mercoledì 20 febbraio 2013

edifici pubblici e sprechi Pontinia edifici pubblici con finestre aperte in inverno


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L’efficienza energetica mancata è nell’occhio del ciclone dopo l’accusa della Corte dei Conti Europea. Con la Relazione Speciale (Rs 21/2012), il Supremo organo UE, che ha indagato sui fondi messi a disposizione dal 2007 al 2013 svela, infatti, una amara verità: troppi soldi, spesi male e ripagati in tempi biblici. Come si legge in un recente comunicato, infatti, i soldi stanziati da Bruxelles per ridurre i consumi di elettricità, gas e combustibili nell’edilizia, sono finiti nel buco nero della cattiva gestione. Vale la pena ricordare che, dal 2000, sono stati spesi quasi cinque miliardi di euro per il cofinanziamento di misure di efficienza energetica negli Stati membri.
La Corte dei conti ha messo sotto esame tre Paesi in particolare (Repubblica Ceca, Italia e Lituania), quelli che avevano ricevuto i maggiori contributi dal Fondo di Coesione e dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale per il periodo 2007-2013 e che avevano anche stanziato gli importi più elevati per i progetti entro il 2009. Sono stati presi in considerazione quattro programmi operativi e un campione di ventiquattro progetti di investimento per l’efficienza energetica nell’edilizia pubblica.
In particolare la Corte ha cercato di appurare due questioni. La prima, se nelle fasi di programmazione e finanziamento siano state create le condizioni adeguate per rendere efficaci sotto il profilo dei costi/benefici gli investimenti nell’efficienza energetica. La seconda, se i progetti di efficienza energetica nell’edilizia pubblica siano stati efficaci sotto il profilo dei costi/benefici.
L’audit ha concluso che entrambe le domande hanno risposta negativa. Questo perché i programmi operativi esaminati non erano supportati da adeguate valutazioni del fabbisogno che individuassero i settori specifici in cui erano possibili risparmi energetici e le diverse opzioni per conseguirli in modo efficace dal punto di vista dei costi/benefici, giustificando così le misure scelte e il loro costo.
Ciò che è venuto alla luce è che gli Stati membri hanno fondamentalmente utilizzato questi fondi per rinnovare edifici pubblici, mentre il risparmio energetico era, nel migliore dei casi, una finalità secondaria. Tanto che gli investimenti si ripagheranno mediamente in 50 anni, nei casi peggiori addirittura 150, ben oltre la vita utile delle tecnologie utilizzate, che siano caldaie a condensazione, infissi isolanti o coibentazioni dei tetti.
«Anche se i progetti controllati hanno prodotto le realizzazioni fisiche previste, come la sostituzione di finestre e porte o l’isolamento di muri e tetti, il costo in relazione ai potenziali risparmi è stato troppo elevatoPiù dell’efficienza energetica è stata valutata la necessità di rinnovare gli edifici pubblici». ha commentato Harald Wögerbauer, membro della Corte e responsabile della relazione.
Forse è anche per questo che l’Europa è tuttora vittima di un clamoroso ritardo nel conseguimento degli obiettivi di risparmio energetico. Per migliorare gli investimenti nell’efficienza, la Corte raccomanda dunque alla Commissione Europea di subordinare la concessione di questi finanziamenti a un’adeguata valutazione del fabbisogno, a un regolare monitoraggio, all’impiego di indicatori di performance omogenei, nonché all’uso di criteri trasparenti per la selezione dei progetti e a costi di investimento standard per unità di energia da risparmiare, con un periodo massimo accettabile di rimborso non attualizzato dell’investimento.
Bruxelles, sta quindi cercando di correre ai ripari, e lo fa usando il vecchio metodo del bastone e della carota. Da un lato ha aperto una procedura d’infrazione contro diciannove Paesi inadempienti sulla Direttiva Epbd (Energy performance of buildings directive). Tra questi c’è anche l’Italia. La Commissione Europea ha, infatti, inviato al nostro Governo e a quelli di Bulgaria, Grecia e Portogallo la richiesta di notificare entro due mesi le misure per il rispetto delle regole europee sull’efficienza e risparmio energetico negli edifici nuovi ed esistenti. La Direttiva, inoltre, impone di assicurare che, entro il 2021, tutti i nuovi edifici rientrino nella categoria dei cosiddetti “edifici a energia quasi zero“. Secondo l’Esecutivo di Bruxelles, i quattro Stati, oltre a non aver recepito la normativa nel diritto nazionale entro il 9 luglio 2012, non hanno rispettato ciò che questa impone. Secondo la Direttiva, gli Stati membri devono stabilire e attuare dei requisiti minimi di consumo energetico, assicurare la certificazione di tali consumi e prevedere ispezioni regolari agli impianti di riscaldamento e di condizionamento. I Paesi UE rischiano ora il rinvio di fronte alla Corte di Giustizia europea e conseguenti multe in caso di condanna.
Con l’altra mano, però, l’UE continua ad incentivare l’innovazione, per dare visibilità ai casi virtuosi. È aperto infatti il ManagEnergy Award, la competizione europea tra i migliori progetti che sviluppino l’efficienza energetica o sfruttino le energie rinnovabili. C’è tempo fino all’8 marzo per inviare le candidature. Le amministrazioni pubbliche regionali, locali e le agenzie dell’energia possono così riscattarsi e usufruire di questa opportunità per presentare, a livello europeo, progetti già attuati, che abbiano dato – in questo caso – buoni risultati.
Beatrice Credi

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