martedì 27 novembre 2012

llva Taranto Bersani restituisca i soldi, le pressioni di Vendola e Clini


Ministro Clini nonostante inquinante vuole tenere ancora aperta Ilva di Taranto

L’I LVA CHIUDE, OPERAI A CASA RAPPRESAGLIA CONTRO I PM SETTE NUOVI ARRESTI, L’AZIENDA METTE “IN LIBERTÀ”5000 TUTE BLU. MONTI CONVOCA LE PARTI E PENSA A UN DECRETO CONTRO I GIUDICI di Giorgio Meletti PUGNO DI FERRO Il ministro Clini: “Se l’inchiesta blocca gli interventi ambientali ci sarà un provvedimento per far rispettare la legge” La guerra totale sull’Il - va di Taranto ha raggiunto ieri il punto di massima intensità. Magistratura contro azienda, governo contro magistratura, sindacati in parte contro il governo e in parte contro la magistratura. Ieri il colpo più duro l’ha sferrato l’azienda, chiudendo per rappresaglia tutta l’area a freddo e mettendo così in libertà 5 mila degli 11 mila dipendenti. “La catastrofe è arrivata”, ha commentato con acida sintesi il leader della Uil Luigi Angeletti. E adesso a Palazzo Chigi si studia la strada di un decreto legge per limitare gli effetti dell’azione della Procura della Repubblica di Taranto. IERI MATTINAi magistrati hanno fatto eseguire sette nuovi provvedimenti di custodia cautelare contro la famiglia proprietaria, i Riva, alcuni manager chiave e politici locali. In più hanno sequestrato prodotti finiti e semilavorati di acciaio perché realizzati in violazione delle prescrizioni del sequestro dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico, deciso nel luglio scorso, che non prevedeva la facoltà d'uso a fini produttivi degli impianti stessi. Immediata la reazione dell’azienda, che ha comunicato ai sindacati la chiusura dell’area a freddo, mettendo in libertà 5 mila operai: a casa, senza preavviso, e senza salario, già da ieri pomeriggio. L’acciaio prodotto dagli altiforni (area a caldo) viene lavorato dai laminatoi dell’area a freddo, e poi avviato in par te ad altri stabilimenti del gruppo. Il sequestro del prodotto pronto alla consegna avvenuto ieri comporta per l’Ilva “l’im - possibilità di commercializzare i prodotti e, per conseguenza, la cessazione di ogni attività”. Secondo il segretario nazionale della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, la decisione riguarderà in modo quasi automatico gli stabilimenti Ilva di Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica. Già ieri pomeriggio l’azienda ha messo in libertà gli operai che dovevano entrare in turno alle 17, che si sono però quasi tutti rifiutati di andare a casa, riunendosi in assemblea. L’azienda ha reagito bloccando i badge, per evitare altri ingressi di operai in fabbrica. Gli operai, compatti, hanno dichiarato lo sciopero immediato. Per il governo è una bomba sociale molto difficile da gestire. Si rischia di avere già da oggi a Taranto qualche forma di rivolta sociale indirizzata verso il palazzo di Giustizia, laddove passasse l’idea che i 5 mila operai sono stati mandati a casa come effetto dell’oltranzismo giudiziario. LA PRIMA REAZIONE, per bocca del ministro dell’Ambiente Corrado Clini, sembra andare proprio in direzione di uno scontro istituzionale con la magistratura. Ricordando che è stata appena firmata l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) che consente il funzionamento della maggiore acciaieria d’Europa imponendo una serie di interventi per ridurre l’impat - to inquinante e avviare la bonifica dell’area, Clini ha attaccato la procura di Taranto: ''Non sono disponibile a subire una situazione che avrebbe effetti terribili: sono preoccupato che questa iniziativa blocchi l’Auto - rizzazione integrata ambientale con effetti ambientali gravissimi e sociali devastanti”. Poi ha evocato l’ipotesi di un decreto legge che consenta all’Ilva di andare avanti neutralizzando gli effetti dell’inchiesta penale: “Voglia - mo sapere se in queste condizioni nuove è possibile per l'Ilva realizzare gli interventi e gli investimenti necessari per rispettare l’Aia o no. In caso di no dobbiamo prendere provvedimenti per far rispettare la legge”. I sindacati chiedono al premier Mario Monti di fare qualcosa. IERI SERA è arrivata una convocazione per dopodomani, giovedì, a palazzo Chigi, per azienda, sindacati e enti locali. Ma la partita è resa più complicata dal timore che le cose siano andate troppo avanti, e che al vertice dell’Ilva cominci a farsi strada l’idea di gettare la spugna e chiudere lo stabilimento. Un’ipotesi del genere spaventa il governo, che non avrebbe alcuno strumento per costringere l’86enne Emilio Riva a tenere in vita l’azienda. Twitter @giorgiomeletti
Le richieste a Bersani e le promesse di Vendola IL GIP: AL GOVERNATORE PUGLIESE “LA REGIA”DELLE PRESSIONI LA LETTERA PER DIRE A PIER LUIGI “DI NON FARE IL COGLIONE” IL DEMOCRATICO Nel 2006 il gruppo aveva dato 98 mila euro per la campagna del futuro ministro. Nel 2010 la famiglia Riva prova a passare all’incasso “NON MI SONO DEFILAT O”Il dirigente Archinà si lamenta del capo dell’ Arpa e, secondo le carte, questo viene subito redarguito dal leader di Sel di Antonio Massari inviato a Taranto Nell’estate 2010 il gruppo Riva si giocava tutto. E giocava su tutti i tavoli: minacciava di far saltare il ministro Stefania Prestigiacomo , gongolava per il “regalo” ricevuto da Silvio Berlusconi, scriveva a Pier Luigi Bersani per bloccare il senatore del Pd Roberto della Seta, spingeva sul governatore pugliese Nichi Vendola per “frantumare” il presidente dell’Arpa Puglia Giorgio Assennato, incassando - su quest’ultimo progetto - la complicità della Cisl. E nessuno – a giudicare dagli atti – che osasse contraddirli. Il tutto sotto la regia di Girolamo Archinà , dirigente Ilva per le relazioni istituzionali. Il regalo di Berlusconi Il senatore del Pd della Seta si oppone al disegno di legge che agevola l’Ilva sulle emissioni di benzo(a)pirene. Fabio Riva parla con suo padre Emilio e gli dice “Archinà vuole che lui (Emilio) faccia una lettera a Bersani, in merito alla polemica sul benzoapirene (…). Fabio dice che il senatore Della Seta ha detto delle falsità assolute (…) che Berlusconi ha fatto un regalo all'Ilva e aggiunge che la lettera serve per dire a Bersani di non fare il ‘coglione’”. Caro Pierluigi L’email viene spedita: “Mi rivolgo a lei per un episodio di cui è stato protagonista il senatore Della Seta che mi ha molto sconcertato (…) Scusi lo sfogo ma, proprio per quello che negli anni di reciproca conoscenza, ha potuto constatare in merito a come la mia azienda opera, confido che saprà comprenderlo…”. Tra gli anni di reciproca conoscenza, spicca il 2006, quando il gruppo Riva finanziò la campagna elettorale di Bersani con 98mila euro. Far uscire il sangue a Della Seta E mentre i Riva pensavano di scrivere a Bersani, il deputato del Pd Ludovico Vico veniva intercettato. E, parlando con un dirigente Ilva, commentava “Ora, a questo punto… lì alla Camera dobbiamo farli uscire il sangue a Della Seta…”. Salta la Prestigiacomo Tra gli obiettivi dell’Ilva, nel 2010, c’è l’acquisizione di un’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) favorevole al gruppo. L’avvocato Franco Perli riferisce a Fabio Riva di essersi mosso con Luigi Pelaggi, capo dipartimento del ministero dell’Ambiente, retto all’epoca dalla Prestigiacomo e in cui lavorava con la qualifica di direttore generale, l’attuale ministro Corrado Clini (che ha sempre declinato qualsiasi responsabilità nelle procedure sull’Ilva). L’Aia fu firmata nel 2011 e, secondo l’accusa, fu “rilasciata aderendo il più possibile alle richieste dell’Ilva”. Un anno prima l’avvocato Perli diceva a Fabio Riva: “Gli ho detto (a Pelaggi, ndr) che i Riva sono incazzati come delle bisce (…) hanno già scritto a Letta... gli ho detto che se le cose stanno così (…) noi mettiamo in mobilità 5 o 6mila persone... gli ho detto guarda che su sta roba qui salta la Prestigiacomo… cazzo gli ho detto, scusa è da novembre che io vengo qui in pellegrinaggio da te..... è una roba allucinante! Cioè cosa dobbiamo fare di più, ve l’abbiamo scritta noi!”. Le pressioni su Pecorella Archinà al telefono è irrefrenabile. Contatta il senatore Pdl Pietro Franzoso (scomparso a novembre 2011): è il segretario della commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti. È a lui che affida il compito di fare pressioni sul presidente della Commissione, Gaetano Pecorella , che intende accollare ai Riva i costi delle bonifiche. Archinà dice della visita della Commissione parlamentare all’Ilva: “É tutto pilotato”. È sempre l’Aia il pallino dei Riva. E gli inquirenti – spiegando le pressioni su Giorgio Assennato, presidente dell’Arpa Puglia – scrivono che le sollecitazioni , su iniziativa dell’Ilva, non giungevano solo dai palazzi pugliesi, ma anche direttamente dal ministero dell’Ambiente. “Non mi sono defilato” “Archinà”, dice al telefono Nichi Vendola col manager Ilva, “State tranquilli, non è che mi sono scordato”. Archinà l’ha incontrato pochi giorni prima, per segnalargli che Assennato gli sta creando problemi. Invece che difendere il lavoro di Assennato, Vendola elogia i Riva: “L’Ilva è una realtà produttiva cui non possiamo rinunciare – dice il governatore – e quindi, fermo restando tutto, dobbiamo vederci … dobbiamo ridare garanzie, volevo dirglielo perché poteva chia-mare Riva, e dirgli che il presidente non si è defilato”. Non si defila, Vendola, ma non si espone: “Ho paura che metto la faccia mia e si possono accendere ancora più fuochi”. Vendola ieri ha assicurato di non aver mai fatto pressioni su Assennato. Eppure, nella ricostruzione offerta dagli atti, dopo queste conversazioni, Assennato viene effettivamente redarguito da Vendola e dal suo staff. Ed è lo stesso Assennato a confermarlo in un’intercettazione con Archinà. Per l’accusa è “la prova dell’avvedell’avvenuto intervento di Vendola”. “Sono senza palle” il 23 giugno 2010 Assennato chiama Archinà: “Girolamo sono molto incazzato! La dovete smettere di fare così (…) andare dal presidente e dire che siete vittima di una persecuzione dell’Arpa (…). Vendola questa mattina ha convocato Massimo Blonda (direttore scientifico dell’Arpa, ndr)… vi siete trovati di fronte a persone senza palle!”. “La Fiom è vostra alleata” Nel frattempo Vendola trova il modo di dire ad Archinà: “I vostri alleati principali, in questo momento, lo voglio dire, sono quelli della Fiom”. E di aggiungere: “Le ho fatte veramente le battaglie… le difese sulla vita e sulla salute”. Archinà, in Vendola, però intravede un altro aspetto: “Lui ormai aspira e penso che è di levatura nazionale… secondo me lui ci riesce …ad avere dei successi … per cui a noi della Puglia va bene un discorso del genere”. Il fatto quotidiano 27 novembre 2012 

Ilva Taranto gli arresti, Bersani restituisca i soldi e la rappresaglia

RAPPRESAGLIA: L’ILVA CHIUDE ORA BERSANI RESTITUISCA I SOLDI A RIVA Taranto, 7 arresti per concussione e veleni L’azienda caccia 5 mila lavoratori. Il Gip: “Vendola regista delle pressioni sull’Ar pa” Lettera della proprietà al segretario Pd (finanziato con 98 mila euro nel 2006-2007) per bloccare la battaglia ambientalista del suo parlamentare Roberto Della Seta La lunga storia: cinquant’anni di denunce e veleni L’IMPIANTO di Taranto nasce negli anni ‘60 e già nel ‘71 gli ambientalisti protestano. Nel 1982 la pretura di Taranto mise sotto indagine i manager per getto di polveri e inquinamento da gas, fumi e vapori. Il direttore dello stabilimento fu condannato a 15 giorni di arresto. Nel ‘91 il ministero dell'Ambiente dichiarò Taranto area a elevato rischio ambientale, nel ‘94 l’Enea avviò il Piano di disinquinamento e l’anno dopo i Riva comprarono lo stabilimento. Nel ‘97 iniziò la rimozione dell’amianto e nel ‘98 l’Enea definì gli interventi a carico dei Riva per la bonifica: non vennero eseguiti. Nel 2000 il Comune di Taranto chiese di modificare gli impianti, nel 2001 il tribunale 12.000 POSTI A RISCHIO LA FABBRICA E L’INDOTTO L’Ilva a Taranto è la principale impresa dell’a re a per occupazione dichiarò Emilio Riva, il figlio Claudio e altri dirigenti colpevoli di tentata violenza privata per avere demansionato alcuni impiegati che avevano denunciato la malagestione. Nel 2007 Emilio Riva fu condannato a 3 anni di reclusione e Claudio Riva a 18 mesi per omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro e violazione di norme antinquinamento. Nel 2008 la Corte d'Appello di Lecce condannò a due anni di reclusione Emilio Riva e a un 1 anno e 8 mesi il direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso, per getto pericoloso di cose, danneggiamento aggravato, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni. Nel 2002 il ministero dell’Industria istituì un tavolo per concedere l’Aia all’Ilva, solo nel 2011 si raggiunse un accordo basandosi su più elastici criteri (approvati anche da Vendola). A inizio 2012 il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, segnalò alle autorità locali che il livello dell’inquinamento era pericoloso per la popolazione ed era necessario interveniresubito. A luglio il primo sequestro dell’area e l’a r re s to di otto tra dirigenti ed ex dirigenti indagati per disastro ambientale. Ora nuove accuse per dirigenti e funzionari: associazione a delinquere, disastro ambientale e concussione. SETTEMBRE 2010 Quando Riva scrisse al segretario Pd per fermare Della Seta “MI SCUSI LO SFOGO”, scrive Emilio Riva, patron dell’Ilva, a Pier Luigi Bersani in una lettera del 30 settembre 2010 agli atti dell’inchiesta. Riva fa leva sulla “reciproca conoscenza” per segnalare al segretario del Pd quanto poco abbia gradito gli interventi del parlamentare democratico Roberto della Seta che lo hanno “sconcertato”. Della Seta annunciava di voler cambiare un provvedimento del governo Berlusconi (cosiddetto “decreto salva Ilva”) che rinviava di due anni il termine entro cui lo stabilimento di Taranto doveva rispettare i requisiti ambientali sul benzo( a)pirene. Riva è scandalizzato dalla “pressione mediatica violentissima”. Sentito dal Fatto Quotidiano, Della Seta spiega: “Nel testo su cui il Parlamento aveva espresso parere non c'era la norma che prorogava i limiti per la concentrazione di benzoapirente nell'aria. Venne inserita dopo con un blitz del ministro Prestigiacomo, una norma ritagliata esclusivamente su misura dell'Ilva. Ma nessuno del Pd, men che meno Bersani, mi ha mai chiesto di cambiare il mio atteggiamento. Feci interrogazioni e dichiarazioni, ma non ho ricevuto alcuna pressione”. “Due tumori in più all’anno sono una minchiata” FABIO RIVA E LA RETE DI GIORNALISTI, TALPE E POLITICI AMICI. E TARANTO È LA CITTÀ DOVE SI VIVE PEGGIO IN ITALIA. di Francesco Casula Taranto Due casi di tumore in più all'anno… una minchiata”. Fabio Riva non ha mezzi termini: due vite spezzate dal cancro sono un “minchiata” di fronte ai profitti e alla produzione dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa. Ma come ha fatto l’Ilva ha nascondere il disastro ambientale prodotto in questi anni? Questo era il compito fondamentale di Girolamo Archinà, ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva in carcere da ieri mattina, che attraverso il suo cellulare muoveva i fili del sistema. Riceveva informazioni riservate e predisponeva le contromeosse per “tenere tutto sotto coperta”. Politici, sindacalisti, giornalisti: Archinà chiamava tutti e tutti chiamavano Archinà. Nel provvedimento di 531 pagine firmato dal gip Patrizia Todisco, il “si - stema Archinà” emerge in tutta la sua forza e capacità di penetrazione. C’è il sindaco Ippazio Stefàno che in piena emergenza benzo(a)pirene chiama l’ex consulente Ilva per chiedere “come dobbiamo muoverci noi” ed emana un’ordinanza che per il gip è “esattamente il frutto della mediazione” che gli permette di “salvare la propria immagine politica” e “nel contempo per non inimicarsi la grande industria”. Chiama anche il presidente della provincia Gianni Florido, i consiglieri regionali di centro sinistra Donato Pentassuglia e Alfredo Cervellera e il deputato Pd Ludovico Vico. In una mail intercettati dalle fiamme gialle, guidate dal capitano Giuseppe Dinoi, il responsabile Ilva formula una “proposta di modifica dell’art. 674 del c.p. di cui si fa promotore l’on. Ludovico Vico” per derubricare la pena a semplice sanzione amministrativa. Depenalizzare, insomma, l’unico articolo del codice penale per il quale l’Ilva è puntualmente condannata. Ogni sistema che si rispetti ha le sue talpe. Archinà contava sull’ispettore Aldo De Michele della Digos di Taranto che per ottenere il rinnovo di alcuni contratti di operai amici lo informa di ogni singolo avvenimento che potrebbe interessare l’Ilva anche dell’incontro riservato avvenuto nella Questura di Taranto tra il procuratore Franco Sebastio e il direttore generale dell’Arpa Puglia Giorgio Assennato, eterno nemico dell’azienda dei Riva. Rapporti insomma che come scrive il gip Todisco sono “abil - mente e utilmente intessuti al fine di condizionare pesantemente, orientandone l’azione a proprio favore, le agenzie e gli organismi chiamati ad esercitare, a vario titolo e per il proprio ruolo, funzioni di controllo critico nei confronti di una realtà industriale dal fortissimo e notorio impatto inquinante sul territorio”. Nel sistema Archinà non mancano i giornalisti. A Michele Mascellaro, direttore di Taranto sera, Archinà “esprime apprezzamento – scrive il giudice – per la campagna di stampa ed il direttore risponde in un modo che bene illustra i rapporti tra i due: dice infatti ‘….che mi tieni a fare a me?’. Mascellaro attesta dunque – prosegue il gip Todisco – con le sue stesse parole, di concepire la sua professione come attività al servizio degli interessi di Archinà – e quindi dell’Il - va”. Non sfuggono nemmeno i consulenti della procura di Taranto che indagano sullo stabilimento. Come il professore Lorenzo Liberti, finito ieri ai domiciliari per aver intascato secondo l’accusa una tangente da 10mila euro. L’indagine, però, non è chiusa. Ieri sono finiti in carcere, oltre ad Archinà, anche Luigi Capogrosso , ex direttore dello stabilimento e Fabio Riva che si è reso irreperibile, agli arresti domiciliari l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva presto potrebbe portare a risultati ancor più clamorosi. L’elenco degli indagati, tra i quali figura anche Bruno Ferrante , presidente di Ilva, è lungo. Gli avvisi di garanzia potrebbero arrivare nei prossimi giorni anche a coloro che in questi anni avrebbero dovuto controllare gli impegni assunti dall’Ilva e potrebbero continuare a delineare come e perché “l’ambiente svenduto” por - tato alla luce dall’indagine della Guardia di finanza abbia trasformato Taranto nella città che occupa il più basso gradino nella classificia di vivibilità in Italia, secondo il Sole24Ore . Il fatto quotidiano 27 novembre 2012

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