lunedì 7 novembre 2011

alluvione, danni e strage a Genova: le colpe

L'INTERVISTA
"Pericoli e colpevoli
i cittadini sappiano"
Parla il climatologo Maracchi: "Non è più tempo di piogge tradizionali, siamo alle alluvioni-lampo. Necessario tenere alto il livello dell'informazione"
di ANTONIO CIANCIULLO
Un sottopasso allagato in corso Sardegna (ansa)

"Siamo di fronte alle flash flood, le alluvioni lampo. Con picchi di questa intensità ci si trova a fronteggiare all'improvviso 4 mila tonnellate di acqua per ettaro: è una massa spaventosa, un vero e proprio bombardamento. Con piogge così, legate alla tropicalizzazione del clima, il rischio sarà sempre più alto". Giampiero Maracchi, docente di climatologia all'università di Firenze, commenta il disastro di Genova spiegando in che modo sono cambiate le piogge.

"Le piogge tradizionali", continua Maracchi, "si misuravano con 40, 60, magari 80 millimetri nell'arco di alcune ore. Adesso siamo di fronte a nubifragi che fanno precipitare, sempre in poche ore, una cortina di acqua da 120 -220 millimetri. Si può arrivare anche a 400 millimetri, cioè a 4 mila tonnellate di acqua per ettaro".

Dunque il disastro era prevedibile?
"Dipende cosa si intende per prevedibile. Sappiamo che il cambiamento climatico prodotto dall'uso dei combustibili fossili e dalla deforestazione è in corso. Sappiamo che i fenomeni meteo estremi, che sono già diventati più frequenti, capiteranno sempre più spesso. E dunque bisogna attrezzarsi per affrontarli. In questo senso possiamo prevedere un aumento del rischio".

E in che senso non sono prevedibili?
"L'allerta della protezione civile riguarda l'esistenza di un rischio in una certa area. Ma l'intensità della minaccia, il momento in cui può concretizzarsi e il luogo esatto non sono prevedibili".

Allora c'è poco da fare?
"Al contrario, c'è moltissimo da fare. A cominciare dalla creazione di un'opinione pubblica informata. Le faccio un esempio. Alla fine dell'Ottocento le mamme non erano particolarmente attente a insegnare ai bambini come attraversare le strade: il numero dei morti prodotti dalle carrozze era tutto sommato trascurabile. Oggi una delle preoccupazioni principali per chi ha figli piccoli e vive in città è spiegare bene che attraversare la strada può essere pericoloso".

E come si fa a proteggersi dalle piogge?
"Bisogna imparare principi elementari. Ovviamente in caso di nubifragio i sottopassaggi diventano luoghi pericolosi, ma bisogna stare attenti anche se la casa in cui si vive ha dietro una collina poco stabile. Se si sta accanto a un fiume o, peggio ancora, a un torrente che può avere più facilmente una crescita rapidissima. Oppure se si è in una zona con una forte pendenza, con la possibilità che un fiume d'acqua si incanali all'improvviso tra le case".

Non dovrebbero essere gli amministratori di una città a garantire condizioni di sicurezza che tranquillizzino i cittadini?
"Non c'è dubbio, ma è bene far convivere le due precauzioni. Da una parte i cittadini devono sapere che con il cambiamento climatico la loro vita non è più la stessa. I luoghi cambiano, i rischi cambiano, l'attenzione deve cambiare. Dall'altra parte chi ha la responsabilità della gestione del territorio non può più sperare di farla franca se commette errori".

Dal Sarno in poi i disastri non sono mancati.
"Appunto. Dal 1990 a oggi siamo a quasi 80 episodi di intensità simile a quella che abbiamo visto a Genova. E' un numero in crescita. E dunque le possibilità che, chiudendo un occhio sull'abusivismo edilizio e sull'occupazione delle golene dei fiumi, un amministratore riesca a superare indenne il suo mandato sono in netta diminuzione".

Eppure l'abusivismo non si ferma e di condoni si continua a parlare.
"Mi pare difficile che si possa continuare su quella strada con lo sconquasso climatico che abbiamo prodotto usando un sistema energetico ad alto rischio. Se non si interviene su entrambi i fronti, il passaggio all'efficienza energetica e alle fonti rinnovabili da una parte, e una politica di reale difesa del suolo dall'altra, assisteremo con frequenza crescente ad alluvioni devastanti".

(04 novembre 2011)
http://www.repubblica.it/ambiente/2011/11/04/news/pericoli_e_colpevoli_i_cittadini_sappiano-24447700/


Tozzi: “Tutta colpa della cementificazione”
Ecco quali sono le regioni più a rischio Il famoso geologo tuona contro la cementificazione selvaggia: "Abbiamo avuto un consumo bulimico del territorio, si è costruito troppo dove non si doveva". Poi disegna la mappa delle regioni più a rischio: Liguria, Toscana, Lazio, Campania, ma anche il TrentinoMario Tozzi, geologo Un consumo bulimico del territorio”. Quello che è successo a Genova e alle Cinque Terre non è soltanto l’effetto della natura che cambia. Mario Tozzi, impegnato su Radio 2 per la trasmissione “Tellus”, studia da anni questi fenomeni.

Tozzi, in poche ore è piovuto quanto piove in un anno. Quali sono le ragioni?
Sono ormai 20 anni che assistiamo a piogge sovrabbondanti. Ci sono state anche discussioni in Senato, non siamo solo noi geologi a dirlo. Poi il territorio italiano è giovane, attivo. Questo è un paese dove ci sono vulcani, terremoti, fenomeni di assestamento. Un terzo motivo è che abbiamo avuto un consumo bulimico del territorio. Cemento e infrastrutture hanno consumato la terra. Abbiamo mangiato il suolo rendendo il terreno impermeabile. L’acqua non penetra più, scivola e va via. Si è costruito troppo dove non si doveva. Le case sono state costruite anche sugli argini dei fiumi. A ogni disastro tutti pongono il problema dei detriti che ostruiscono il corso dei fiumi. Il problema non sono tanto i detriti, ma il fatto che l’uomo ha ridotto gli alvei dei corsi d’acqua.

I morti della Liguria sono come quelli di Giampilieri, a Messina. Colpa della natura o dell’uomo?
La colpa è dell’uomo, le catastrofi naturali non esistono. Abitiamo in posti dove non dovremmo stare. I genovesi d’altri tempi stavano nelle alture.

Si parla di cambiamenti climatici e surriscaldamento del pianeta. È un fenomeno irreversibile o si può intervenire?
È un fenomeno parzialmente naturale, ma l’uomo ha accelerato il processo di surriscaldamento. Il carattere violento di queste perturbazioni ne è una conseguenza. Si devono ridurre le emissioni inquinanti. È un processo che deve riguardare tutti i paesi del mondo.

L’Italia è un paese a forte rischio idrogeologico. Quali sono le regioni più a rischio?
La Liguria e la Toscana, ma anche l’alto Lazio, la Campania e la Sicilia. Io considero a rischio frane anche il Trentino. Lì però non si sono mai registrate vittime perchè c’è stato un uso più attento del territorio.

Quali scelte deve fare la politica nei territori a rischio?
I sindaci devono fare un passo indietro rispetto all’uso del territorio. Purtroppo si pensa che si guadagni consenso solo con l’edilizia e il cemento.

L’associazione dei Comuni virtuosi lancia una proposta: moratoria sulle grandi opere e i soldi da destinare contro il dissesto idrogeologico. Che ne pensa?
Sono d’accordo. Li conosco e sarò con loro lunedì prossimo. Cosa si deve insegnare ai nostri figli? Bisogna che capiamo prima noi che è necessario fare un passo indietro rispetto a scelte non rispettose della natura e del territorio. Riprendere ritmi naturali, rinaturalizzare i corsi d’acqua, ritornare a vivere dove e come si viveva un tempo. Il cemento non serve, bisogna recuperare la terra.

di Michela Gargiulo

Da Il Fatto Quotidiano del 6 novembre 2011
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/06/il-cemento-ha-consumato-la-terra/168761/

Alluvione a Genova, scatta il rimpallo delle responsabilità per la manutenzione dei fiumi Mancano 400 milioni per "imbrigliare" il Bisagno con la costruzione di un canale scolmatore. Se ne parla dagli anni '70, ma le competenze sono divise tra una miriade di enti. Grillo attacca il Capo dello Stato: "Ha detto capire le cause. La causa è una classe politica di cui Napolitano fa parte"Lo dice la parola stessa: la piena cinquantennale dovrebbe arrivare una volta ogni mezzo secolo. Invece il Bisagno ne ha regalate tre in quarant’anni. Il Bisagno per Genova è come il Vesuvio per Napoli, una bomba pronta a esplodere intorno a cui, follemente (ma con le approvazioni delle autorità) è cresciuta la città. Il fiume oggi, dopo gli ultimi interventi, può reggere 710 metri cubi d’acqua al secondo. Le piene più devastanti ne portano 1. 300. I seicento di troppo devastano la città. Uccidono.

Ecco la bomba del Bisagno e del Fereggiano che venerdì è esplosa. E adesso tutti a Genova temono di restare con il cerino in mano. La posta in gioco è alta. C’è in ballo anche la guida della città e della regione. Così ieri in molti hanno cominciato a puntare il dito contro Marta Vincenzi. Un po’, forse, perché il sindaco è il parafulmini. Non solo: siamo alla vigilia delle elezioni, Vincenzi è sola. Di fronte ha il centrodestra, alle spalle una parte del suo centrosinistra, che sarebbe lieto di togliersela dai piedi.

Poi Vincenzi ci ha messo del suo, con le dichiarazioni della prima ora: “Se qualcosa abbiamo sbagliato, è stata la scelta di fare poco terrorismo”. Ancora: “Non mi sento responsabile. I genovesi devono capire che l’allerta 2 è una cosa seria”. Le scuole aperte? “Pensate se i bambini fossero stati in giro per la città invece che in luoghi sicuri”.

Nessun mea culpa. Così ieri gli abitanti della val Bisagno l’hanno contestata. Venerdì a Genova qualcosa non ha funzionato: le scuole erano aperte. All’una, quando il Bisagno e il Fereggiano hanno invaso il centro, c’erano migliaia di ragazzi per strada. A Brignole il traffico era congestionato come in un giorno qualsiasi. Se il Bisagno fosse esploso come nel 1970 oggi conteremmo decine di morti. Ma la tragedia del Bisagno, e l’alluvione di polemiche che in Italia segue sempre quella di fango, ci raccontano altro. Dalle nostre parti la matematica è un’opinione. È vero, c’è la crisi, ma per il Ponte sullo Stretto targato Berlusconi sono previsti 10 miliardi. Per l’autostrada Mestre-Civitavecchia, cara al centrosinistra, siamo oltre i 15 miliardi. Mentre a Genova mancano 400 milioni per imbrigliare il Bisagno, un torrente d’estate invisibile che in autunno si ricorda di essere un fiume.

Così si fanno i risparmi in Italia: “Le alluvioni dal 1945 al 1970 sono costate molto più di quanto sarebbe stato necessario per mettere in sicurezza il fiume”, assicura Paolo Tizzoni, dirigente Area Sviluppo Urbanistico del Comune. E non contiamo le alluvioni dei primi anni Novanta e quella di venerdì. Insomma, se si fosse intervenuti per tempo, si sarebbero risparmiati centinaia di milioni. Senza contare le vite umane: più di trenta dal 1970 a oggi. Ma i morti non entrano nei bilanci dello Stato.

LA STORIA del Bisagno dice molto dello spirito con cui si affrontano – o meglio, non si affrontano – le emergenze in Italia: soldi cacciati al vento, opere lasciate a metà, interventi tampone, competenze divise tra una miriade di enti. E morti. A Genova la parola magica è “scolmatore”, l’opera che risolverebbe la questione. In pratica è una bretella che raccoglierebbe 450 metri cubi d’acqua del fiume e li devierebbe altrove. Se ne parla dagli anni Settanta, è stata avviata, poi lasciata a metà, con un seguito di inchieste giudiziarie. Poi ripresa nel 1998, ma mancano i fondi. A chi tocca, però, curare i fiumi liguri che si trasformano in killer ogni autunno, dal Vara al Magra, passando per il Bisagno? “La legge è un labirinto”, allarga le braccia Sebastiano Sciortino, assessore all’Ambiente della Provincia di Genova. “La parte alta dei fiumi toccherebbe alla Provincia, quella bassa a Regione e Comuni. E poi ci sono anche i frontalisti”. Cioè? “Gli abitanti”. Sembra fatto apposta per perdersi. Così nello stesso ente c’è un assessore che parla di investimenti per 160 milioni e un altro che si limita a 10. Ma che cosa è stato fatto davvero? Mario Margini, assessore ai Lavori Pubblici del Comune, mostra i suoi dati: “Per l’assetto idrogeologico abbiamo lavori in corso per 132 milioni. La nostra Giunta ha ultimato cantieri per 81 milioni”. Ma il Bisagno e il Fereggiano? “Sono stati oggetto di importanti e recenti interventi”, ha assicurato Claudio Burlando, presidente della Regione. Già, interventi alla foce e a monte. Sono stati abbattuti palazzi che rischiavano di formare una diga in caso di alluvione. Lo scolmatore è stato approvato, ma resta al palo dopo i tagli selvaggi di Berlusconi.

E LA PULIZIA del fiume? “Dire che l’alluvione è stata provocata dalla sporcizia è una fesseria”, è perentorio Margini. Aggiunge: “I rivi erano stati appena puliti”. Gli abitanti della Val Bisagno non sono tutti d’accordo: “C’erano tronchi e rifiuti di ogni genere”. Una cosa è certa: i soldi sono pochi. “Noi ce la mettiamo tutta. Per la pulizia dei fiumi abbiamo stanziato circa due milioni l’anno”, racconta Paolo Perfigli, assessore alla Pianificazione di Bacino della Provincia. Pochi soldi, tante polemiche. Spesso nessun responsabile.

Il presidente Giorgio Napolitano ieri ha sollecitato chiarezza: “Cerchiamo ancora di capire quali siano state le cause della tragedia”. Beppe Grillo, che è originario dei quartieri alluvionati, è duro: “L’Italia del fango sta mostrando il suo ghigno. Il cittadino è solo. L’Italia del cemento lo sta seppellendo vivo. Non c’è governo, non c’è opposizione, ma un comitato di affari che si spartisce il Paese. Oggi mi sento impotente, la distruzione di Genova era annunciata. Ho visto la mia città trasformata in fanghiglia”. Poi un attacco a Napolitano: “Ha detto su Genova ‘ Capire le cause! ’. La causa è una classe politica di cui Napolitano fa parte da 66 anni”. Ma non c’è solo il Bisagno. Manuela Cappello, consigliere comunale (Gruppo Misto) e il Wwf lanciano altri allarmi: “La Regione Liguria ha ridotto il limite previsto per le nuove costruzioni lungo i fiumi. Erano dieci metri, adesso sono tre. Si rischiano nuovi disastri”.

La Liguria continua a crescere intorno al suo Vesuvio. In attesa che esploda ancora.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/06/il-vesuvio-di-genova/168763/

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