giovedì 31 agosto 2017

WWF Incendi, in Abruzzo coinvolti 89 Comuni su 305

Notizie pubblicate su 30 August 2017
“Quella che sta vivendo l’Abruzzo per gli incendi è un’emergenza gravissima. Ad oggi, ma l’elenco è in continuo aggiornamento, il territorio di 89 comuni abruzzesi su un totale di 305  (siamo a quasi 1 comune su 3) è stato interessato dalle fiamme”. Lo dichiara il vicepresidente del WWF Italia Dante Caserta che aggiunge: “La situazione del Parco della Majella è emblematica: è incredibile che un Parco nazionale possa bruciare per 10 giorni senza che si riesca a risolvere la situazione. Non solo bisogna utilizzare tutti i mezzi a disposizione per spegnere il più presto possibile quell’incendio, ma anche individuare e correggere cosa non ha funzionato perché situazioni come queste semplicemente non devono verificarsi mai più”.
“Innanzitutto vogliamo ringraziare quanti in queste settimane difficilissime hanno lavorato per giorni e giorni sul fronte degli incendi per cercare di salvare il salvabile, agendo spesso in situazioni estremamente complicate e con pochissimi mezzi - continua il vicepresidente del WWF - “Chiediamo un impegno eccezionale alle forze dell’ordine e alla magistratura per individuare e punire i criminali incendiari che hanno messo a ferro e fuoco la regione e chiediamo ai parchi e alle aree protette di centuplicare gli sforzi in difesa della Natura e di adottare misure di prevenzione adeguata”.
“La Regione di dotarsi di un efficiente piano di sorveglianza e di intervento anti-incendi e di programmare il futuro ascoltando esperti indipendenti; invitiamo inoltre i cittadini a segnalare comportamenti illeciti o scorretti aiutando così le forze dell’ordine a svolgere le indagini - conclude Dante Caserta -. Unica nota positiva in questa situazione drammatica è vedere tanti cittadini che si stanno mobilitando per sorvegliare aree naturali di pregio come ad esempio i volontari delle associazioni che hanno organizzato turni di sorveglianza nella Valle Peligna, in provincia di L'Aquila, a partire dall’Oasi WWF di Anversa degli Abruzzi.

Sabato 2 settembre il WWF ha promosso, insieme a Legambiente, un sit-in a Pescara (Piazza Sacro Cuore - ore 10,30) per chiedere azioni immediate per il presente e una programmazione che impedisca che situazioni drammatiche come quella dell’estate 2017 possano ripetersi. http://www.wwf.it/news/notizie/?33520/Incendi-in-Abruzzo-coinvolti-89-Comuni-su-305

Incendi: sabato 2 manifestazione a pescara promossa da Legambiente e WWF

Notizie pubblicate su 30 August 2017
Sit-in “BASTA ROGHI” sabato 2 settembre in piazza Sacro Cuore a Pescara

Già diverse le adesioni: si chiederanno scelte coerenti e non distruttive e un eccezionale impegno per rintracciare e punire i colpevoli dello scempio in corso
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WWF e Legambiente hanno promosso un sit-in/conferenza stampa per sabato 2 settembre a Pescara, in piazza Sacro Cuore, all’insegna dello slogan: Facciamoci sentire! Basta roghi. L’iniziativa è aperta alla partecipazione di chiunque.
Siamo di fronte a una situazione eccezionalmente drammatica: il 2017 è stato caratterizzato, già dai primi mesi dell’anno, da un andamento meteorologico con temperature massime elevate e lunghi periodi siccitosi. Una situazione nella quale hanno avuto facile esca gli incendi, aumentati quest’anno in maniera impressionante in tutta Italia, sia nel numero complessivo sia per quanto riguarda la superficie percorsa dal fuoco che nel nostro Paese: secondo i dati di fonte European Forest Fire Information (EFFIS), diffusi da ISPRA, l’aumento da gennaio a oggi rispetto alla media del decennio precedente sarebbe del 260%!
In Abruzzo, pur se il problema incendi non rappresenta certo una novità (nel periodo 2007 – 2012 sono stati attraversati dalle fiamme ben 30mila ettari di superficie la metà dei quali coperta da boschi), la situazione di quest’anno è a livelli mai conosciuti prima. A confronto con quelli attuali i pure notevoli numeri del 2016 appaiono assurdamente quasi confortanti: 89 incendi che hanno riguardato 87 ettari di bosco e 404 ettari di superficie non boschiva (fonte ex Corpo Forestale dello Stato, dati pubblicati sul sito della Regione Abruzzo).
Una situazione aggravata dalla gestione della riforma del Corpo Forestale dello Stato che, quanto meno sul piano della lotta agli incendi, non ha funzionato.
A fronte di questo quadro far sentire la voce dei cittadini, chiedere scelte precise e coerenti a livello nazionale e locale, chiedere che la politica impari dai propri errori e sia capace, quando occorre, di correggere decisioni sbagliate, è la strada giusta.
Per questo il sit-in. A Pescara, città accogliente e facilmente raggiungibile (non a caso è stata scelta Piazza Sacro Cuore, a due passi dalla stazione ferroviaria, dal terminal bus e dal grande parcheggio delle aree di risulta) e non a Sulmona o nelle altre località vicine ai roghi, per non ostacolare il prezioso lavoro dei vigili del fuoco, delle forze dell’ordine, dei tantissimi volontari, compresi quelli che recentemente – organizzati dai Comuni e dalle Riserve regionale – si stanno impegnando nella sorveglianza dei territori.
Vogliamo chiedere ai Carabinieri Forestali e alla Magistratura di impegnarsi ancor più di quanto sempre fanno per stanare e punire questi criminali incendiari e gli eventuali loro mandanti; ai Parchi e alle aree protette di centuplicare gli sforzi in difesa della Natura e di adottare misure di prevenzione adeguate; alla Regione di dotarsi di un efficiente piano di sorveglianza e di intervento anti-incendi e di programmare il futuro ascoltando, non solo chi ha interesse a lavori in appalto, ma esperti indipendenti che indichino la strada giusta da percorrere; ai cittadini di segnalare tutto quanto vengono a sapere in merito a comportamenti scorretti o illegali che possano aiutare le forze dell’ordine a svolgere le indagini; agli organi di informazione nazionali, che solo dopo parecchi giorni si sono accorti di quanto stava accadendo in Abruzzo, di non inseguire lo scoop a ogni costo, ma di offrire ai cittadini la consueta corretta informazione, perché questa immane tragedia ambientale non si trasformi nell’occasione per ulteriori futuri scempi.
All’incontro sarà presente anche il Sottosegretario Mario Mazzocca con delega all’Ambiente e alla Protezione Civile al quale chiederemo cosa sta facendo la Regione per arginare questo disastro e con il quale ci confronteremo sulle scelte future post-emergenza. E stiamo invitando a partecipare anche gli altri soggetti competenti.
Per la gestione post-emergenziale è bene tenere presente che al di là del divieto stabilito dalla legge, ogni eventuale azione di rimboschimento, con conseguente trasformazione di aree di pregio naturalistico in ambienti artificiali, sarebbe errata.
Allo stesso modo è errato il concetto, accreditato dai mass-media anche a livello nazionale, che tra le possibili condizioni che avrebbero favorito le fiamme ci sia la mancata “pulizia” del sottobosco. Quella che manca è la gestione sostenibile dei nostri boschi, oggi per la gran parte abbandonati e senza un indirizzo selviculturale in grado di conservare la biodiversità forestale e rispondere alle sfide che impone il cambio climatico a livello locale e globale. Senza una gestione forestale sostenibile ed eticamente corretta, i boschi continueranno ad essere preda di incendiari e speculatori e non svolgeranno in maniera adeguata la loro funzione ecosistemica e di regolazione del clima rischiando di essere trasformati da ecosistema complesso in un semplice insieme di alberi.
Occorre ben altro, ed è quello che chiederemo sabato: un impegno straordinario contro gli incendi che stanno devastando la Regione Verde d’Europa dettato dalla sapienza e dal ragionamento, certamente non dalle emozioni della prima ora…http://www.wwf.it/news/notizie/?33500/Abruzzo-incendi-2-settembre-pescara

Dall'ISPRA un inequivocabile stop alla caccia

Notizie pubblicate su 28 August 2017
Il parere ISPRA sulle 'condizioni meteoclimatiche' e la caccia è inequivocabile: le condizioni di caldo estremo che perdurano da mesi, caratterizzate «da temperature massime assai elevate e prolungati periodi di siccità, che ha determinato in tutta Italia una situazione accentuata di stress in molti ecosistemi», aggravate da una drammatica espansione degli incendi comportano «una condizione di rischio per la conservazione della fauna in ampi settori del territorio nazionale e rischia di avere, nel breve e nel medio periodo, effetti negativi sulla dinamica di popolazione di molte specie». Le regioni, quindi, si comportino di conseguenza prevedendo il divieto o la forte limitazione dell’attività venatoria.
Il WWF, che agli inizi di agosto ha scritto a tutte le regioni per chiedere risposte serie e adeguate alla drammatica situazione della fauna e degli ecosistemi naturali, ritiene che quanto prescrive l’autorevole parere dell’ISPRA sia davvero il minimo che le regioni debbano fare per garantire quel ‘nucleo di salvaguardia’ della fauna selvatica tante volte richiamato anche dalla Corte Costituzionale per rispettare le norme europee ed internazionali. Se si va a caccia in queste condizioni, non solo si uccidono animali stremati da fame e sete o ormai senza forze già consumate per fuggire dal fuoco, ma si attenta anche alla sopravvivenza delle future popolazioni di molte specie selvatiche. Gli animali sopravvissuti hanno subìto un grave peggioramento delle condizioni fisiche «poiché risulta necessario un maggior dispendio energetico per raggiungere le fonti idriche, che si presentano ridotte e fortemente disperse. Ciò può condizionare negativamente il successo riproduttivo e aumentare la mortalità degli individui giovani e adulti, a causa di una maggior vulnerabilità a malattie e predazione», secondo il parere dell’ISPRA che ritiene, quindi, necessario e opportuno che «vengano adottate a titolo precauzionale misure volte a limitare la pressione venatoria nel corso della stagione».
“Stiamo  ancora  aspettando una risposta alla nostra richiesta di inizio agosto”Dichiara il vicepresidente del WWF Italia, Dante Caserta, che aggiunge: “La maggior parte delle regioni (tranne l’Abruzzo che aprirà la stagione venatoria il primo ottobre), da quel che ci risulta, sta facendo orecchie da mercante, ignorando ogni richiamo alla ragionevolezza e alla responsabilità, senza neanche rinunciare alle giornate di preapertura ai primi di settembre anche quando hanno avuto decine di migliaia di ettari devastati dal fuoco come in Sicilia e in Campania. È davvero singolare che anche quest’anno, dopo le diverse emergenze che hanno messo in difficoltà il nostro Paese si debba fare ricorso alla magistratura (amministrativa e laddove necessario anche penale) per ottenere il rispetto del diritto degli  animali selvatici a continuare a vivere”.
Il WWF ribadendo quanto scritto ad ogni Regione ai primi di agosto chiede, in base ad un serio studio e monitoraggio delle condizioni locali: il divieto o forti limitazioni dell’attività venatoria; il blocco dei ripopolamenti fino a data da destinarsi, per non sottrarre importanti risorse trofiche alla fauna già presente; il blocco di qualsiasi forma di addestramento di cani da caccia e di gare cinofile che costituiscono ulteriori fattori di stress per le popolazioni selvatiche. http://www.wwf.it/news/notizie/?33460/parere-ispra-stop-caccia-regioni-non-si-adeguano

Greenpeace Temer non svendere l’Amazzonia alle aziende minerarie!

News - 30 agosto, 2017
Un nuovo decreto permetterà lo sfruttamento minerario di un’area di Foresta Amazzonica grande quanto la Danimarca
 A luglio vi avevamo raccontato di come l’esecutivo di Michel Temer - diventato Presidente ad interim del Brasile in seguito all'impeachment di Dilma Rousseff - avesse approvato la Misura provvisoria 759, che spiana la strada all’accaparramento delle terre nella Foresta Amazzonica, rendendo più facile ed economico per i grandi proprietari terrieri ottenere la proprietà di vaste aree forestali occupate abusivamente.
Pochi giorni fa, il 24 agosto 2017, il governo ha pubblicato un decreto che permetterà lo sfruttamento minerario di 46.000 km2 (un’area più estesa della Danimarca) di Foresta Amazzonica, negli stati di Amapá e Pará. Creata nel 1984, la Riserva Nazionale di Rame e Associati (in portoghese Reserva Nacional de Cobre e Associados, Renca) è ricca di metalli preziosi e minerali, ma è anche un grande mosaico di aree ad alto valore di conservazione ambientale: sono nove le aree protette che si sovrappongono all'area Renca, sette unità di conservazione e due territori indigeni, che in totale occupano il 90% della Riserva.
Il decreto governativo non modifica lo status giuridico delle aree protette esistenti nella regione e quindi, in base alla legislazione brasiliana, le attività minerarie rimarranno vietate all'interno delle aree protette e delle terre indigene. Tuttavia, sarà inevitabile limitare gli impatti ambientali ad una zona circoscritta. Inoltre, non c’è stato alcun dialogo con la popolazione locale, che subirà gli impatti diretti di questa decisione, né con la società nel suo complesso, dimostrando quanto l'attuale governo sia poco interessato alla trasparenza e ai processi democratici.
Insomma, anche se l’ incarico di Temer terminerà nel 2018, il presidente sta già facendo gli interessi di chi potrebbe mantenerlo al potere, ovvero la “bancada ruralista”, cioè quei membri del Congresso brasiliano che rappresentano la lobby dell’agribusiness.
Il Brasile vanta una vasta rete di aree protette, che coprono quasi 2,2 milioni di km2. Questa rete protegge un'enorme biodiversità, capace di fornire servizi ecosistemi fondamentali a livello globale. Ciò ha reso il Brasile un leader internazionale in materia ambientale, con un ruolo cruciale nei forum internazionali sul tema, come le conferenze sul clima delle Nazioni Unite.  
Nonostante ciò, negli ultimi anni le pressioni delle lobby del legname e dell’agribusiness stanno causando profondi cambiamenti: la deforestazione è tornata ad aumentare, le aree protette si stanno riducendo, la demarcazione delle terre indigene è paralizzato e l’accaparramento delle terre è sempre più frequente, violento e impunti.
Il governo brasiliano deve immediatamente garantire la protezione delle terre indigene e l'integrità delle aree protette, assicurando inoltre che le aree forestali presenti su suolo pubblico e non ancora legalmente protette non verranno lasciate alla mercé degli interessi dell’agribusinnes o della mafia del legno.
Tutti per l'Amazzonia! Firma anche tu! http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/Temer-non-svendere-lAmazzonia-alle-aziende-minerarie-/

Migranti, Orlando contro Minniti Raggi col governo e anti-Regione LA GUERRA NEL PD Il Guardasigilli: “La tenuta democratica? Io vedo fascismo”



Tensioni e scontri nella
periferia di Roma: ferito
eritreo. La sindaca: “Per le
case rispetteremo la priorità
delle liste d’attesa, no a
privilegi per gli occupanti”
MIGRANTI: BASTA
RAZZISMO E BASTA
CON LA SINISTRA
DEI DITINI ALZATI
CONSENSI&DISSENSI La sua squadra straccia quella di Matteo in tutti i sondaggi
Gentiloni si mangia Renzi
Il premier e i suoi ministri più popolari Minniti e Calenda lavorano per restare pÈ riuscito a risollevare
il gradimento di Palazzo
Chigi: dal 38% di dicembre
al 43% di questi giorni
VECCHIA SICILIA
Micari e il suo fido
alfiere dei vitalizi
“DANNO ERARIALE”
Vespa in scadenza
ora rischia grosso
LONDRA
La bimba cristiana
viene “salvata”
dalla giudice islamica
BANCHE ROTTE
Popolare di Bari,
il dirigente “canta”
e inguaia i vertici
MA I POLITICI PRETENDONO
L’ESCLUSIVA DELL’ODIO
De Luca si fa da parte e non si autonomina commissario per Ischia
Peccato abbia scelto il tecnico che non ostacolò l’ecomostro Cres cent
tratto da www.ilfattoquotidiano.it



Il Brasile svende l’Amazzonia, via libera alle trivelle. Scriviamo al presidente

“Le foreste possono vivere senza l’uomo, ma è l’uomo che non può vivere senza le foreste”.
Non c’è verso. I governi del Brasile davvero non sembrano voler fare propria questa frase sacrosanta. Il Brasile è “proprietario” del 65% di quella riserva della biosfera che è l’Amazzonia, uno dei polmoni del pianeta, e chi lo guida, anziché preservarla per il bene di noi tutti, approva norme che ne consentono la distruzione. L’ultimo atto è un vero e proprio crimine contro l’umanità, se è vero come è vero l’aforisma con cui inauguro questo post. Il presidente brasiliano Michel Temer (anch’egli in odore di corruzioneil 23 agosto ha abolito con decreto la National reserve of Copper and associates (Renca), aprendo la strada alle trivellazioni in un’area ricca di minerali e metalli preziosi che si estende per oltre 46.000 chilometri quadrati, un’area più estesa della Danimarca per intenderci, spiega La Vanguardia, a cavallo degli Stati settentrionali di Amapa e Para.
Probabilmente, l’atto è la conseguenza da una parte delle pressioniche il governo subisce dalle compagnie minerarie, dall’altra della recessione che ha colpito in questi ultimi anni l’economia del paese, proprio il Brasile che andava fiero dell’inserimento nei Brics, le nazioni “emergenti”. Fatto sta che l’atto non è che l’ultimo di una catena ininterrotta di depredazioni del bacino amazzonico.
Tutto iniziò alla metà dello scorso secolo quando il Brasile avviò/consentì una politica di intenso sfruttamento delle risorse naturali dell’Amazzonia, con opere devastanti come la Transamazonica o la Grande perimetrale norte, con impianti idroelettrici, concessioni minerarie, traffico di legname, allevamenti di bestiame. Cui si aggiunsero incendi boschivi per acquisire aree coltivabili, inquinamento dei corsi d’acqua con i garimpeiros, ecc, ecc.
Tutti crimini contro l’ambiente, ma anche crimini contro gli uomini delle foreste. L’Amazzonia è la dimora di circa un milione di indios, quei popoli primitivi (“che arrivarono per primi”) che l’uomo bianco considera inferiori, ma che invece sono oggi gli unici ad avere e mantenere un rapporto empatico con la natura.
E l’abolizione delle Riserva comporterà seri problemi anche per le popolazioni che ci vivono, alcune delle quali non ancora corrotte dagli usi della vita occidentale.
“Questo decreto è il più forte attacco all’Amazzonia degli ultimi 50 anni. Nemmeno la Transamazzonica è stata così offensiva, nessuno immaginava che il governo Temer potesse osare tanto”, ha commentato il senatore Randolfe Rodrigues, eletto nella regione.
Leggendo la notizia ho pensato a questa frase frutto della sapienza di altri indiani: “Quando l’ultimo albero sarà abbattuto, l’ultimo pesce mangiato e l’ultimo flusso d’acqua contaminato, vi renderete conto che non potete mangiare il denaro”. Ed ho altresì pensato di inviarla a quell’uomo bianco che guida il Brasile e che si sta rendendo responsabile di questo crimine contro l’umanità.
Invito tutti a fare lo stesso.
La mail del Presidente del Brasile è questa: micheltemer@micheltemer.com.brL’oggetto della mail: “National Reserve of Copper and Associates”
Il testo in brasiliano: “Quando a última árvore serà cortada, o último peixe serà comido e o último fluxo de água serà contaminado vocês irao entender que o dinheiro não se pode comer”.
Non servirà a nulla, ma almeno non saremo stati zitti. di  | 29 agosto 2017 http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/29/il-brasile-svende-lamazzonia-via-libera-alle-trivelle-scriviamo-al-presidente-temer/3822665/

Catastrofi idrogeologiche: tragedie attese sì, ma non annunciate

I disastri idrogeologici estivi in Bangladesh, più di un milione di persone coinvolte, nel Nepal devastato quasi ovunque da frane e colate detritiche, e in Sierra Leone con più di 400 vittime, fanno riflettere ancora una volta sulla diversità geografica, economica e sociale di queste catastrofi. Nello stesso periodo, le piene impulsive hanno sommerso Houston in Texas (di nuovo inondata in questi giorni dagli effetti a terra dell’uragano Harvey) e le frane hanno colpito rinomate località turistiche in Europa. Non si tratta di disastri del tutto inattesi. Per esempio, nel settembre 2015, mentre la Sierra Leone subiva gli effetti devastanti di una epidemia di Ebola che fece migliaia di vittime, una inondazione uccise a Freetown almeno sette persone e diverse migliaia rimasero senzatetto. Per il Texas è un deja vu, in concomitanza con l’anniversario del Tax Day flood del 2016. Non è però onesto parlare di tragedie annunciate: attese sì, senza dubbio; ma non annunciate da un qualunque arcangelo Gabriele. Se davvero fosse sempre così, si sarebbero risparmiate molte vite umane. È accaduto in Texas, dove operano sistemi avanzati di preannuncio, e non è accaduto in Sierra Leone.
Da tempo sappiamo che le alluvioni non sono uguali dappertutto né, soprattutto, sono uguali per tutti. L’alluvione di Firenze del 1966 diede un enorme impulso alla città: economico, culturale e sociale. Al contrario, il disastro del Polesine del 1961 spopolò quelle zone, così come avevano fatto le due grandi alluvioni padanedel 1872, quelle che – come racconto nel mio ultimo libro – diedero il via all’irrisolta questione idrogeologica italiana. Una decina di anni fa Undp (United nations development programme) introdusse un indice oggettivo per valutare la severità dei disastri naturali. Lo scopo era quello di analizzare l’evoluzione del rischio nello spazio, ossia nelle diverse aree geografiche del pianeta, e nel tempo, in ragione dello sviluppo economico, culturale e sociale. Il risultato fu abbastanza ovvio: la vulnerabilità diminuisce con lo sviluppo e al crescere della qualità ambientale. E molti sanno che le favelas sudamericane sono un archetipo di vulnerabilità idrogeologica.
A ben vedere, la realtà è più complessa. Studi condotti in Africa – per esempio in Costa d’Avorio, paese noto per avere il più alto numero di persone a rischio d’inondazione di tutto continente – testimoniano questa complessità: da un lato, fattori come la disoccupazione, la bassa alfabetizzazione e la scarsa o assente copertura assicurativa sono una garanzia di bassa resilienza. Dall’altro, la disattenta pianificazione urbana rende parecchi “quartieri alti” assai esposti alle inondazioni. Non c’è dubbio, però, che nelle città africane la mortalità da inondazione continui ad aumentare a causa della diffusione di insediamenti informali, delle inadeguate misure di mitigazione e dell’insalubre e disordinata crescita urbana. Per di più, la maggior parte dei residenti non dispone di risorse per diminuire la propria vulnerabilità o risorgere dai disastri. Perfino nelle nazioni più ricche, come gli Stati Uniti, l’esposizione al rischio alluvionale non è chiaramente delineata. In alcuni casi, essa cresce fortemente nelle comunità più povere, come accade a Houston in Texas: qui gli ispanici, nativi o immigrati, hanno molta più probabilità di risiedere in aree alluvionabili rispetto agli altri gruppi etnici. A Miami in Florida, sono invece i bianchi non-ispanici a risiedere nelle zone più esposte. Miami, assieme a New York City, è comunque una eccezione, poiché nel nuovo millenniola consapevolezza del rischio è aumentata nelle zone costiere, mentre è diminuita in quelle interne, dove l’urbanizzazione è stata poco attenta al fattore esposizione. E un recente studio sul rischio alluvionale degli Stati Uniti – enormemente cresciuto dal 1950 a oggi – mostra che, in molti Stati, c’è una significativa interdipendenza tra hazard (ossia la probabilità che si verifichi un evento estremo) esposizione e vulnerabilità, che di norma consideriamo come tre fattori indipendenti tra loro.
Dieci anni fa, analizzando la vulnerabilità di tre grandi cittàMumbai, Rio de Janeiro e Shanghai, era emerso che “le classi ricche e più influenti possono semplicemente scegliere di “uscire” dai processi decisionali della politica piuttosto che esprimere la loro preoccupazione per la mancanza di preparazione alle catastrofi. “Uscire” significa evitare la formazione di risorse pubbliche ad hoc e, invece, investire in proprio, per esempio abitando in un luogo sicuro o coprendosi con adeguate polizze assicurative“. Questa preoccupazione è oggi una realtà. Anche perché le misure di mitigazione sono complesse da attuare e richiedono una visione del futuro sul lungo periodo,  mentre i politici operano tipicamente su orizzonti a breve termine. È molto difficile, quindi, progettare incentivi tanto intelligenti da far capire – a politici, burocrati, tecnici pubblici e settore privato – che costruire città più eque e meno esposte al rischio sarebbe anche nel loro interesse. http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/29/catastrofi-idrogeologiche-tragedie-attese-si-ma-non-annunciate/3822627/ di  | 29 agosto 2017

Diga del Molato asciutta. Restano 60mila metri cubi di acqua solo per il deflusso minimo vitale

Niente piogge e nella diga del Molato di Nibbiano restano 60 mila metri cubi di acqua. Tanto quanto basta per assicurare il minimo deflusso vitale e non una goccia in più per l’agricoltura che ad oggi si approvvigiona solo dal fiume Po, tramite la derivazione di Pievetta a Castel San Giovanni. Resta la grossa incognita per il prossimo anno. Solo abbondanti piogge e nevicate invernali potranno rimpinguare le riserve ormai ai minimi storici.http://allnews24.org/diga-del-molato-asciutta-restano-60mila-metri-cubi-di-acqua-solo-per-il-deflusso-minimo-vitale/

Siccità a Roma, venti pompe idrauliche abusive su terreni privati sequestrate sul lago di Bracciano

Perquisizioni e venti avvisi di garanzia eseguiti dal Noe su decreto della Procura di Civitavecchia. Il bacino è al centro della crisi idrica della Capitale. Lunedì Acea ha annunciato la riduzione della pressione dell'acqua nelle ore notturne nella Capitale, indicando tra le cause proprio la riduzione dei prelievi da Bracciano imposta dalla Regione
Venti pompe idrauliche abusive sono state individuate dai carabinieri del Noe su terreni privati a ridosso del lago di Bracciano, il bacino che rifornisce d’acqua 1,5 milioni di romani, al centro di una crisi idrica dall’inizio dell’estate che ha portato al suo progressivo svuotamento, a un trattativa tra il Comune di Roma e la Regione Lazio per la riduzione dei prelievi e a un’indagine per inquinamento ambientale a carico di Paolo Saccani, presidente di Acea Ato2, la società che gestisce la rete idrica romana. E’ ancora in corso il sequestro da parte del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Roma dei venti sistemi di captazione di acqua senza autorizzazione. Il decreto emesso dalla Procura di Civitavecchia ha disposto la perquisizione e il sequestro probatorio, ma anche la notifica dell’avviso di garanzia nei confronti di venti persone perinquinamento ambientale colposo. Proprio ieri, lunedì, Acea ha annunciato la riduzione della pressione dell’acqua nelle ore notturne nella Capitale, indicando tra le cause di questa misura il fatto che “dal lago di Bracciano la società non può prelevare più di 400 litri al secondo”.
A causa della siccità che ha colpito il Lazio e il conseguente abbassamento del livello del lago di Bracciano, a luglio era stata ventilata persino la possibilità di un razionamento dell’acqua per i romani. Eventualità scongiurata da un accordo tra la Regione e il Comune: riduzione della captazione di Acea da 900 a 400 litri al secondo fino al 10 agosto, poi a 200 litri dall’11 agosto fino a fine mese e blocco definitivo a settembre. Proprio questa riduzione è stata indicata dalla società come una concausa dello “scenario molto serio” che riguarda la fornitura di acqua alla Capitale. D’altronde già dopo l’intesa del 28 luglio scorso, se da una parte il presidente del Lazio Nicola Zingaretti evidenziava che “l’acqua del bacino sta finendo”, dall’altra Acea bollava come “illegittima” la riduzione della captazione.
Nello stesso periodo, la stessa procura di Civitavecchia che oggi ha disposto i sequestri su terreni privati, apriva un’inchiesta sul presidente di Acea Ato2 Saccani e sequestrava documenti nella sede della società. L’indagine nasce da due denunce presentate alla procura di Civitavecchia da un parlamentare e da alcuni sindaci delle aree che si affacciano sul lago di Bracciano. Anche in questo caso l’accusa è di inquinamento ambientale, per eventuali prelievi eccessivi che hanno portato a prosciugare il Lago di Bracciano. “Acea, per giustificare il razionamento del servizio idrico a Roma, utilizza ogni mezzo a sua disposizione per scrollarsi di dosso ogni responsabilità – commenta il deputato PdEmiliano Minnucci – e lascia sottendere che parte delle colpe sono da attribuire agli allacci abusivi perpetrati a Bracciano da cittadini privati, ponendo l’accento anche sulla riduzione del volume dei prelievi imposto da Zingaretti”. di  | 29 agosto 2017 http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/29/siccita-a-roma-venti-pompe-idrauliche-abusive-sul-lago-di-bracciano-sequestrati-terreni-privati/3823880/

Rifiuti Roma, Cerroni vuole altre garanzie da Ama: contratto decennale e 20 milioni di arretrati. L’alternativa? Impianti chiusi

Il Colari, commissariato dalla prefettura, vuole una trattativa con la municipalizzata e con il Campidoglio
Il Colari di Manlio Cerroni vuole da Ama e Campidoglio un contratto decennale per l’utilizzo dei due impianti tmb di Malagrottaoltre a 20 milioni di arretrati sull’adeguamento mai avvenuto della tariffa di conferimento. L’alternativa rischia di essere la chiusura totale o parziale degli impianti di trattamento, strutture vitali per evitare l’emergenza nella Capitale. Una trattativa difficile, poiché ad oggi i rapporti fra la municipalizzata dei rifiuti e l’azienda momentaneamente guidata dal commissario prefettizio Luigi Palumbo sono regolati da un “accordo di fatto” – basato su un’autorizzazione regionale – mal digerito dall’Anac e con una tariffa anch’essa legittimata da sentenze amministrative. Proprio l’Authority anticorruzione ha fatto sapere di essere disposta a legittimare solo un accordo-ponte di 12-18 mesi, il tempo necessario per preparare una gara a cui – va detto – non sono molti altri gli attori in grado di partecipare. Tutto ciò, come se non bastasse, a due mesi dall’esaurimento del credito con il quale Roma Capitale spedisce i rifiuti “tal quali” (indifferenziati senza alcun trattamento) in Austria. “Ma noi andiamo avanti per la nostra strada – spiega a IlFattoQuotidiano.it l’assessore all’Ambiente, Pinuccia Montanari – che è quella tracciata anche dal presidente Cantone. E fra qualche anno non avremo più bisogno dei tmb, come a breve saremo in grado di sopperire allo stop della trasferenza in Austria”.
Le pressioni di ColariNonostante il commissariamento prefettizio – intervenuto per un’interdittiva per mafia di è stata destinataria l’azienda di Cerroni – l’attuale reggente Luigi Palumbo da settimane ha dato continuità a molti aspetti della politica portata avanti in passato dal Re della monnezza nel rapporto con le istituzioni. A fine luglio, infatti, il gruppo con sede a Malagrotta aveva inviato in Regione Lazio una serie di missive con le quali si richiedeva il pagamento da parte di Ama di 20 milioni di euro di arretrati, relativi alla diatriba sul periodo di competenza dell’aggiornamento della tariffa di conferimento. In questo caso, invece, le lettere destinate al Campidoglio sono servite per chiedere all’ente un contratto addirittura di 5 o 10 anni, che il Comune non è intenzionato a concedere. “Noi sposiamo la linea Anac – insiste Montanari – quando nel 2021 il piano per lo smaltimento dei materiali post-consumo sarà a regime non avremo più bisogno di tmb, tantomeno quelli di Cerroni. Non ci spaventa nulla”. Sta di fatto che al momento la gestione dei rifiuti si basa sul filo delle tonnellate e basta che uno degli attori non faccia il proprio dovere per andare in sofferenza. Ne è la dimostrazione l’allarme che si è creato nelle ultime settimane, nei periodi in cui gli impianti di Malagrottaerano in manutenzione e dunque parzialmente funzionanti. Va ricordato, allo stesso modo, che se il Colari dovesse decidere per qualsiasi motivo di interrompere il servizio, il prefetto di Roma potrebbe avere il potere di requisire gli impianti “per motivi di ordine pubblico”.
Dall’Austria a Rocca Cencia
In tutto ciò, a novembre si esaurirà il credito dell’Ama per la trasferenza dei rifiuti indifferenziati in Austria. In questo momento, a quanto si apprende dalla società municipalizzata, il conferimento autorizzato dei rifiuti nei quattro tmb in uso (i due di Cerroni e i due di Ama) è giusto sufficiente a smaltire le tonnellate di indifferenziato prodotte dalla città di Roma, ma solo se non si verificano problemi tecnici a uno degli impianti. In quel caso, a credito esaurito, l’unica soluzione sarebbe quella di utilizzare il tmb di Rocca Cencia anch’esso di proprietà di Colari, ma in uso alla ditta Porcarelli, autorizzato dalla Regione Lazio ma a cui i vertici capitolini hanno sempre dichiarato di non volersi rivolgere. Sull’area, infatti, insistono impegni politici importanti della maggioranza pentastellata durante le elezioni di un anno fa – come le battaglie contro l’ecodistretto – e la necessità di affrancarsi il prima possibile dalle società di Cerroni, sebbene in questo caso l’imprenditore che gestisce gli impianti sia un altro. “Il presidente Bagnacani e io stiamo lavorando a un piano operativo che ci permetta di non avere conseguenze dallo stop alla trasferenza in Austria – conclude l’assessora Montanari – tenendo conto che nei prossimi mesi inizieremo anche a raccogliere i primissimi frutti del piano messo a punto per il 2021”. di  | 30 agosto 2017 http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/30/rifiuti-roma-cerroni-vuole-altre-garanzie-da-ama-contratto-decennale-e-20-milioni-di-arretrati-lalternativa-impianti-chiusi/3824735/

Elettricità, se non passi al mercato libero la bolletta sarà più pesante

Il Ddl Concorrenza, dopo un percorso lungo e accidentato, è giunto alla meta diventando legge dello Stato. Al suo interno ci sono norme importanti che riguardano il gas e l’elettricità di cui si è molto parlato. Soffermiamoci sull’elettricità.
La nuova legge ha definito la fatidica data di cessazione del servizio di maggior tutela: dall’1 luglio 2019 rimarrà solo il mercato libero e il servizio di salvaguardia. Dopo la liberalizzazione del sistema elettrico l’utente finale, sia domestico che aziendale, poteva liberamente scegliere il proprio fornitore, passando al mercato libero o restare dov’era, cioè nel cosiddetto “servizio di tutela” dove l’Autorità per il servizio elettrico, il gas e i servizi idrici (Aeegsi), ogni tre mesi stabilisce i prezzi delle bollette, calcolando il costo della parte energia in base ai costisostenuti da una società pubblica (l’Acquirente Unico) creata appositamente per rifornire i clienti in questo servizio.
Cosa cambierà dal 1 luglio 2019?
Cesserà questo servizio e a chi non sarà passato nel frattempo al mercato libero rimarrà solo il servizio di salvaguardia che – si badi bene – è ben diverso dalla tutela anche se spesso vorrebbero che l’utente facesse confusione fra i due termini.
Sinora questo servizio era disponibile solo per le aziende (clienti con Partita IVA) che non avevano optato per un fornitore del libero mercato ed era stato istituito al fine di evitare che un cliente aziendale del mercato libero, rimasto senza contratto di fornitura, restasse senza elettricità (da qui la denominazione di “salvaguardia”).
Tale tutela però presenta un prezzo che, in alcuni casi, determina il raddoppio dei costi energetici ed è gestita da operatori territoriali di riferimento che regolano e definiscono le condizioni economiche e che sono a loro volta sottoposti al controllo dell’Aeegsi. Quindi nel mercato di salvaguardia il prezzo praticato è costituito da una componente energia, rappresentato dai prezzi di acquisto della “Borsa Elettrica” (PUN medio mensile) e dal parametro omega (Ω), che è una maggiorazione che rappresenta una sorta di penale per essere rimasti senza contratto (tecnicamente si tratta di un fattore di rischio).
Questo deve chiarire il significato dell’articolo 62 della nuova legge che di primo acchito può risultare poco chiara e che era già stata spiegata su questo blog. Quello che l’articolo dice è che non ci sarà alcun obbligo di passare al mercato libero (abolite quindi le aste di cui si parlava da un paio d’anni). Tuttavia, siccome non ci sarà più quello di tutela, chi non ci passerà finirà in quello di salvaguardia che sarà perciò aperto anche ai clienti domestici, ma che, così come già accade oggi per le imprese, sarà coperto con procedure per aree territoriali (quindi non nazionali: cioè una fornitura a Milano non sarà uguale rispetto a una a Firenze) e a condizioni che saranno peggiorative rispetto al mercato libero. Morale: se non passi al mercato libero pagherai di più.
Cosa accadrà da qui al luglio 2019
La legge stabilisce una serie di attività a carico dell’Autorità per cercare di traghettare tutti coloro che sono ancora nel servizio di tutela. In particolare allo scopo di rendere più facile la comparazione delle offerte del mercato libero, è prevista la realizzazione entro cinque mesi dall’entrata in vigore della legge, di un apposito portale informatico per la pubblicazione delle offerte vigenti sul mercato di vendita al dettaglio di energia elettrica e anche del gas. Inoltre, decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, gli operatori della vendita di energia elettrica o gas sul mercato italiano dovranno fornire almeno unaproposta di offerta di fornitura di energia elettrica o gas a prezzo variabile e almeno una a prezzo fisso.
In verità l’Autorità ha già iniziato a lavorarci e dal prossimo anno le famiglie potranno scegliere dei nuovi contratti chiamati “Placet”. Le offerte Placet saranno offerte di mercato libero, dovrebbero essere offerte standard facilmente confrontabili fra diversi fornitori secondo una struttura stabilita dall’Autorità e non potrebbero includere la fornitura di servizi o di prodotti aggiuntivi, tipo sconti o omaggi; questo proprio per favorire la confrontabilità delle offerte economiche.
Il contratto avrà durata indeterminata, fatta salva la facoltà di recesso, con condizioni economiche rinnovate ogni 12 mesi e un prezzo comunque liberamente definito tra le parti. Con adeguato anticipo rispetto alla scadenza, il venditore dovrà informare il cliente, con apposita comunicazione, delle condizioni economiche applicate trascorsi 12 mesi e il cliente deciderà se aderire, anche in forma tacita. Accadrà quindi che alla scadenza del contratto di tutela simile, in assenza di una diversa scelta da parte del cliente, questo contratto proseguirà per un altro anno alle medesime condizioni contrattuali ed economiche (ma senza lo sconto una tantum iniziale non ripetibile) e successivamente, sempre in assenza di diversa scelta del cliente, sarà previsto il passaggio al mercato libero attraverso una offerta da parte delle aziende territorialmente competenti. Insomma, detto in soldoni e al di là delle spiegazioni tecnico-giuridiche di difficile comprensione e che noi abbiamo però cercato di esplicitare, l’ennesima fregatura del cliente – oggi ancora tutelato – a favore del libero mercato che rimane in trepida attesa.
di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08/29/elettricita-se-non-passi-al-mercato-libero-la-bolletta-sara-piu-pesante/3823685/

Ambiente, il Papa annuncia messaggio congiunto con Bartolomeo Lo ha rivelato Francesco durante l’udienza generale. Appello per la Giornata mondiale del creato: «I potenti ascoltino il grido dei poveri». Catechesi sulla memoria che ravvia la speranza: «Non diamo retta alle persone deluse e infelici»

http://www.lastampa.it/2017/08/30/vaticaninsider/ita/vaticano/giornata-del-creato-il-papa-annuncia-messaggio-congiunto-con-bartolomeo-6isodFmMgWfuTVBkja7F2N/pagina.html?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter
CITTÀ DEL VATICANO
Il Papa e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, hanno scritto insieme il messaggio sull’ambiente che il Vaticano pubblica venerdì prossimo, 1° settembre, in occasione della Giornata per la cura del creato, e che contiene tra l’altro un appello «a quanti occupano ruoli influenti, ad ascoltare il grido della terra e il grido dei poveri, che più soffrono per gli squilibri ecologici». Ad annunciarlo è stato Francesco in persona a conclusione dell’udienza generale in piazza San Pietro. Il Pontefice ha ricordato durante la catechesi che Gesù era un «incendiario» che infiammava i cuori dei «giovani inquieti» che erano i suoi primi discepoli e sottolineando che una «dinamica fondamentale» della speranza cristiana è ricordare del «fuoco d’amore» con cui, grazie all’incontro con Gesù, «un giorno abbiamo concepito la nostra vita come un progetto di bene» e ravvivare quel fuoco, anche se è divenuta «brace sotto la cenere».  
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«Dopodomani, 1° settembre, ricorrerà la Giornata di preghiera per la cura del creato», ha ricordato il Papa a conclusione dell’udienza generale tornata questa settimana in piazza San Pietro dopo che i precedenti appuntamenti di agosto si sono svolti al chiuso nell’aula Paolo VI. «In questa occasione, io e il caro fratello Bartolomeo, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, abbiamo preparato insieme un Messaggio. In esso invitiamo tutti ad assumere un atteggiamento rispettoso e responsabile verso il creato. Facciamo inoltre appello, a quanti occupano ruoli influenti, ad ascoltare il grido della terra e il grido dei poveri, che più soffrono per gli squilibri ecologici».  

Il 1° settembre di due anni fa il Papa dell’enciclica Laudato si’ annunciò, in una lettera ai cardinali che guidano i Dicasteri vaticani responsabili della Promozione umana integrale e della Promozione dell’unità dei cristiani, Peter Turkson e Kurt Koch, di aver deciso di «istituire anche nella Chiesa Cattolica la “Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato”, che, a partire dall’anno corrente, sarà celebrata il 1° settembre, così come già da tempo avviene nella Chiesa Ortodossa». «Come cristiani vogliamo offrire il nostro contributo al superamento della crisi ecologica che l’umanità sta vivendo», scriveva Francesco. La crisi ecologica «ci chiama ad una profonda conversione spirituale». La Giornata «offrirà ai singoli credenti ed alle comunità la preziosa opportunità di rinnovare la personale adesione alla propria vocazione di custodi del creato, elevando a Dio il ringraziamento per l’opera meravigliosa che Egli ha affidato alla nostra cura, invocando il suo aiuto per la protezione del creato e la sua misericordia per i peccati commessi contro il mondo in cui viviamo». La sua celebrazione nella stessa data della Chiesa ortodossa «sarà un’occasione proficua per testimoniare la nostra crescente comunione con i fratelli ortodossi», affermava inoltre il Papa, «viviamo in un tempo in cui tutti i cristiani affrontano identiche ed importanti sfide, alle quali, per risultare più credibili ed efficaci, dobbiamo dare risposte comuni». 

Proprio ieri, peraltro, Bartolomeo ha diramato un suo messaggio in merito all’uragano Harvey che sta colpendo Houston, in Texas (Stati Uniti), sottolineando, tra l’altro, che «siamo chiamati a partecipare alla redenzione e alla gestione responsabile del nostro mondo tanto nel lavorare ad u na migliore pianificazione ambientale per prevenire la forza distruttrice di tali uraganiquanto impegnandoci seriamente sul grave problema del cambiamento climatico e su come incide sul nostro pianeta o anche coinvolgendoci personalmente nelle attività caritatevoli che forniscono conforto e sostegno a coloro le cui vite sono così drammaticamente cambiate in un batter d’occhio».  

Nel corso della catechesi in piazza San Pietro, il Papa ha proseguito un ciclo dedicato alla speranza cristiana soffermandosi oggi su come essa sia alimentata dalla memoria del primo incontro con Gesù. Nei primi discepoli di Gesù la memoria del loro primo incontro con il maestro «rimase talmente impressa» che «qualcuno ne registrò perfino l’ora», come si legge nel Vangelo di Giovanni. «Gesù appare nei Vangeli come un esperto del cuore umano. In quel momento aveva incontrato due giovani in ricerca, sanamente inquieti. In effetti, che giovinezza è una giovinezza soddisfatta, senza una domanda di senso? I giovani che non cercano nulla non sono giovani, sono in pensione, sono invecchiati prima del tempoÈ triste vedere giovani in pensione. E Gesù, attraverso tutto il Vangelo, in tutti gli incontri che gli capitano lungo la strada, appare come un “incendiario” dei cuori».  

Da qui una domanda sull’oggi: «Come si scopre la propria vocazione in questo mondo? La si può scoprire in tanti modi, ma questa pagina di Vangelo ci dice che il primo indicatore è la gioia dell’incontro con Gesù. Matrimonio, vita consacrata, sacerdozio: ogni vocazione vera inizia con un incontro con Gesù che ci dona una gioia e una speranza nuova, e ci conduce, anche attraverso prove e difficoltà, a un incontro sempre più pieno, cresce l’incontro con lui, e alla pienezza della gioia. Il Signore non vuole uomini e donne che camminano dietro a Lui a malavoglia, senza avere nel cuore il vento della letizia. A voi che siete in piazza domando: avete nel cuore il vento della letizia? Io ho dentro di me, nel cuore, il vento della letizia?». 

Certo, ha detto ancora il Papa, «ci sono prove nella vita, ci sono momenti in cui bisogna andare avanti nonostante il freddo e i venti contrari, nonostante tante amarezza. Però i cristiani conoscono la strada che conduce a quel sacro fuoco che li ha accesi una volta per sempre. Per favore, mi raccomando: non diamo retta alle persone deluse e infelici, non ascoltiamo chi raccomanda cinicamente di non coltivare speranze nella vita, non fidiamoci di chi spegne sul nascere ogni entusiasmo dicendo che nessuna impresa vale il sacrificio di tutta una vita, non ascoltiamo i “vecchi” di cuore che soffocano l’euforia giovanile. Andiamo dai vecchi che hanno gli occhi brillanti di speranza. Coltiviamo invece sane utopie: Dio ci vuole capaci di sognare come Lui e con Lui, mentre camminiamo ben attenti alla realtà».  

«Sognare un mondo diverso», esorta il Papa. «E se un sogno si spegne, tornare a sognarlo di nuovoattingendo con speranza alla memoria delle origini. A quella brace che forse dopo una vita non tanto buona è nascosta sotto la cenerel’incontro con Gesù. Ecco dunque una dinamica fondamentale della vita cristiana: ricordarsi di Gesù, del fuoco d’amore con cui un giorno abbiamo concepito la nostra vita come un progetto di bene, e ravvivare con questa fiamma la nostra speranza». 

Il Papa, che all’arrivo in piazza San Pietro ha invitato sei bambini a fare con lui il giro dei saluti dei fedeli all’interno del colonnato beniniano, ha salutato, tra gli altri, i due giocatori della squadra di calcio brasiliana Chapecoense sopravvissuti allo schianto aereo in Colombia dello scorso novembre e il resto della squadra ricostituita dopo quella tragedia. Mercoledì prossimo il Papa non presiederà l’udienza perché in partenza per il suo viaggio apostolico in Colombia (6-11 settembre). 
Il Papa e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, hanno scritto insieme il messaggio sull’ambiente che il Vaticano pubblica venerdì prossimo, 1° settembre, in occasione della Giornata per la cura del creato, e che contiene tra l’altro un appello «a quanti occupano ruoli influenti, ad ascoltare il grido della terra e il grido dei poveri, che più soffrono per gli squilibri ecologici». Ad annunciarlo è stato Francesco in persona a conclusione dell’udienza general...
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