domenica 25 agosto 2013

Piazzisti di lusso per il biogas "di montagna" Il Trentino dell'orso e delle montagne incontaminate tra pesticidi e biogas


http://sgonfiailbiogas.blogspot.it/2013/08/piazzisti-di-lusso-per-il-biogas-di.html
(25.08.2013) Povera val di Non: non basta la monomelindacoltura (dai 40 trattamenti con pesticidi). No ci vuole anche il biogas. Presentato come un affare irresistibile per gli allevatori, per i residenti, per tutti. 
E per "lanciare" i progetto del grande impianto consortile si chiama la meteostar televisiva Luca Mercalli. Il quale si spreca in elogi. Ma il presidente della Società italiana di metereologia lo sa che con questa trovata si fossilizza per 20 anni un sistema zootecnico ancor meno sostenibile di quello della pianura padana e che con la montagna non c'entra niente? Lo sa che la maggior parte dell'alimentazione delle stalle nonese viene da centinaia di chilomentri di distanza? Certo anche le aziende padane utilizzano la soia OGM brasiliana ma almeno la maggior parte del foraggio se la coltivano (male o bene) da sole. Sull'autostrada del Brennero c'è un bel traffico di fieno, mangimi e misceloni. Alla faccia delle emissioni. Lo sa il Mercalli che i grossi allevamenti nonesi interessati al biogas per "spingere" la produzione non mandano più le vacche (Frisone come nella pianura padana) al pascolo rimpinzandole di mangimi e misceloni anche in estate?  Ma il pascolo - chieda agli specialisti se non ci crede - è un sink di CO2 e di CH4 senza contare che l'erba di pascolo  cresce  senza concimi chimici, pesticidi, lavorazioni del terreno e che ogni unità foraggera ottenuta dal pascolo sono emissioni e inquinamenti risparmiati. 



Gli esperti convocati al Passo della Mendola si sono concentrati sull' "affarone" dei 96 € (lordi) per vacca. Una cifra che serve a far brillare gli occhi agli allevatori ma che è solo la minima parte del guadagno (che evidentemente va in altre tasche). Gli allevatori forse non si rendono conto che perderanno la loro libertà imprenditoriale. Per 20 anni saranno vincolati a conferire liquame. Niente differenziazioni, niente conversioni a sistemi più sostenibili come stanno facendo moltissmi allevatori alpini (che tanto per cominciare cambiano razza e sistema di alimentazione "spinto", a recuperare il pacolo e si mettono anche a pensare di mandare a f.....o le "centrali" e a lavorarsi il loro - tornato buono - latte).
 Non si rendono conto che, quello che il "sistema" (industrial-bancario-politico-clientelare) gli regala come partecipazione al business del biogas, esso se lo riprende pagandogli meno il latte (tanto hanno il biogas, tiriamogli pure il collo...) e continuando a produrre nel grande "polo bianco" del sistema caseario industriale trentino caratterizzato da poca efficienza, storie di buchi ripianati da "mamma provincia" e scarsa qualità dei prodotti (la famosa mozzarella che è stata anche blu). 
 Quanto al turismo non ci vuole molto a demolire in qualche anno l'immagine di una valle (e del Trentino intero). Le proteste dei nonesi, stufi di essere esposti alla deriva dei pesticidi impiegati per produrre le mele, stanno piano piano facendosi sentire in tutto il Trentino e anche più in là. Aggiungasi che se la Val di Non diventa la valle del biogas  poi non basteranno gli orsi in fotografia sui poster a fare green washing.


L'Adige, 25 agosto 2013

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