giovedì 25 agosto 2011

E' ora di scrivere il manifesto del nuovo ambientalismo

Maurizio Fraissinet
COMMENTI. Da Chernobyl a Napoli, nel corso degli ultimi decenni del ‘900 e nei primi anni del II millennio, puntualmente e inesorabilmente si sono verificate le sciagure e i problemi che il pensiero ambientalista aveva ipotizzato.

Nel corso degli ultimi decenni del ‘900 e nei primi anni del secondo millennio, puntualmente ed inesorabilmente si sono verificate le sciagure e i problemi che il pensiero ambientalista aveva ipotizzato. Non si trattava quindi di catastrofismo come superficialmente, ma con tecnica mediatica perfetta, le lobby che si sentivano minacciate si erano affrettate a dichiarare, ma il semplice verificarsi di fenomeni ed episodi che scienziati liberi pensatori avevano potuto facilmente intuire e ipotizzare. I due gravi disastri nucleari in Ucraina e in Giappone hanno demolito di fatto le “ferree” convinzioni dei fautori del nucleare, ma anche di coloro che credevano fermamente nell’infallibilità e nell’inarrestabilità del cosiddetto “progresso tecnologico”.

Lo stesso dicasi per la crisi dei rifiuti a Napoli e in Campania. Da quanto tempo gli ambientalisti invocavano la raccolta differenziata? Almeno dalla seconda metà degli anni ‘70. Non erano stati ascoltati e spesso erano stati considerati fastidiosi e utopistici, quando non ridicoli. Ebbene, puntualmente, la crisi si è verificata e ora, in ritardo, ci si sta affannando a realizzare la raccolta differenziata, proprio come sostenevano gli ambientalisti trenta anni prima.
Il discorso può continuare con le energie alternative, l’abusivismo e il dissesto idrogeologico: quanti morti è costato e costerà al nostro paese non aver mai voluto avviare una seria politica di investimenti per la prevenzione del dissesto idrogeologico e una lotta seria all’abusivismo? Nel corso degli ultimi anni inoltre si sta assistendo a manifestazioni spontanee di protesta che non hanno come tema soltanto il lavoro, l’aborto o la difesa della democrazia (tutti temi sacrosanti per carità!), ma finalmente anche temi ambientalisti (anch’essi, mia sia consentito, sacrosanti!). Le rivolte di piazza contro le discariche in Campania, le lotte contro lo stoccaggio delle scorie nucleari in Basilicata, quelle contro la TAV in Val di Susa. E allora perché non se ne parla? Perché non sentiamo un solo rappresentante politico parlare dei temi dell’ambiente? Perché non c’è più un quotidiano, con l’unica felice eccezione di Terra, che ne parli?

La risposta che mi do è che si sente fortissima oggi l’assenza di un pensiero ambientalista di riferimento, quello che io spesso chiamo un “manifesto” dell’ambientalismo. Una riflessione ampia che tracci le linee del pensiero ambientalista, definendone finalmente gli ambiti e i confini, individuando finalmente i valori di riferimento, gli scopi e gli obiettivi. Un manifesto che tracci una linea cui ispirarsi, che ci faccia capire quale scelta sia di tipo ambientalista quale no. Che consente a chiunque di confrontarsi con questi temi e stabilire da che parte stare. Troppo abusato è infatti il termine ambientalismo, e ciò rischia seriamente di inficiare irrimediabilmente il significato e il futuro del movimento. E a proposito di movimento, può esistere un movimento senza una linea politica e filosofica di valori a cui fare riferimento?

Erano ambientalisti gli abitanti del quartiere napoletano di Pianura quando si inginocchiavano, inermi, dinanzi alle Forze di Polizia per impedire l’apertura della discarica di Pianura, difendendo le loro case abusive o le lottizzazioni a venire della camorra e che non hanno mosso un dito per impedire la realizzazione della discarica nel Parco Nazionale del Vesuvio? Sono ambientalisti coloro che dicono di amare gli animali perché hanno un cane in casa e non fanno nulla per tutelare l’aquila reale, il capovaccaio o la cicogna nera? Sono ambientalisti coloro che vogliono l’eolico ovunque anche se questo sta comportando l’estinzione di Nibbio reale, Nibbio bruno, pipistrelli e altre specie animali della nostra fauna? Sono ambientaliste le aziende automobilistiche, energetiche, alimentari e chi più ne ha più ne metta che pubblicizzano prodotti con messaggi legati alla bellezza della natura?

Approfittiamo allora di questa crisi planetaria per cominciare a costruire un’alternativa seria, convincente e vincente. Il fatto è che per la prima volta nella storia dell’umanità ci si trova di fronte a una crisi planetaria derivante dalla scarsità delle risorse naturali, divenute scarse perché ipersfruttate e consumate a partire dalla metà del XIX secolo. è questa quindi una crisi che non si risolve con una guerra, perché non ci sono risorse da saccheggiare, o con la scoperta di nuove terre, perché tutte le terre del pianeta sono state scoperte e sfruttate. Di questo non c’è consapevolezza ufficiale e formale, ma si avverte comunque un senso di disagio.

Come scrive Massimo Serafini su Terra del 21 agosto 2011, è andato in crisi il modello economico e sociale che ha caratterizzato l’economia capitalista e non solo nel corso degli ultimi centocinquanta anni. Un modello che si è basato semplicemente sul consumo delle risorse naturali nella convinzione che fossero illimitate, che il pianeta non avesse limiti e che il problema comunque non si ponesse perché tanto la tecnologia e l’intelligenza dell’uomo lo avrebbero comunque risolto. E quei pochi, come Aurelio Peccei, che invece facevano notare che esistevano limiti allo sviluppo, venivano isolati, bollati come catastrofisti, azzittiti mediaticamente. Quanti italiani hanno letto gli scritti di Aurelio Peccei sui limiti dello sviluppo? Quanti sanno chi è stato e cosa è stato quest’uomo? Quanti conoscono la frase di Boulding: «Chi crede che sia possibile una crescita infinita in un mondo finito o è un pazzo o è un economista»? Andrebbero ripresi questi temi, riproposte queste letture.

E allora è proprio questo il momento per lanciare una politica, un progetto, un modello ambientalista. Occorre approfittare di questo grave e profondo momento di crisi, una crisi epocale che non si può risolvere proponendo gli stessi modelli e gli stessi valori ma che, necessariamente deve vedere la nascita di nuove idee, nuovi valori rivoluzionari. è il momento della rivoluzione ambientalista. Perché ci sia una tale rivoluzione è necessario però che ci sia il “manifesto ambientalista” a cui fare riferimento, su cui lavorare per costruire il consenso. Ed è questa mancanza che giustifica il silenzio dei politici, dei media, di tutte quelle persone “vecchie e “retrograde” che continuano a ragionare secondo vecchi schemi superati.

Ebbene qualcuno dovrà pure cominciare a scriverlo questo “manifesto”, dovrà operare la giusta sintesi delle tante teorie che in questi anni sono andate evolvendosi tra gli economisti contrari alla crescita illimitata, ai fisici, ai biologi, ai politologi, ai sociologi, agli ingegneri, ecc.
E allora mi tornano alla mente le parole “costituente ecologista”, che di per sé hanno un significato illuminante: scrivere una costituzione, un “manifesto” o una “carta” quindi, che tracci le linee guida, i valori, i modelli di una società alternativa che sia in linea con i temi dell’ambientalismo , in primis i temi, a mio giudizio, fondanti dell’intera filosofia ambientalista: preservare le risorse naturali del pianeta per garantire alle nuove generazioni di esseri umani di trovare le condizioni ambientali idonee alla sopravvivenza e al mantenimento della specie. Già questo, si badi bene, è un concetto rivoluzionario. Quale costituzione, quale movimento politico si pone il problema di chi deve ancora nascere? Chi si pone il problema della salvaguardia della specie?

E allora la costituente ecologista potrebbe operare in tal senso, lavorare cioè alla costruzione di una nuova “carta” dei diritti degli uomini di oggi e di domani, dimostrando che è possibile mantenere economie, occupazione, benessere senza necessariamente distruggere e consumare le risorse naturali. è possibile trovare altri modelli sociali che consentano di continuare ad esistere sul pianeta senza necessariamente tornare alla vita nelle caverne (come dicono coloro che avversano i temi degli ambientalismo). La questione sollevata con intelligenza e lungimiranza da Bonelli della costituente ecologista non è quindi un aspetto da prendere sotto gamba, tutt’altro. Il problema è chi chiamare a far parte della costituente. Non è facile, anche perché non è facile stabilire anche chi debba essere il “chiamante”. In questo caso, al di là di ogni limite congiunturale, è una responsabilità che attiene a chi oggi ha ruoli politici, istituzionali, sociali e culturali in cui hanno pubblicamente dimostrato di avere in testa idee, intenzioni e volontà ambientaliste. Uno di questi non può non essere Angelo Bonelli, ovviamente.

Il rischio è che si possa commettere l’errore di scegliere persone prive di idee o non all’altezza, che vi possono vedere invece solo un’opportunità per fare carriera o per acquisire visibilità, o anche solo per soddisfare la propria vanagloria. Un rischio concreto considerando anche la storia finita male dei Verdi italiani e andando a vedere chi sono stati i protagonisti degli ultimi anni di questa triste storia. Per evitare ciò, a mio giudizio, la riposta la dobbiamo cercare nei “saggi”, quelle persone cioè che hanno lavorato e lavorano sui temi da discutere e da sintetizzare e che hanno avuto nella vita le soddisfazioni e i riconoscimenti giusti e adeguati e che pertanto si prestino a svolgere il loro compito con la giusta serenità e senza ulteriori ambizioni che non siano quelle di contribuire alla stesura di una nuova “carta”, un nuovo “manifesto” che possa rappresentare una svolta epocale nella storia dell’umanità. Persone che non abbiano fretta, che non siano influenzabili e che abbiano neuroni pieni di ambientalismo o, come dico io, i globuli verdi nel sangue.
http://www.terranews.it/news/2011/08/e-ora-di-scrivere-un-nuovo-manifesto-dell%E2%80%99ambientalismo

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