class e guidare
un vecchio Maggiolino Volkswagen.
Al vecchio guerrigliero comunque non piace essere
etichettato come “il presidente più povero
del mondo”ed è un politico sufficientemente navigato
da sapere che essere indicato a modello è
piuttosto scomodo. “Se chiedessi alla gente di vivere
come vivo io, mi ucciderebbero”, ha detto
Mujica nel corso di una intervista nella sua abitazione
piccola ma accogliente tra i campi di crisantemi,
appena fuori Montevideo.
IL PRESIDENTE FACEVA PARTE dei guerriglieri
Tupamaros che nei primi anni 70 si resero responsabili
di rapine, rapimenti e furti i cui proventi
venivano distribuiti ai poveri. È stato ferito
sei volte dalla polizia e ha trascorso 14 mesi in una
prigione militare dove fu sottoposto a una detenzione
durissima in isolamento. Ma da quando
nel 2010 è stato eletto presidente dell’Uruguay si è
segnalato per le sue politiche riformiste in particolare
modo nel campo dei diritti umani: matrimonio
gay, liberalizzazione della cannabis,
aborto. Queste politiche hanno fatto dell’Uru -
guay il Paese più liberal dell’America Latina.
Mujica è riuscito a ottenere l’approvazione anche
della stampa conservatrice che apprezza il suo stile
di governo e l’attenzione alla spesa pubblica,
ma Pepe – così lo chiamano – sostiene che chi lo
considera povero non capisce cosa è la ricchezza:
“Non sono il presidente più povero. Il più povero
è chi ha bisogno di molto per vivere. Il mio stile di
vita è la conseguenza delle mie ferite. Sono figlio
della mia storia. Ci sono stati
momenti nella mia vita in
cui sarei stato felice se solo
avessi potuto avere un materasso
su cui dormire”,
spiega.
Vive con la moglie Lucia
Topolansky, senatrice e First
Lady alquanto anomala, e
le misure di sicurezza intorno
alla loro casa consistono
in due agenti all’inizio del
vialetto e in un cane con tre
sole zampe. Pepe, vestito
modestamente, ci accoglie
con calore. Ha un modo di
parlare che conquista, un mix di calore e franchezza,
idealismo e amore per il mondo. È fiero
del suo Paese che definisce “un’isola di rifugiati in
un mondo di pazzi”. L’Uruguay è uno dei Paesi
più sicuri e meno corrotti del Sudamerica. È un
Paese che va fiero delle sue tradizioni sociali. Le
industrie chiave del settore energetico e delle telecomunicazioni
sono state nazionalizzate e i
prezzi dei beni di prima necessità sono fissati dal
governo. La settimana scorsa è stata approvata
una legge che liberalizza la marijuana e affida allo
Stato il compito di produrla, distribuirla e venderla.
Ma Mujica è cauto: “il mio non è un Paese
particolarmente aperto. Le misure che abbiamo
preso sono logiche. Non si trattava di fare qualcosa
di più o meno progressista, ma semplicemente
di sottrarre i consumatori alla tirannia degli
spacciatori e dei narcotrafficanti. Ma abbiamo
anche introdotto misure restrittive. In sostanza i
cittadini possono fumare la cannabis a condizione
di non superare certi limiti, oltre i quali lo Stato
interviene per curarli. Non ne posso più di questa
situazione. Di questi tempi non si può vivere senza
accettare la logica del mercato. La politica è
tutta basata su una sorta di pragmatismo a breve
termine. Abbiamo abbandonato la religione e la
filosofia e ci è rimasta solo la schiavitù dal mercato”.
Pepe promuove le energie rinnovabili e il
riciclaggio come elementi fondamentali della sua
politica. L’anno scorso alla Conferenza di Rio sullo
sviluppo sostenibile, si è scagliato contro la
“cieca ossessione” dei consumi come unico motore
della crescita. Quando gli si chiede come è
possibile uscire da questa contraddizione, ammette
che non ha risposte, ma la ricerca di una
soluzione deve essere politica. “Oggi – spiega – è
possibile riciclare quasi tutto. Se non vivessimo al
di sopra dei nostri mezzi, i 7 miliardi di persone
che abitano il pianeta avrebbero tutto quello di
cui hanno bisogno. Purtroppo pensiamo come
individui e non come specie”.
© The Guardian
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto
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