martedì 2 luglio 2013

Olga la nave dei veleni affondata al largo di Calabria

Bacci Pagano indaga Sono Ivan e porto veleni Ma è meglio non saperlo Dopo l’ultimo carico la Olga prenderà il largo, una lancia raccoglierà l’equipaggio e la nave sarà minata e affondata al largo di Calabria”. Portò le mani al viso che si andava bagnando di lacrime. “La mia Olga, capisci?” di Bruno Morchio Il fatto quotidiano 1 luglio 2013 Conobbi Ivan Gavrilovic in via San Donato, mentre usciva da un locale dove servivano specialità dell’Europa Orientale. Era pieno di vodka da non reggersi in piedi. Piangeva come un bambino e con i pugni chiusi si batteva le tempie bestemmiando in russo. Lo guardavano tutti, anche perché indossava un’austera uniforme di comandante di vascello. Aveva dimenticato il berretto nel locale e in un italiano piuttosto corretto mi pregò di recuperarlo, cosa che feci salendo di corsa la rampa di scale. Quando glielo porsi mi ringraziò e mi afferrò per le braccia supplicando: «Amico, portami alla polizia!» «Alla polizia?» domandai. «L’hanno derubata?» «Sì!» rispose in tono melodrammatico. «Della mia Olga!» Provai a calmarlo e a capire chi fosse questa donna. Strofinandosi i piccoli occhi gonfi, cominciò a sciorinarmi la sua storia. Compresi subito che le sue non erano pene d’amore. Esisteva ancora l’Unione Sovietica quando assunse il comando di un cargo di Rostov sul Don, la Olga, che trasportava container dal Mar Nero ai maggiori porti del Mediterraneo e viceversa. Dopo la caduta dell’impero la nave era stata acquistata da un milionario che Ivan continuava a chiamare “Diavol” e aveva cominciato a trasferire da Nord a Sud grandi fusti sigillati sui quali era stampato il disegno di un teschio. Rifiuti tossici altamente pericolosi e scorie radioattive. Venivano prelevate nei porti europei e sbarcati negli scali africani di Tangeri, Orano, Alessandria. «Io preferivo container di merce pulita», disse riattaccando a piangere. «Ma quella spazzatura faceva guadagnare bene e non ho potuto dire di no». Pensai a Diavol come a un oligarca diventato straricco con il traffico dei rifiuti pericolosi e mi chiesi perché volesse privare il povero Ivan della sua nave. Lo domandai a lui e la risposta fu agghiacciante: «Nei porti di Trieste e Genova ho caricato materiale da smaltire per conto di industrie francesi, tedesche e olandesi. Mi aspettano a Gioia Tauro per un grande carico di rifiuti raccolti in Italia che riempirà le stive. Ho chiesto quale sarà nostra destinazione e nessuno sapeva. Ma a Genova si è imbarcato il braccio destro di Diavol e mi ha detto che non c’è nessuna destinazione». «Che significa?» «Che dopo l’ultimo carico la Olga prenderà il largo, una lancia raccoglierà l’equipaggio e la nave sarà minata e affondata al largo di Calabria». Portò le mani al viso che si andava bagnando di lacrime. «La mia Olga, capisci?» Qualcosa mi di disse che non mentiva, che Ivan e il suo equipaggio erano condannati a colare a picco con la Olga e che, anche se sono solo uno scalcinato investigatore privato, dovevo fare subito qualcosa. «Ti prego tovariš», supplicò. «Portami a polizia! » «D’accordo», acconsentii. «Ma in un caso come questo prima che alla polizia bisogna andare da un’altra parte.» «Dove?» «A un giornale.» Chiamai un amico cronista che lavorava alla redazione genovese di un grande quotidiano nazionale e gli raccontai tutto. Mi disse di raggiungerlo al giornale con il russo, mentre lui avrebbe informato la direzione di Roma. L’intervista durò un paio d’ore e il mio amico domandò una decina di volte dove finissero i fusti depositati nei porti africani, ma il povero Ivan Gavrilovic non aveva elementi per rispondere a questa imbarazzante domanda, tanto che lui ironizzò: «Insomma, lei ha fatto lo struzzo». Ivan si offese e replicò risentito: «Ognuno ha suo mestiere: tu giornalista, io capitano. Tu cosa facevi al mio posto?» Terminata l’intervista raggiungemmo a piedi la questura, dove mi aspettava il vicequestore Salvatore Pertusiello, commissario capo della sezione omicidi. Un idealista di centotrentacinque chili che ha a cuore la Giustizia tanto quanto i piaceri della buona tavola. Sentita la storia, il commissario si rivolse al russo e domandò: «Ora dove sta questa nave?» «In porto, a Ponte Somalia». «Non è competenza mia, guaglio’», concluse. «Ma a te ti blindo e farò il possibile per far sequestrare la tua Olga.» Informò il Questore e inviò via fax alla Procura della Repubblica la deposizione rilasciata dal comandante, quindi telefonò alla dottoressa Crovetto, il magistrato che ci aveva aiutato in una recente indagine dove c’era di mezzo un’altra nave, carica di armi. La dottoressa gli assicurò che avrebbe parlato con il Procuratore capo per verificare la concreta possibilità di bloccare la Olga nel porto di Genova. Ivan appariva più sereno. Il suo aspetto rubicondo si era colorito di un sorriso pieno di gratitudine. Si era fatta sera e decidemmo di andare a mangiare in una trattoria della città vecchia, dietro il mercato del Carmine. Stavamo per attaccare uno squisito brandacujun, baccalà lesso e sminuzzato servito su un letto di patate con olio, sapori e olive taggiasche, quando il telefono di Pertusiello cominciò a trillare. Era il Questore che lo informava che era atteso d’urgenza dall’avvocato Alfredi. «Mo comincia la sfilata delle sette bellezze», commentò lapidario il commissario. Alfredi era un azzimato e accreditato principe del foro di Genova, celebre per la sua folta chioma canuta e per le dimensioni del suo naso. Pertusiello ci lasciò a malincuore e si avviò. Quando lo raggiungemmo in questura ci disse di sistemarci in un ufficio defilato, in modo che nessuno ci vedesse. «Chi è che non deve vederci?» domandai. «Quelli della sfilata», rispose. «Che voleva l’avvocato Alfredi?» «Ha ricevuto la procura dell’armatore, un tal Aleksej Lubonov…» «È lui, Diavol!» lo interruppe Ivan Gavrilovic. «Dice che se domattina la nave non salperà l’arma - tore si riserva di licenziare il comandante e di nominare il secondo.» Il faccione di Ivan, che aveva appena scolato un litro e mezzo di bianchetta della casa e un bicchierino di vodka, da rubizzo si fece terreo e gli occhi diventarono ancora più piccoli. «Il mio secondo non accetterà mai! Lui è legato a suo comandante!» Pertusiello inforcò gli occhialini e lesse un bigliettino che stringeva nelle mani: «Si chiama…» «…Iliuscin, si chiama. Petr Iliuscin!» «Qui sta scritto un altro nome: Michail Ko…Kod - zinskij», farfugliò il commissario. «No!» replicò Ivan indignato. «Quello è il braccio destro di Diavol! Lui non è uomo di mare!» «C’era da aspettarselo», commentò Pertusiello. «Dimmi una cosa, Totò», domandai. «Come faceva Alfredi a sapere che Ivan era qui in questura? » «La Crovetto si è mossa come un fulmine di guerra e ha mandato due carabinieri sulla Olga con l’ingiunzione di non salpare fino all’auto - rizzazione della magistratura.» Quindi aggiunse: «Ora fatemi andare, fuori ci sono altri due che aspettano» e uscì richiudendo la porta. Tornò dopo circa un’ora con la faccia scura. «Uno era un funzionario dell’ambasciata russa. Voleva parlare con il Questore, ma era già uscito e si è dovuto accontentare. Dice che è tutto in regola e che la nave deve partire.» «E l’altro?» domandai. «Prova a indovinare.» «Il segretario di Putin?» Scosse il suo testone e scoppiò in una risata tanto fragorosa quanto amara. «Un dirigente delle pubbliche relazioni di un’industria tedesca. La sua merda sta sulla Olga e sembra molto preoccupato che gliela rispediamo indietro.» «Oppure che andiamo a controllare di che merda si tratti», aggiunsi. Annuì e si accese una sigaretta. «È pure arrivata una simpatica telefonata di un sottosegretario del Ministero degli Esteri. “A titolo informativo” ha detto…» «Cercava Ivan Gavrilovic?» «E chi se no?» replicò lui. «Magari la nipote di Mubarak…» Scoppiò in una seconda risata, ancora più rutilante della prima, mentre il povero comandante ci osservava senza capire e il suo volto oscillava tra la speranza e la disperazione. «Mo vado che c’è uno di là», disse schiacciando la sigaretta nel posacenere. «E, mannaggia a voi due, altri due devono arrivare.» Ritorno dopo un quarto d’ora, sempre più incazzato. «Chi era?» domandò Ivan con l’aria intimidita. «Un emissario della ‘ndrangheta, quelli che chiamano stakeholder.» «E che voleva?» Impennò il dito indice facendolo ruotare nell’aria e alzò la voce. «Lui rappresenta gli interessi degli imprenditori italiani che “legittimamente” aspettano la nave a Gioia Tauro. Fottuti criminali in doppiopetto!» «Aspetta, Totò. Magari loro non immaginano… » «Cooosa? Sai come si chiama la ditta che raccoglie questi veleni? Porta il nome della più nota cosca calabrese. E vuoi sapere il prezzo che fanno rispetto a quelli della concorrenza pulita? Un terzo. Secondo te questi imprenditori del cazzo non si sono fatti qualche domanda su dove va a finire la loro merda?» Uscì sbattendo la porta, per incontrare gli ultimi due scocciatori della serata. Tornò quasi rinfrancato. «Occhiali scuriti e facce da culo», commentò. «Sarebbe a dire?» «Agenti dei servizi.» «Che volevano?» «Che possono volere? Informazioni.» Squillò il telefono. Era la dottoressa Crovetto. Parlarono a lungo, mentre sul volto del povero Ivan Gavrilovic continuavano ad alternarsi preoccupazione e fiducia. Parlarono per un quarto d’ora e alla fine Pertusiello spiegò che c’era stato un intervento del Ministero degli Esteri, d’intesa con quello della Difesa. Avrebbero fatto scortare la nave dal porto di Gioia Tauro fino a un porto di destinazione, quale che fosse, per controllare che non venissero compiuti reati contro l’ambiente e la salute pubblica. L’armatore aveva acconsentito. Il Ministero aveva fatto pressione sul giornale perché l’intervista non venisse pubblicata, per non diffondere inutili allarmi nell’opinione pubblica. Anche il direttore del giornale aveva acconsentito. Ivan esultò e ci abbracciò. Pertusiello sembrava meno entusiasta di lui e anch’io, nel lasciarlo al taxi che lo avrebbe riportato alla sua Olga, fui preso da un desolante sconforto. La Olga non arrivò mai a Gioia Tauro. Di lei e dell’equipaggio si sono perse le tracce. L’ipotesi ufficiale è che sia stata dirottata dall’armatore in un porto africano, ma le autorità russe non hanno rilasciato dichiarazioni. La sorella del comandante, Irina Gavrilova, abitante a Rostov sul Don, rintracciata da un funzionario della omicidi ha affermato di non avere più avuto notizie del fratello. Dal mio incontro con Ivan Gavrilovic in via San Donato sono ormai trascorsi due anni. IL RACCONTO SCRITTORE E PSICOLOGO Nato a Genova nel 1954, è scrittore e psicologo. Nel 1999 esce il suo primo libro, “M a cc a i a ”. Nel 2000 nasce la Fratelli Frilli Editori, piccola casa editrice genovese interessata a pubblicare romanzi gialli e noir ambientati in Liguria; Morchio presenta la stesura dei primi tre capitoli di “Bacci Pagano”. Il successo ottenuto permette finalmente la pubblicazione, da parte della Fratelli Frilli, dei romanzi scritti precedentemente e, negli anni successivi, di altri due volumi “Con la morte non si tratta”e“Le cose che non ti ho detto” questa volta con Garzanti. Il suo ultimo lavoro è “Il profumo delle bugie”.

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