martedì 7 giugno 2011

l'acqua privata di Latina, esempio negativo

L’ACQUA PRIVATA DI LATINA- In provincia cittadini contro la gestione partecipata “Tariffe esose e pochi investimenti, paghiamo solo il giusto” di Caterina Perniconi
“La mattina, approfittando del fatto che nonsiamo a casa, vengono delle persone di Acqualatina, con i vigilantes armati al seguito, aprono i contatori e mettono i riduttori di flusso idrico”.
L’ultimo caso, ad Aprilia, è avvenuto ieri. Lo racconta il Comitato per l’acqua pubblica comunale, che dal 2005 non paga l’erogazione del bene primario alla società partecipata, ma solo una cifra che ritiene “giusta” al Comune .
POICHÉ NELLA provincia dell’Agro Pontino c’è un lungo contenzioso aperto tra l’azienda a cui è stata affidata la gestione dell’acqua e una serie di comuni del territorio. Tutto comincia nell’agosto del 2002, quando viene sottoscritto il contratto di servizio tra i comuni e i gestori, coordinato dalla provincia. Il 49% di Acqualatina va alla società Idrolatina srl, il cui socio di maggioranza è la multinazionale Veolia.
Il restante 51% è in mano alla conferenza dei sindaci dei 35 comuni coinvolti. La Provincia di Latina dovrebbe essere il controllore di tutta l’operazione. Ma è anche capitato che il primo presidente di Acqualatina, Paride Martella, fosse in quel momento presidente della Provincia in quota Udc. Quindi controllore e controllato. Nel 2004 gli succede Claudio Fazzone, nel Consiglio d’amministrazione dal 2002, in quel momento anche senatore in quota Pdl e coordinatore provinciale del partito. E nel Cda c’è stato anche Armando Cusani, attuale presidente della Provincia.
É CHIARO che tutti questi movimenti politici hanno contribuito a creare sospetto nei cittadini sulla gestione dell’azienda partecipata.
Quindi quando è arrivato il turno di Aprilia, a luglio del 2004, gli utenti avevano già le antenne dritte. E quasi un anno dopo, a maggio del 2005, quando sono state ricevute le prime bollette, “stentammo a credere ai nostri occhi”, racconta Alberto De Monaco, animatore del Comitato per l’acqua pubblica. “Gli aumenti andavano dal 50 al 300% a fattura, non ci potevamo credere.
Per questo abbiamo chiesto di vedere il contratto e abbiamo scoperto che non era stato ratificato dal Consiglio comunale”.
Da quel momento è cominciata una lunga battaglia legale, che non è ancora terminata, in cui la Provincia si è schierata a fianco della società e contro Aprilia. Tra il 2006 e il 2007 il Comune fa una serie di delibere per non ratificare il contratto, ma il Tar le annulla.
Solo nel 2009 il Consiglio di Stato dirà che la protesta dei cittadini è legittima perché liberi di difendere gli interessi comunali.
Controllando gli indici di comparazione tariffaria diffusi dalla Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, si scopre che quello del Lazio Meridionale è pari all’1,20 contro altre province in cui risulta anche molto più alto (Marche nord 1,77, Toscana Costa 1,84, ecc.).
“Noi non stiamo dicendo che paghiamo più che nel resto Italia – spiega De Monaco – ma che rispetto alle nostre tariffe precedenti è un aumento insostenibile per molti cittadini di Aprilia già vessati dalla crisi. Le nostre tabelle dimostrano che l’aumento per una famiglia di tre persone è stato inizialmente del 136% e negli anni successivi di un altro 40%.
Noi voteremo sì ai referendum perché l’acqua resti pubblica e i privati smettano di fare affari sulla nostra pelle”.
La società Acqualatina risponde che in alcuni comuni ci può essere stato un aumento “a causa dell’adeguamento delle tariffe ad una unica per tutti i comuni coinvolti ”. A Latina, spiega una nota, “la tariffa risulta inferiore sia per l’uso domestico per prima abitazione (con un risparmio di 30 euro annui) che, ancor più, per l’uso domestico nella fascia tariffaria agevolata (con un risparmio di ben 105 euro annui ) ”. Ma quello che i cittadini contestano è che ad Aprilia, per esempio, i costi fissi per l’erogazione sono passati da 3 euro l’anno a 55. “Un confronto con la tariffa applicata dai precedenti gestori è difficile e fuorviante – spiega l’azienda – poiché la tariffa precedente non veniva applicata secondo un’articolazione tariffaria paragonabile a quella attuale, il che rende il confronto quanto mai inapplicabile”.
PER QUANTOriguarda gli investimenti “dal 2003 ad oggi – continua la nota – Acqualatina ha investito oltre 100 milioni di euro per la manutenzione, l’efficientamento e l’ammodernamento delle reti e degli impianti in gestione, seppure la Conferenza dei sindaci abbia più volte dovuto ridimensionare l’ammonta - re di euro che il gestore è tenuto ad investire negli anni a causa dell’alto tasso di morosità, gran parte del quale relativo alle utenze del Comune di Aprilia”. Gli investimenti che Acqualatina avrebbe dovuto fare per contratto erano infatti pari a 146 milioni entro il 2008. Ma la cifra è ancora lontana, nonostante siano passati ormai 3 anni.
Il Fatto Quotidiano 7 giugno 2011
Acqua, in borsa il tesoro vale 300 milioni di euro per i sindaci La partita di giro dei gestori idrici a Piazza Affari: molti amministratori locali hanno bisogno di assicurarsi dividendi e poltrone Oltre 300 milioni di euro. È questa la cifra che, alla vigilia del referendum, le utilities quotate in Borsa con attività nell’acqua distribuiscono ai loro soci sotto forma di dividendi. Naturalmente dopo aver pagato 8,6 milioni di compensi ad amministratori e sindaci. Le municipalizzate quotate a Piazza Affari che oltre all’acqua gestiscono servizi di energia l’anno scorso hanno realizzato utili per complessivi 443 milioni e dichiarato investimenti per 1,4 miliardi. La più generosa è Iren. Terzo operatore italiano dei servizi idrici integrati nato nel 2010 dalla fusione tra Iride (a sua volta frutto delle nozze tra Aem Torino e Amga Genova) ed Enia (Agac Reggio Emilia e Amps Parma e Tesa Piacenza), l’azienda, che vanta tra i soci i comuni di Torino, Genova, Parma e Reggio Emilia, oltre a un folto gruppo di piccoli comuni delle province di Reggio, Parma e Piacenza, ha guadagnato 178 milioni, un centinaio dei quali torneranno agli azionisti.

Nel dettaglio nelle casse degli enti pubblici andranno complessivamente 52,6 milioni, ben 30 dei quali ai comuni di Torino e Genova. Il resto è per Intesa San Paolo (3 milioni) e la Fondazione Crt (2,5 milioni) di Fabrizio Palenzona. Per Iride, che tra i partner più rilevanti conta il fondo F2I di Vito Gamberale, suo socio in Mediterranea delle Acque e che dà lavoro a 4.572 persone, il business dell’acqua è però solo una piccola fetta del totale, pari a circa un quinto dei margini.

Decisamente più importante è invece per la romana Acea, 6.700 dipendenti e già campo di battaglia tra il comune di Roma, i francesi di Gdf e il costruttore-editore Francesco Gaetano Caltagirone. Quest’ultimo infatti è molto interessato proprio all’oro blu e non è disposto a cedere ai francesi, che pure in Italia hanno diverse alleanze con enti pubblici per la gestione del servizio idrico. Il punto è che il business dell’acqua fa gola ai privati perchè nei prossimi trent’anni servono 64 miliardi di investimenti, 14 per cento dei quali dovrebbe arrivare dalle casse pubbliche. Di qui l’interesse per Acea, che gestisce il servizio idrico negli ambiti ottimali territoriali (Ato) di Roma, Frosinone e province, oltre a significative presenze in Toscana, Umbria, Campania e altre aree del Lazio, per un totale di 8,5 milioni di abitanti.

Il gruppo, che nel 2010 ha speso in pubblicità e sponsorizzazioni oltre 8 milioni, deve infatti quasi il 43 per cento dei suoi 666,5 milioni di margini all’acqua, nella quale dichiara di aver investito, nello scorso esercizio, 202,8 milioni. E dopo aver chiuso il bilancio con utili per 92,1 milioni, investimenti in calo di quasi 45 milioni a 473 milioni per “l’esigenza di calmierare l’espansione dell’indebitamento” che al 31 dicembre ammontava a 2,2 miliardi, si appresta a distribuire 95 milioni agli azionisti: poco più della metà, 48 milioni, al comune di Roma, mentre a Caltagirone sono destinati 14 milioni e ai francesi quasi 11. Ad amministratori e sindaci, invece, è già andato più di 1 milione e mezzo, 72mila euro dei quali al consigliere indipendente in quota Campidoglio Luigi Pelaggi, già noto per il suo contemporaneo ruolo di capo della segreteria tecnica del ministro dell’Ambiente.

Conflitti d’interesse a parte, gli organi di amministrazione e controllo meglio retribuiti, però, sono quelli della bolognese Hera (oltre 6.400 dipendenti), che nel 2010 hanno percepito in totale ben 2,56 milioni. Del resto il secondo operatore italiano dell’acqua – l’anno scorso gli ha portato il 23 per cento dei 607 milioni di margine – ha chiuso l’esercizio con utili per 142 milioni e debiti per 1,86 miliardi, dopo investimenti per 341,9 milioni, il 27 per cento dei quali nel servizio idrico integrato che copre sette province dell’Emilia Romagna e del nord delle Marche. Ai soci andranno un centinaio di milioni in cedole, il 12,5 per cento in più del 2009. Quindi una quindicina di milioni al comune di Bologna, poco più di una dozzina a Modena, 7 a Ravenna, 5 a Imola, mentre a Rimini, Cesena e Ferrara andranno quote comprese tra 2 e 2,7 milioni, somme simili a quelle destinate agli investitori di Lazard e a Carimonte Holding.

Cifre lontane anni luce dalle piccole Acegas-Aps e Acsm-Agam, che però quanto a debito e stipendi degli amministratori, fatte le dovute proporzioni, non hanno nulla da invidiare alle grandi. Soprattutto la prima, che distribuisce l’acqua nelle aree di Trieste e Padova e ha chiuso il 2010 con 22 milioni di utili, 96,7 milioni di investimenti e ben 439 milioni di indebitamento. In attesa di trovare una soluzione al debito generato negli anni da una serie di operazioni finanziarie che hanno coinvolto i due comuni azionisti, con l’incombente rata da 250 milioni verso Intesa Sanpaolo che scadrà nel 2012, la municipalizzata del nord-est (1.700 dipendenti e il 35% dei margini generati dall’acqua) quest’anno ha stanziato per le cedole poco meno della metà dei profitti: 9,89 milioni. Il 62,84%, cioè 6,17 milioni, sono per Acegas-Aps holding, che a sua volta è controllata dai comuni di Padova e Trieste. A seguire, la Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste con circa 500mila euro e il socio-creditore Intesa con 360mila euro. É andata meglio agli amministratori e ai sindaci che hanno incassato quasi 1,4 milioni. Circa il doppio dei colleghi brianzoli di Acsm-Agam, 423 dipendenti, poco più di 8 milioni di utili nel 2010 dopo investimenti per 7,7 milioni e margini per quasi 40 milioni (solo 4 riferibili all’acqua) e un debito di 115 milioni. A spartirsi 4,6 milioni di cedola sono stati i comuni di Monza (29%), Como (25%) e la collega di Milano e Brescia A2A (22%). Pochi ma buoni, commenterebbero da Torino, dopo che Acque Potabili, affossata dalle attività siciliane, ha lasciato i soci a secco. Perché l’oro non luccica per tutti, anche se è un’indubbia fonte di cupidigia.

Da Il Fatto Quotidiano del 7 giugno 2011

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