Dal prossimo 7 luglio diverse imprese italiane, in primis quelle impegnate nelle attività di recupero e smaltimento dei rifiuti, rischiano di dover interrompere le proprie attività a causa di un "inopportuno se non addirittura errato" recepimento della direttiva europea sulle emissioni industriali. Lo denunciano le associazioni di Confindustria Fise Assoambiente (igiene ambientale, raccolta e smaltimento rifiuti) e Fise Unire (recupero dei rifiuti), che sottolineano di aver più volte sollecitato il ministero dell'Ambiente in questi giorni per porre rimedio alla situazione. Con il decreto legge n.46 del 4 marzo 2014, spiegano le associazioni, l'Italia recependo la Direttiva Ue ha fissato al 7 luglio 2015 il termine entro cui la Pubblica Amministrazione è tenuta a rilasciare l'Aia (Autorizzazione integrata ambientale), richiesta entro il 7 settembre scorso dalle imprese incluse, in base alle nuove disposizioni, tra le attività soggette ad Ipcc, cioè prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento. Il legislatore italiano, in aggiunta, ha previsto la sospensione dell'esercizio dell'impianto in attesa che si perfezioni il procedimento istruttorio, se questo non si sarà concluso entro il 7 luglio. "Le imprese, pur avendo rispettato la scadenza per la presentazione della domanda di Aia, si troveranno obbligate a bloccare la propria attività nel caso di ritardi nel rilascio del provvedimento da parte delle autorità competenti", evidenziano le associazioni, secondo cui "il perdurare di disposizioni più penalizzanti nella legislazione quadro del nostro Paese sottopone gli operatori italiani ad uno 'stress normativo' che aumenta il gap con i concorrenti europei".
Pontinia (LT) dall'ambiente, alla difesa dei diritti civili e sociali, dalla politica alla tecnica. Si riportano stralciriportandone autori. Nota: qualora si ritenga la pubblicazione (o i commenti) siano lesivi o notizie superate si prega di comunicarlo con mail giorgio.libralato@gmail.com e saranno rimossi. Oppure allo stesso modo si può esercitare il diritto di replica. Qualora si ritenga che una pubblicazione o parte di essa ledano i diritti di copyright o di autore saranno rimossi
martedì 30 giugno 2015
Rifiuti: imprese settore a rischio blocco dal 7 luglio Fise Assoambiente-Fise Unire, errato recepimento direttiva Ue
Efficienza energetica, procedura Ue contro l’Italia: “Direttiva recepita in ritardo e male”. Ma il decreto non c’è
L'11 giugno il governo ha approvato un decreto legislativo per sanare 35 carenze evidenziate dal commissario europeo Cañete. Ma ad oggi il testo di questo atto non è stato ancora pubblicato. Così ora si affaccia il rischio di una multa Dal 26 febbraio 2015 l’Italia è in procedura d’infrazione per non aver recepito in modo completo la direttiva Ue sull’efficienza energetica. L’11 giugno scorso il governo ha dichiaratol’approvazione di un decreto legislativo in grado di sanare le 35 carenze evidenziate dal commissario all’energia, Miguel Arias Cañete, nella lettera di messa in mora ma ad oggi il testo di questo atto non è stato pubblicato in gazzetta ufficiale. Poiché la risposta istituzionale italiana era attesa entro 60 giorni dalla lettera d’avviso, si prospetta quindi l’avvio della seconda fase della procedura d’infrazione – quella contenziosa – cui potrebbe seguire una multa.
In questo caso a preoccupare di più gli italiani non dovrebbe essere l’ennesima ammonizione che consolida il nostro primato di paese europeo più indisciplinato e multato, bensì il ritardo nel cogliere un’occasione – quella dell’efficienza energetica – che da ultimol’Energy Efficiency Report 2015 dell’Energy & Strategy Groupdel Politecnico di Milano dichiara capace di “muovere investimenti per 55-76 miliardi di euro”. Un atteggiamento illogico in tempo di crisi, se si pensa che proprio gli investimenti lordi sul Pil, nel 2014, sono scesi di 4,5 punti (rapporto annuale Istat del 2015) – ben oltre la media europea – e senza investimenti non esiste alcuna crescita economica e conseguente assorbimento della disoccupazione.
La direttiva numero 27 del 2012 è stata recepita in ritardo e “male” – a quanto sostiene la Commissione Europea – con il decreto legislativo 102 del 2014. Nel decreto era infatti preservato – cioè “copiato” – l’impianto della direttiva, in particolare il macro obiettivo di ridurre del 20% i consumi di energia primaria entro il 2020, ma mancavano alcune definizioni cardine per la sua applicabilità, in alcuni casi al limite della barzelletta. Per esempio: il decreto cita l’obbligo per ogni “grande impresa” di eseguire “entro il 5 dicembre 2015” e “ogni 4 anni” una “diagnosi energetica”, senza specificare cosa sia. Nella lettera di messa in mora il commissario Ue sottolinea l’assenza di definizione riferendosi al concetto di “audit energetico”, la cui descrizione precisa è presente nel testo della direttiva Ue ma assente nel decreto italiano. Il governo ha probabilmente tradotto audit energetico con “diagnosi energetica” senza tuttavia copiarne anche la descrizione.
Ma non finisce qui perché nel testo il governo utilizza infatti più volte proprio la parola “audit” e individua nell’ “auditor” la figura preposta a tale attività, dandone la seguente descrizione: “persona fisica o giuridica che esegue diagnosi energetiche”. Quanto accaduto con “audit energetico” è ripetuto con altre figure chiave individuate nella direttiva Ue 27/2012, generando un’indeterminazione che scoraggia aziende ed enti pubblici dal “servirsi” della legge – per ridurre i propri consumi energetici e quindi costi economici – e conformarsi ai suoi richiami obbligatori.
Oltre a questi errori di copia-incolla la commissione Europea contesta anche scelte illegittime come aver omesso di recepire norme “sulla priorità di dispacciamento dell’energia da cogenerazione ad alto rendimento”, “sulle condizioni adeguate affinché gli operatori del mercato forniscano ai consumatori di energia informazioni adeguate e mirate nonché consulenza in materia di efficienza energetica” e persino quelle relative “alla necessita di agevolare l’istituzione di strumenti finanziari, o il ricorso a quelli esistenti, per misure di miglioramento dell’efficienza energetica volte a massimizzare i vantaggi di molteplici canali di finanziamento”.
In tempo di esami si direbbe: rimandati a settembre. Nel frattempo lo stallo governativo sul tema efficienza energetica si è determinato anche nella prima operatività legata al recepimento della direttiva Ue: quei 30 progetti di efficientamentoenergetico degli immobili della pubblica amministrazionevincitori del bando scaduto il 15 ottobre 2014. A causa dell’assenza di un decreto interministeriale previsto per il mese successivo i progetti sono fermi e si rischia persino l’invalidazione della proclamazione. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/30/efficienza-energetica-procedura-ue-contro-litalia-direttiva-recepita-in-ritardo-e-male-ma-il-decreto-non-ce/1807053/
di Francesco Sanna | 30 giugno 2015
Uranio impoverito, Sel: “Ok a commissione d’inchiesta su mistero di Stato e rendere giustizia”
“Parliamo di un vero e proprio mistero di Stato. Sulla questione dell’uranio impoverito si deve tirare fuori dai cassetti la verità”. Questa la richiesta delcapogruppo di Sel alla Camera, Arturo Scotto, presentando alla stampa laproposta di legge per istituire una commissione parlamentare di inchiestasui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all’estero. Proposta che è stata approvato all’unanimità dall’Aula della Camera. “I diritti che valgono per tutti devono valere anche per i militari. La commissione – ha spiegato Donatella Duranti, firmataria del testo insieme al collega Michele Piras – lavorerà per due anni e indagherà sui casi di morte e di gravi malattie. Oggi non si conoscono i dati precisi dei militari colpiti da malattie gravi o deceduti, perché non è mai stato fatto un monitoraggio. C’è un’enorme vergogna nazionale per cui – conclude – da una parte l’Italia esalta l’eroismo nazionale e dall’altra nega a questi ragazzi un minimo di riconoscimento una volta che si ammalano per causa di servizio” di Manolo Lanaro
30 giugno 2015
“Parliamo di un vero e proprio mistero di Stato. Sulla questione dell’uranio impoverito si deve tirare fuori dai cassetti la verità”. Questa la richiesta del capogruppo di...
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Deposito unico scorie nucleari, nuovo rinvio sulla lista delle località “candidate”
Passata con un nulla di fatto la scadenza del 16 giugno, quando la Sogin avrebbe dovuto comunicare ai ministeri di Economia e Ambiente l'elenco dei siti che potrebbero ospitare i rifiuti radioattivi. Una decisione scomoda che accumula ritardi, mentre i comuni potenzialmenente interessati mettono le mani avanti. A cominciare da Caorso. Lo stop arrivato dall'Ispra. Nessuna motivazione ufficiale, possibili dubbi sui criteri di individuazione delle aree L’iter per l’approvazione e la pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitare il deposito unico delle scorie nucleari subisce un altro stop. Di nuovo in prossimità di una scadenza programmata, quella del 16 giugno, entro la quale la lista avrebbe dovuto essere completata. Cosa che non è successa. A chiedere lo stop, questa volta, è stato l’Ispra(Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) che in una nota informa di aver bisogno di altro tempo – entro la prima decade di luglio recita la nota – per verificare la bontà del lavoro effettuato da Sogin, la società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi. Una volta terminata questa attività di verifica, Ispra trasmetterà ai due ministeri competenti – quello dell’Ambiente e quello dello Sviluppo economico – l’aggiornamento della proposta di Cnapi e la relativa relazione circa il lavoro svolto. Solo allora, i Ministeri stessi procederanno a rilasciare a Sogin il nulla osta alla pubblicazione della Carta.
Un iter travagliato, come si vede, iniziato il 4 giugno del 2014 e che in un anno ha già accumulato tre mesi di ritardo. Un rallentamento che non trova spiegazioni ufficiali. Tutti gli attori coinvolti nel processo, infatti, ostentano ottimismo e sicurezza. Come Sogin, che attraverso Fabio Chiaravalli, direttore del deposito nazionale e del parco tecnologico conferma che «Sogin a metà giugno ha terminato di consegnare ad Ispra gli approfondimenti tecnici richiesti». La società, ora, è alla finestra, in attesa delle decisioni dei ministeri competenti. L’impressione, però, è che la comunicazione di Ispra abbia colto di sorpresa anche Sogin. Lo scorso 18 giugno, anche il ministro Galletti aveva rassicurato la platea di un convegno: «Il percorso è assolutamente nei tempi previsti. La Carta dei luoghi che potranno essere oggetto del deposito unico nazionale è chiaramente un lavoro scientifico molto approfondito e lo vogliamo fare bene. L’Ispra – aveva aggiunto il ministro – mi ha inviato una lettera nei giorni scorsi – chiedendo di poter fare un ulteriore approfondimento sulle verifiche fatte dalla Sogin per poter poi pubblicare la carta».
Il sospetto che qualcosa non quadri, però, c’è. È infatti la seconda volta che Sogin consegna a Ispra la proposta di Cnapi. La prima agli inizi dell’anno, il 2 gennaio 2015, a sette mesi dalla pubblicazione dei criteri di localizzazione. Il 13 marzo Ispra comunicava di aver consegnato al Ministero dell’Ambiente e al Ministero dello Sviluppo Economico la sua relazione sulla proposta di Sogin. Il 16 aprile 2015 il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’ambiente chiedevano degli approfondimenti tecnici a Sogin e all’Istituto Superiore per la protezione ambientale. Quello che non convinceva erano i criteri utilizzati per l’individuazione delle aree. Sogin e Ispra avrebbero dovuto fornire gli elementi richiesti dai Ministeri entro 60 giorni, ossia il 16 giugno. Più di una settimana fa. Ma proprio il 16 giugno Ispra comunicava di aver bisogno di ulteriore tempo per verificare quanto fatto da Sogin che, da parte sua, aveva inviato a Ispra l’aggiornamento della Cnapi nei tempi previsti.
Un iter tortuoso e contraddistinto da una riservatezza che da un lato trova una giustificazione nella delicatezza della materia, dall’altro non fa che aumentare lo scetticismo circa la sbandierata trasparenza della procedura. In molte regioni si sono già formati comitati territoriali pronti a contestare l’eventualità che la scelta del deposito unico di scorie radioattive ricada nelle loro terre. Mentre si susseguono interrogazioni parlamentari sull’argomento, Puglia,Basilicata, Sicilia e Sardegna sono già sul piede di guerra. Roberta Battaglia, sindaco di Caorso – paese del piacentino sede di una delle centrali nucleari italiane – ha dichiarato: «La secretazione totale dei passaggi e la mancanza assoluta di trasparenza e di un dialogo con i territori non può che scatenare rivolte». Battaglia ha poi aggiunto: «Caorso conferma l’indisponibilità a ospitare il deposito. Fermo restando questo ‘punto fisso e imprescindibile’ – ha continuato la prima cittadina – il deposito nucleare è indispensabile per ospitare le scorie disseminate nel Paese ed è inaccettabile che un governo che ama dipingersi come decisionista tergiversi su un tema così importante».
Anche secondo Bruno Valentini, Sindaco di Siena e Presidente della Commissione Ambiente e territorio Anci «questo è un tema di assoluta rilevanza e in più occasioni lo abbiamo portato all’attenzione del governo. Il ministero dell’Ambiente deve provvedere prima possibile: i Comuni hanno bisogno di certezze». http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/30/deposito-unico-scorie-nucleari-nuovo-rinvio-sulla-lista-delle-localita-candidate/1826178/
di Vincenzo Mulè | 30 giugno 2015
Enciclica Laudato si': Papa Francesco e Pepe Mujica, un’interessante analogia
Ho colto un’interessante analogia tra le parole di ‘Pepe’ Mujica (ne ‘La felicità al potere’) e quelle contenute nell’ultima enciclica diPapa Bergoglio, Laudato si’. L’uno laico, l’altro a capo della Chiesa Romana. Due importanti esperienze di vita, due impostazioni che hanno molti punti di contatto utili soprattutto per chi abbia a che fare con la gestione della res publica nei problematici e complessi Sud del pianeta.
La ‘conversione ecologica‘ di cui parla Bergoglio ci ricorda che le parole dolcissime del Cantico delle creature del frate di Assisi non furono esercizio letterario, ma un inno che coglieva l’indissolubile legame tra gli uomini e la nostra casa comune, che riceviamo come un delicato prestito tra le generazioni. Se Mujica invita ariappropriarsi del tempo esiguo della vita, a scegliere uno stile sobrio per non lasciarsi soffocare da “una civiltà che ci ingoia, che ha bisogno di farci diventare merce” e sosteneva: “non vogliamo un Paese che brilli nelle statistiche, ma un Paese in cui si viva bene realmente”, Bergoglio si spinge oltre, spiegando che “c’è infatti un vero debito ecologico, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni paesi. Le esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati del Nord industrializzato hanno prodotto danni locali, come l’inquinamento da mercurio nelle miniere d’oro o da diossido di zolfo in quelle di rame”. “Il riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni”.
È stato già osservato che il surriscaldamento globale porterà a un incremento della temperatura terrestre di almeno 3°C e l’aumento delle superfici desertificate avranno impatti sempre maggiori nelle ondate migratorie delle popolazioni colpite, che si sommeranno in misura sempre maggiore a quelle legate alle instabilità politiche che producono i relativi flussi di rifugiati in cerca di salvezza. In entrambi gli autori risuonano le parole “responsabilità”, “sobrietà”, “controllo dei consumi”, “tutela dell’ambiente”.
In entrambi una condanna alla perversa asimmetria tra Nord e Sud del mondo, la quale permette che “il debito estero dei Paesi poveri si sia trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico” [Bergoglio]. A me ricorda ancora le parole dell’ex presidente sudamericano: “Se aggrediamo la natura, chi si farà carico di quel continente di borse di plastica che si sta preparando nel Pacifico, già più grande dell’Europa? Chi si prenderà la responsabilità di un simile immondezzaio? È l’umanità a doversene fare carico”.
L’enciclica traccia interessanti linee guida per una “conversione ecologica” della politica, andando dalla progressiva e rapida sostituzione delle risorse energetiche fossili (petrolio, carbone e anche gas) alla cura per la diversità biologica, ricordando, anch’egli, che i Paesi che hanno tratto i maggiori benefici dall’industrializzazione sono anche i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra e di agenti inquinanti. Le cooperative dedite ad attività produttive a forte diversificazione e in grado di autoprodurre l’energia con le fonti rinnovabili possono essere una via ‘locale’ allo sviluppo sostenibile, fatto di responsabilità, senso comunitario, creatività, amore per la terra. Una specifica esortazione viene rivolta alla politica locale, che potrebbe innescare modalità di produzione industriale ad alta efficienza energetica, favorendo pratiche e prodotti meno inquinanti, buona gestione di rifiuti e trasporti pubblici: “Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi”.
Non solo politici e amministratori, ma ciascuno di noi è interrogato da queste pagine. Siamo singolarmente chiamati, ad esempio, a riconoscere il peso solo apparentemente infinitesimo delle nostre scelte di acquisto. L’Enciclica fa un esplicito riferimento al peso che possono avere i consumatori organizzati nell’orientare le industrie a una produzione sostenibile e responsabile.
È un obbligo, ormai, il cambio di rotta su diversi fronti. Su quello energetico, Jeremy Rifkin sostiene chiaramente che “le energie elitarie dei combustibili fossili […] favorivano economie di scala verticali e la formazione di imprese colossali e centralizzate lungo l’intera catena dell’offerta, gestite da organizzazioni gerarchiche razionalizzate che si facevano concorrenza nei mercati. Al contrario, le energie rinnovabili, […] creano lo spazio per migliaia di imprese distribuite connesse tra loro attraverso relazioni economiche collaborative integrate in reti, che funzionano più come ecosistemi che come mercati”.
È un obbligo, ormai, il cambio di rotta su diversi fronti. Su quello energetico, Jeremy Rifkin sostiene chiaramente che “le energie elitarie dei combustibili fossili […] favorivano economie di scala verticali e la formazione di imprese colossali e centralizzate lungo l’intera catena dell’offerta, gestite da organizzazioni gerarchiche razionalizzate che si facevano concorrenza nei mercati. Al contrario, le energie rinnovabili, […] creano lo spazio per migliaia di imprese distribuite connesse tra loro attraverso relazioni economiche collaborative integrate in reti, che funzionano più come ecosistemi che come mercati”.
Nel frattempo, la Costa Rica è da qualche mese in grado di produrre tutta la propria energia da fonti rinnovabili. E l’Uruguay di Mujica, dopo aver rifiutato investimenti per centrali al carbone, secondo il Kyoto Club, coprirà il 90% del fabbisogno entro il 2016.
D’altronde, come sostiene sempre Rifkin, “abbiamo costruito un’intera civiltà sulla riesumazione dei depositi del Carbonifero”. È ora di costruirne una più evoluta. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/30/enciclica-laudato-si-papa-francesco-e-pepe-mujica-uninteressante-analogia/1827519/
di Alessandro Cannavale | 30 giugno 2015
Trentino, c’era una volta l’autostrada Pi.ru.bi. Si chiamerà ‘Valdastico’ e sarà realizzata a tutti i costi
Negli anni ’70 i politici Piccoli, Rumor e Bisaglia, dettero luogo ad un progetto di un’autostrada tra Vicenza e Piovene Rocchetta, all’imbocco della Valdastico; autostrada nota come A31, definita da molti l’autostrada più inutile d’Italia; il progetto prevedeva anche l’estensione fino a Trento, passando per montagne e gallerie, per sbucare nella zona di Besenello, piccolo comune trentino situato tra Trento e Rovereto. Grazie ad una forte campagna ambientalistae grazie pure ad una stampa molto critica, che mise in evidenza l’enorme impatto ambientale che tale opera avrebbe generato, di fronte a benefici trascurabili, l’opera cadde in un limbo perenne;rispolverata più per fini elettorali periodicamente, si riteneva ormai inutile e obsoleta, come idea di sviluppo sostenibile.
Negli ultimi anni, però, complici le imminenti scadenze delle concessioni di gestione della A4 per il Veneto e della A22 per il Trentino, si riapre fortemente il dibattito. Ma chiariamo un pochino la vicenda. Il Veneto è fortemente interessato ad ottenere la proroga della concessione della gestione dell’autostrada A4, nota anche come “Serenissima” che, ovviamente, vede come uno dei maggioriazionisti proprio la Regione Veneto; per poter ambire a tale proroga, la società che gestisce tale autostrada, deve procedere con investimenti tali per poter giustificare una continuità di esercizio inproroga, senza bando europeo; ecco, per l’appunto, l’investimento trovato: il prolungamento della Valdastico (A31) come motivo di investimento e come proposta di espansione e sviluppo, agganciandola alla A4. Solo che c’era (il passato è d’obbligo, poi capirete) il veto della Provincia Autonoma di Trento, per il tratto di propria competenza, cioè la parte finale che sbucherebb , appunto, in quel di Besenello, tra Trento e Rovereto, bucando una montagna, disastrando un bacino idrogeologico importantissimo e devastando aree dedite a colture pregiate.
Fino ad oggi tale veto ha impedito la realizzazione di quest’opera, ritenuta inutile e, analizzando i conti programmatici, con scarsa se non nulla possibilità di rientro economico generato dalla percorrenza che dovrebbe accogliere. Altro elemento da aggiungere: è in scadenza anche la concessione della A22, autostrada Brennero-Modena, gestita dalla società omonima, nota proprio come A22, la cui proprietà vede come maggiore azionista proprio la provincia di Trento, accompagnata in partecipazione dal gotha industriale trentino. Ed ecco, quindi che, essendo in scadenza le concessioni di A4 e A22, le cose cambiano radicalmente! La regione Veneto decide di cambiare approccio, dialogando con la provincia di Trento, fino a ieri rigorosamente contraria alla prosecuzione della Pi.ru.bi. o Valdastico, come la si vuole chiamare; talmente contraria che, in sede di campagna elettorale, nel 2013, l’attuale giunta provinciale trentina aveva messo in chiaro il netto “No alla Valdastico”, facendone un forte cavallo di battaglia a tutela ambientale!
Ma ora cosa è cambiato? Difficile comprendere, ma proviamo a fare qualche associazione. Concessione della gestione A22 in scadenza, concessione della A4 in scadenza; se, però, le società a partecipazione pubblica (Veneto e Trentino maggiori azionisti), riescono a dimostrare investimenti significativi, le proroghe senza gara europea saranno quasi certe! E, quindi, ecco le inevitabili piroette politiche! Dialogando, provincia di Trento e regione Veneto, con una variazione sul tema della conclusione del tracciato, possono riaprire il dibattito e convergere su un progetto comune; la variazione che Trento chiede è quella di cambiare il tracciato, sbucando a Trento Sud, nei pressi di una zona coltivata, attraversando con viadotti e gallerie alcuni tratti montani molto belli e inviolati. Appare davvero strano questo cambio di opinione, questo cambio di indirizzo. Ma l’impatto ambientale, con l’aggiunta di un business plan di rientro quasi insostenibile, non avevano già decretato l’addio di Trento a questa autostrada ritenuta inutile oltre 40 anni fa? Si sa, allora A22 e A4 erano gestite con scadenze lontanissime, quindi i principi etici e ambientali trentini erano molto solidi; ora che tali gestioni sono in discussione, in probabile immissione in gara europea, crollano tutti i valori etici e di salvaguardia ambientale! E le forze politiche di centrosinistra autonomista, che reggono il governo trentino pare abbiano cambiato idea alla luce di questa fantomatica apertura di un tavolo di discussione con il Veneto e con lo Stato, per creare un progetto “condiviso e sostenibile”.
Che ne sarà del traffico immesso a Trento sud, zona non certamente adatta a ricevere altro traffico pesante? Che ne sarà delladevastazione paesaggistica di una zona quasi incontaminata o perlomeno poco trafficata quale il tratto proposto in alternativa al precedente percorso? Che ne sarà del bacino idrogeologico dei monti trapanati per creare un mostro inutile? Che ne è del progetto programmatico del centrosinistra autonomista trentino, che fondava i suoi dogmi sullo sviluppo della ferrovia come alternativa al traffico su gomma? La zona dove sbucherà la Valdastico nuova, tra l’altro, sarà già interessata da traforazioni generate dal progetto Treni Alta Capacità (Tac), altra devastante opera, giustificata con la necessità di trasportare il traffico da strada a ferrovia. Come verrà giustificata, ora, anche tale opera, se finora si parlava di alternativa della ferrovia al trasporto gommato? Le due opere sono in antitesi, ma non solo, ambedue sono devastanti per il paesaggio. Sulla Pi.ru.bi., ora nota come Valdastico, i trentini si erano abituati al ‘no’ secco della provincia di Trento; ora, piroettando in maniera circense, si cambia idea radicalmente! Le giustificazioni quali saranno, se non quelle di trovare appoggio per il rinnovo delle concessioni di gestione della A22 e della A4? Perché i soldi per queste opere devastanti e inutili si trovano o si troveranno, mentre per altre piccole- medie opere non si mettono in campo?
Da decenni, per esempio, si aspetta l’elettrificazione della ferrovia Trento- Venezia, abbinata magari ad un raddoppio di binari per sviluppare il trasporto ferroviario e spostare il traffico su rotaie, liberando così realmente le strade; perché per tali opere non si investe? Domande che rimarranno senza risposta. Ma, intanto, le nuove piroette politiche avvieranno inutili sprechi di denaro e devastazioni ambientali che non saranno mai più recuperabili. E, almeno per ora, sembra che quasi tutti i politici trentini, paladini ambientalisti solo in campagna elettorale, si chiudano in unpreoccupante silenzio. E, chi tace, acconsente, purtroppo! http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/30/trentino-cera-una-volta-lautostrada-pi-ru-bi-si-chiamera-valdastico-e-sara-realizzata-a-tutti-i-costi/1828062/
di Marco Ianes | 30 giugno 2015
da legambiente a mafia capitale Le botte con i fascisti, l’O nu e le mille vite di Odevaine - Mafia CapitaleL’esordio al liceo Mameli, l’India, la droga e i cambi di cognome del manager in cella da sette mesi
Il curriculum Luca Odevaine, 58 anni, è stato vicecapo di gabinetto di Veltroni quando era sindaco di Roma, capo della polizia provinciale con Zingaretti e membro del Tavolo nazionale per l’accoglienza ai migranti fino all’arresto, il 2 dicembre 2014, nell’inchiesta su Mafia Capitale L’accusa di corruzione Odevaine è accusato di corruzione aggravata per i suoi rapporti con le cooperative sociali del gruppo guidato da Salvatore Buzzi ritenute nell’orbita di Mafia Capitale. Sarebbe stato stabilmente retribuito per favorirne l’a cce ss o a commesse pubbliche
Anni Settanta Si scontrava con i “neri” Appena 20enne le consulenze in Asia. Nell’89 il primo arresto
Due passaporti Odevaine e Odovaine, due documenti per il Venezuela. E Alfano non risponde
ANUBI L. D’AVOSSA LUSSURGIU Da dicembre scorso è in carcere, accusato di corruzione quale referente istituzio- nale del “mondo di mezzo”, la presunta Mafia Capitale dell’ex terrorista nero dei Nar Massimo Carminati e del si- gnore delle Coop sociali “ros - se”Salvatore Buzzi. Eppure Luca Odevaine, già vicecapo e poi direttore di gabinetto di Veltroni in Campidoglio e fi- no all’arresto seduto al Tavolo nazionale dell’accoglienza al Viminale, 40 anni fa aveva al- tre idee sul rapporto tra rossi e neri. Il 20 febbraio 1975 due senatori del Msi presentano un’interrogazione al ministro degli Interni su una “catena di aggressioni”aidanni dimili- tanti del Fronte della Gioven- tù nel borghesissimo quartie- re Parioli di Roma. E indicano come “responsabile d’istituto del Pci”nel liceo Mameli Luca Odevaine, che si diplomerà quell’estate. Nella Fgci roma- na d’allora lo ricordano per la
fama di “bellissimo”e un gran successo con le ragazze. Qual- cuno lo accompagnò più volte “col servizio d’o rd i ne ”a ll a sua casa ai Parioli, “perché era minacciato dai fasci”.
POI IL GIOVANE comunista pa- riolino scompare. Luca dal primo gennaio 1976 si registra all’Inpscome “coltivatore di- retto”,annotano icarabinieri del Ros. E nel ’77 a soli vent’an - ni diventa “consulente ester- n o”d el l ’Onu proprio sullo “sviluppo agricolo”: spedito fino all’82 in India, Afghani- stan, Pakistan, Nepal, Buthan, Laddhak e Birmania. Torna e ha la prima figlia, Ginestra, nell’84. Ma non a Roma: a Nar- ni. Ancora nel Ternano è de- nunciato per assegni a vuoto nel ’91, proprio quando è con- dannatoa2 anniemezzoper droga in seguito a un arresto dell’89:indulto einfineriabi- litazione, nel 2003, quando Luca è da due anni con Veltro- ni al Campidoglio, dopo esser stato consigliere della mini- stra Giovanna Melandri dal 1998 al 2001 e prima per 4 anni
in Legambiente. Solo che Ode- vaine nelle istituzioniusa an- che un altro cognome, Odo- vaine con la “o”. Lo sottolinea la gip Flavia Costantini nell’ordinanza del28 novem- bre 2014. E ne chiede conto un’interrogazione al ministro Alfano dei deputati del M5S Roberta Lombardi e France- sco D’Uva, da 6 mesi senza ri- sposta. Nell’unica registrazione di Luca (Odevaine) all’anag rafe di Roma il padre, Remo, com- pare appunto come Odovaine. E Remo, oltre a Luca e alla so- rella maggiore Paola, ha un al- tro figlio: Mauricio,anche lui Odovaine, nato nel 1973 a Ma- drid da Amparo Lopez Rubio, già nel cast d’uno spaghet- ti-western prodotto nel ’66 . Perché Remo era produttore cinematografico. Come Tul- lio, lo zio di Luca. Entrambi si sono sempre firmati Odevai- ne. Anche nelle produzioni maggiori: per Tullio, L’Atten - tat del 1972, con Gian Maria Volonténelruolo diBenBar-
ka; per Remo, Barbablù sem - pre del ’72, con Richard Bur- ton e una schiera di bellone dell’epoca, da Raquel Welch a Virna Lisi a Karin Schubert. Un tonfo fragoroso, costato u- na barca di soldi. Certo, quan- do Remo muore a Madrid nel 2005 da 15 anni è attivo in Spa- gna dove si firma Odovaine: ma i necrologi in Italia, com- preso quello di Veltroni, lo piangono come Odevaine. E cosìaveva firmato,dopoBar - bablùe una lunga pausa, le ul- time produzioni italiane nell’82 e nell’87.
REMO ETULLIOsono rintrac- ciabili comeOdevaine sinda- gli anni 1937-’40, quali convit- tori del Nobile Collegio gesui- tico Mondragone, nella villa di Frascati, di gran prestigio: nel ’39 vi si diploma Adolfo Letta, figlio dello zio di Gianni, il pre- fettissimo Guido (che nel “feudo”abruzzese di Aielli gli dedica la chiesa di Sant’Adolfo in cui lo fa ritrarre, avanguar- dista, con Maria Teresa Letta,
giovane fascista). E a Roma di- rettore della sede della Ras As- sicurazioni dal ’34 al ’43 è Claudio Odevaine: l’ultima re- lazione al presidente della Banca Commerciale Italiana data al 19 luglio 1943. Nonni del Ventennio, padri turbo- lenti dei Parioli: e figli dall’an - tifascismo militante a disin- volte doppie identità. Fino alla perquisizione, il giorno dell’arresto per Mafia Capitale, nella casa di via Mar- co Aurelio, al Celio. Spuntano due passaporti validi: uno ri- lasciato il 10 ottobre 2006 a Luca Odovaine, l’altro il 12 maggio 2011 a Luca Odevaine. E c’è un “decreto per mutato c og n om e”. Solo che il passa- porto del 2006come Odovai- ne ha l’ultimo visto il 9 ottobre 2013, in Venezuela. E quello del 2011 come Odevaine ce l’ha del 18 aprile 2014, sempre in Venezuela. Usati entrambi, con cognomi diversi, per oltre due anni. Una vita, molte vite: quali amici a garantirle? © RIPRODUZIONE RISERVATA
il fatto quotidiano 28 giugno 2015
Gli uomini di “Stay behind”ne l l’inferno somalo Restore Hope ’92-’94A Mogadiscio almeno 36 gli incursori addestrati alla “guerra non ortodossa”. Esecuzioni e misteri
Il nome più noto è quello di Vincenzo Li Causi, sot- tufficiale ucciso con un uni- co colpo il 12 novembre del 1993 vicino a Balad. Ma l’e- lenco dei gladiatori presen- ti in Somalia durante la mis- sione “Restore Hope” (1992-1994) è lunghissimo. Più di trenta incursori del 9° reggimento “Col Mo- schin”addestrati nei campi d el l ’organizzazione Stay Behind alla “guerra non or- todossa”hanno avuto un ruolo importante nella So- malia della guerra civile, durante la missione Onu, divenuta nota, tra l’al tro, per l’agguato che portò alla morte della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell’opera- tore Miran Hrovatin uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994. Ma anche per le accu-
se di tortura rivolte a mili- tari italiani, peraltro mai ri- scontrate. Incrociando i nomi dell’elenco del perso- nale militare impiegato nella missione somala con gli atti dei processi che si so- no occupati dell’organizza- zione Gladio, si ha la con- ferma del peso che la strut- tura ha avuto anche dopo lo scioglimento nel ’90.
LA LISTA dei gladiatori uti- lizzati in Somalia ha anche due vittime importanti. Il meno noto è Marco Mando- lini –nome in codice “Con - dor Mike”–sottufficiale del
“Col Moschin”ucciso sulla scogliera del Romito vicino a Livorno un anno dopo la fine della missione nel Cor- no d’Africa. Gli autori dell’omicidio non sono stati mai identificati, ma le mo- dalità della morte sono su- bito apparse come il segno di un vera e propria esecu- zione, maturata, secondo le ultime indagini, all’interno dell’ambiente militare. Ancora avvolta da molte ombre è la morte di Vincen- zo Li Causi, maresciallo e- sperto in telecomunicazio- ni utilizzato, fin dall’i niz io degli anni 80, per operazio-
ni particolarmente delicate affidate dal governo italia- no alla settima divisione del Sismi. La Procura militare di Roma ha stabilito l’orig ine dell’agguato in un atto di o-
stilità dei somali, ma la figu- ra del maresciallo –consi - derato tra i migliori agenti italiani –continua a lasciare spazio ai dubbi.
LI CAUSI era stato fino al 1990 responsabile del Cas Scorpione di Trapani, il centro Gladio creato nel 1987. Il maresciallo, poco prima di morire, aveva de- posto a lungo davanti al pm di Trapani Andrea Taron- do, che stava cercando di ri- costruire l’attività del cen- tro siciliano di Gladio. Al momento della morte stava per rientrare in Italia, pron- to –secondo alcune testi- monianze –atornare a de- porre davanti ai magistra- ti. AN. PALL. © RIPRODUZIONE RISERVATA
se di tortura rivolte a mili- tari italiani, peraltro mai ri- scontrate. Incrociando i nomi dell’elenco del perso- nale militare impiegato nella missione somala con gli atti dei processi che si so- no occupati dell’organizza- zione Gladio, si ha la con- ferma del peso che la strut- tura ha avuto anche dopo lo scioglimento nel ’90.
LA LISTA dei gladiatori uti- lizzati in Somalia ha anche due vittime importanti. Il meno noto è Marco Mando- lini –nome in codice “Con - dor Mike”–sottufficiale del
“Col Moschin”ucciso sulla scogliera del Romito vicino a Livorno un anno dopo la fine della missione nel Cor- no d’Africa. Gli autori dell’omicidio non sono stati mai identificati, ma le mo- dalità della morte sono su- bito apparse come il segno di un vera e propria esecu- zione, maturata, secondo le ultime indagini, all’interno dell’ambiente militare. Ancora avvolta da molte ombre è la morte di Vincen- zo Li Causi, maresciallo e- sperto in telecomunicazio- ni utilizzato, fin dall’i niz io degli anni 80, per operazio-
ni particolarmente delicate affidate dal governo italia- no alla settima divisione del Sismi. La Procura militare di Roma ha stabilito l’orig ine dell’agguato in un atto di o-
stilità dei somali, ma la figu- ra del maresciallo –consi - derato tra i migliori agenti italiani –continua a lasciare spazio ai dubbi.
LI CAUSI era stato fino al 1990 responsabile del Cas Scorpione di Trapani, il centro Gladio creato nel 1987. Il maresciallo, poco prima di morire, aveva de- posto a lungo davanti al pm di Trapani Andrea Taron- do, che stava cercando di ri- costruire l’attività del cen- tro siciliano di Gladio. Al momento della morte stava per rientrare in Italia, pron- to –secondo alcune testi- monianze –atornare a de- porre davanti ai magistra- ti. AN. PALL. © RIPRODUZIONE RISERVATA
il fatto quotidiano 27 giugno 2015
Tra gli 007 sospettati da Fulci c’erano undici “gladiator i” Servizi “s p o rc h i ”Alcuni agenti indicati dall’ex capo Cesis furono reclutati da Musumeci. L ’ombra della Falange Armata e le stragi
A Bologna Nel processo per l’eccidio del 2 agosto ‘80 furono individuati i parà “sottratti al controllo”
»ANDREA PALLADINO ANDREA TORNAGO Li chiamavano “co mp it i militari speciali”. Guerri- glia, resistenza agli inter- rogatori,uso diesplosivi, tiro, infiltrazione-esfiltrazione. E propaganda, materia impartita durante i corsi riservati in Sarde- gna da una delle poche donne dell’organizzazione, nome in co- dice Paola. Gladio,ovvero l’arti - colazione italiana di Stay Behind, il programma Nato di guerra non ortodossa, continua ancora oggi a mostrare tanti punti d’ombra. È da questa organizzazione che provengono quasi tuttii compo- nenti della lista dell’ambasciato - re Francesco Paolo Fulci, che da- vanti ai giudici del processo sulla trattativa Stato-mafiagiovedì ha confermato i suoi sospetti sull’o- riginedella FalangeArmata.Al- meno 11 nomi sui 15 inseriti nella lista dell’ex direttore del Cesis hanno avuto un ruolo in Gladio, come ha potuto verificare il Fatto Quotidianoconsultando la docu- mentazione allegata ai processi per le stragi. Con ruoli diversi, da semplici partecipanti ai corsi di addestramento fino ad alcuni i- struttori militari. Fulci arrivò a dirigere il Cesis – l’organismo che negli anni 90 coordinava Sismi e Sisde –un an- no dopo lo scioglimento di Gla- dio. Nell’autunno del 1990 Giulio Andreotti divulgò la lista dei 622 civili inquadrati nell’o rg a ni zz a- zione, sciogliendo il segreto di Stato. Un affronto che molti gla- diatori non gli perdoneranno mai. La disclosurein realtà fu par- ziale, perché l’elenco del perso- nale militare non venne mai di- vulgato in Parlamento. Accanto a Gladio –in una sorta di coordi- namento per la “guerra non orto- dossa” –da tempo vi eranoi due reparti d’eccellenza dell’e se rc i- to: il Comsubin (Comando subac- quei incursoridella Marina,con sede a La Spezia) e il 9° reggimen- to “Col Moschin”(incursori pa- racadutisti, con sede nella caser- ma Vannucci di Livorno). Il per- no attorno al quale ruotava la macchina con “compiti militari speciali”era la 7ª divisione del Si- smi, cresciuta con il generale In- zerilli, a capo di Gladio fino al 1987. Ed è daquesto cono d’om - bra che verranno i reparti speciali utilizzati anche negli anni suc- cessivi, durante quella stagione di stragi e segreti.
“LE PERSONE di cui alla nota dell’ambasciatore Fulci –si legge nell’ordinanza del giudice istrut- toreLeonardo Grassidell’agosto 1994 sulla strage di Bologna –fan - no parte di questo organismo ul- trasegreto e ultraspecializzato (Gladio, ndr), reclutato in buona parte informe illegalidal colon- nello Musumeci”. I magistrati bolognesi arrivarono a indivi- duare inquell’elenco ungruppo di paracadutisti arruolati da Pie- tro Musumeci tra il ’79 e l’81: uo- mini “addestratialla guerrigliae
al sabotaggio (...) un nucleo clan- destino di offesa e di provocazio- ne sottratto a ogni altro control- lo”, si legge negli atti del processo sulla strage del 2 agosto 1980. Musumeci arriva direttamen- te dalle cronache degli anni 70. Considerato l’“anima nera”d el Sismi, iscritto alla Loggia di Licio Gelli, fu protagonista di un duro scontro con la presidente della
Commissione parlamentare sulla P2 Tina Anselmi, che lo fece ar- restare durante la sua deposizio- ne. Alla fine delprocesso sui de- pistaggi che seguirono la strage di Bologna venne condannato per calunnia pluriaggravata. Sull’ori - gine del gruppo che transiterà nella organizzazione Ossi (opera- tori specialidella 7ªdivisione Si- smi) durante il processo per la strage di Bologna i magistrati a- scoltarono la testimonianza di Pasquale Notarnicola, generale del Sismi, resa il 6 dicembre ’91: “Appresi che c’era altro persona- le, circa 20-30 persone, affluito tra la fine del ’79 e l’inizio dell’81, reclutato tra ex militari di leva della Brigata Paracadutistidi Li- vorno e della Scuola di Pisa. Ri-
tengo che queste persone siano state addestrate a capo Marrar- g i u”. Ovvero il centro di forma- zione di Gladio, dove –secondo i documenti sequestrati dall’allora giudiceistruttore diVeneziaFe- lice Casson –firmarono il vincolo di segretezza della Stay Behind.
TRA I 15 COMPARE Bruno Gari- baldi, nome di copertura “Tarqui - nio”, ufficiale del Sismi responsa- bile tra il 1987 eil 1990 della Se- zione addestramenti speciali del- la Gladio. Da lui passavano tutte le reclute, aveva un ruolo di vertice. Secondo la documentazione pro- veniente dagli archivi S ta y Behindallegati aiprocessi perle stragi, fu lui aautorizzare la col- laborazione di agenti anche per il
Centro addestramenti speciali Scorpione di Trapani, su segna- lazione di Vincenzo Li Causi, il maresciallo ucciso nel 1993 in So- malia. A Garibaldi venne affidato, inoltre, il comando del gruppo “K”, dislocato presso la struttura del Centro di intercettazione e trigonometria di Cerveteri (Ro- ma), che beneficiava di fondi di finanziamento autonomi rispet- to al servizio militare. Nella lista Fulcicompaiono al- tri due nomi di rilievo, provenien- ti direttamente dalla struttura chiusa da Andreotti nel 1990: Mauro Morandi e Roberto Scroc- co, agenti di primo piano impe- gnati nei centriperiferici di Gla- dio del Nord Italia. Anche loro fanno parte di quel gruppo di pa- racadutisti arruolati presso l’Uf - ficio controllo e sicurezza dal ge- nerale Musumeci. Dopo lo scio- glimento di Gladio, gli operatori speciali della 7ªdivisione inizie- ranno a frequentarsi in anonimi alberghi, tra Brescia e Rocca di Mezzo, in Abruzzo. Una circo- stanza ricostruita nei dettagli dal- la Digos, su delega del pm romano Pietro Saviotti. L’indagine fu chiusa stabilendo l’estraneità alla Falange Armatadei 15agenti in- dicati da Fulci. Ma quelle riunioni avevano suscitato un forte inte- resse negli investigatori romani: le date precedevano di poco le campagne dell’organizzazione e- versiva controLibero Gualtierie il quotidiano R ep ub b li c a. Solo coincidenze, per la Procura di Roma. Misteri che tornano all’at - tenzione dei giudici di Palermo vent’anni dopo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
»ANDREA PALLADINO ANDREA TORNAGO Li chiamavano “co mp it i militari speciali”. Guerri- glia, resistenza agli inter- rogatori,uso diesplosivi, tiro, infiltrazione-esfiltrazione. E propaganda, materia impartita durante i corsi riservati in Sarde- gna da una delle poche donne dell’organizzazione, nome in co- dice Paola. Gladio,ovvero l’arti - colazione italiana di Stay Behind, il programma Nato di guerra non ortodossa, continua ancora oggi a mostrare tanti punti d’ombra. È da questa organizzazione che provengono quasi tuttii compo- nenti della lista dell’ambasciato - re Francesco Paolo Fulci, che da- vanti ai giudici del processo sulla trattativa Stato-mafiagiovedì ha confermato i suoi sospetti sull’o- riginedella FalangeArmata.Al- meno 11 nomi sui 15 inseriti nella lista dell’ex direttore del Cesis hanno avuto un ruolo in Gladio, come ha potuto verificare il Fatto Quotidianoconsultando la docu- mentazione allegata ai processi per le stragi. Con ruoli diversi, da semplici partecipanti ai corsi di addestramento fino ad alcuni i- struttori militari. Fulci arrivò a dirigere il Cesis – l’organismo che negli anni 90 coordinava Sismi e Sisde –un an- no dopo lo scioglimento di Gla- dio. Nell’autunno del 1990 Giulio Andreotti divulgò la lista dei 622 civili inquadrati nell’o rg a ni zz a- zione, sciogliendo il segreto di Stato. Un affronto che molti gla- diatori non gli perdoneranno mai. La disclosurein realtà fu par- ziale, perché l’elenco del perso- nale militare non venne mai di- vulgato in Parlamento. Accanto a Gladio –in una sorta di coordi- namento per la “guerra non orto- dossa” –da tempo vi eranoi due reparti d’eccellenza dell’e se rc i- to: il Comsubin (Comando subac- quei incursoridella Marina,con sede a La Spezia) e il 9° reggimen- to “Col Moschin”(incursori pa- racadutisti, con sede nella caser- ma Vannucci di Livorno). Il per- no attorno al quale ruotava la macchina con “compiti militari speciali”era la 7ª divisione del Si- smi, cresciuta con il generale In- zerilli, a capo di Gladio fino al 1987. Ed è daquesto cono d’om - bra che verranno i reparti speciali utilizzati anche negli anni suc- cessivi, durante quella stagione di stragi e segreti.
“LE PERSONE di cui alla nota dell’ambasciatore Fulci –si legge nell’ordinanza del giudice istrut- toreLeonardo Grassidell’agosto 1994 sulla strage di Bologna –fan - no parte di questo organismo ul- trasegreto e ultraspecializzato (Gladio, ndr), reclutato in buona parte informe illegalidal colon- nello Musumeci”. I magistrati bolognesi arrivarono a indivi- duare inquell’elenco ungruppo di paracadutisti arruolati da Pie- tro Musumeci tra il ’79 e l’81: uo- mini “addestratialla guerrigliae
al sabotaggio (...) un nucleo clan- destino di offesa e di provocazio- ne sottratto a ogni altro control- lo”, si legge negli atti del processo sulla strage del 2 agosto 1980. Musumeci arriva direttamen- te dalle cronache degli anni 70. Considerato l’“anima nera”d el Sismi, iscritto alla Loggia di Licio Gelli, fu protagonista di un duro scontro con la presidente della
Commissione parlamentare sulla P2 Tina Anselmi, che lo fece ar- restare durante la sua deposizio- ne. Alla fine delprocesso sui de- pistaggi che seguirono la strage di Bologna venne condannato per calunnia pluriaggravata. Sull’ori - gine del gruppo che transiterà nella organizzazione Ossi (opera- tori specialidella 7ªdivisione Si- smi) durante il processo per la strage di Bologna i magistrati a- scoltarono la testimonianza di Pasquale Notarnicola, generale del Sismi, resa il 6 dicembre ’91: “Appresi che c’era altro persona- le, circa 20-30 persone, affluito tra la fine del ’79 e l’inizio dell’81, reclutato tra ex militari di leva della Brigata Paracadutistidi Li- vorno e della Scuola di Pisa. Ri-
tengo che queste persone siano state addestrate a capo Marrar- g i u”. Ovvero il centro di forma- zione di Gladio, dove –secondo i documenti sequestrati dall’allora giudiceistruttore diVeneziaFe- lice Casson –firmarono il vincolo di segretezza della Stay Behind.
TRA I 15 COMPARE Bruno Gari- baldi, nome di copertura “Tarqui - nio”, ufficiale del Sismi responsa- bile tra il 1987 eil 1990 della Se- zione addestramenti speciali del- la Gladio. Da lui passavano tutte le reclute, aveva un ruolo di vertice. Secondo la documentazione pro- veniente dagli archivi S ta y Behindallegati aiprocessi perle stragi, fu lui aautorizzare la col- laborazione di agenti anche per il
Centro addestramenti speciali Scorpione di Trapani, su segna- lazione di Vincenzo Li Causi, il maresciallo ucciso nel 1993 in So- malia. A Garibaldi venne affidato, inoltre, il comando del gruppo “K”, dislocato presso la struttura del Centro di intercettazione e trigonometria di Cerveteri (Ro- ma), che beneficiava di fondi di finanziamento autonomi rispet- to al servizio militare. Nella lista Fulcicompaiono al- tri due nomi di rilievo, provenien- ti direttamente dalla struttura chiusa da Andreotti nel 1990: Mauro Morandi e Roberto Scroc- co, agenti di primo piano impe- gnati nei centriperiferici di Gla- dio del Nord Italia. Anche loro fanno parte di quel gruppo di pa- racadutisti arruolati presso l’Uf - ficio controllo e sicurezza dal ge- nerale Musumeci. Dopo lo scio- glimento di Gladio, gli operatori speciali della 7ªdivisione inizie- ranno a frequentarsi in anonimi alberghi, tra Brescia e Rocca di Mezzo, in Abruzzo. Una circo- stanza ricostruita nei dettagli dal- la Digos, su delega del pm romano Pietro Saviotti. L’indagine fu chiusa stabilendo l’estraneità alla Falange Armatadei 15agenti in- dicati da Fulci. Ma quelle riunioni avevano suscitato un forte inte- resse negli investigatori romani: le date precedevano di poco le campagne dell’organizzazione e- versiva controLibero Gualtierie il quotidiano R ep ub b li c a. Solo coincidenze, per la Procura di Roma. Misteri che tornano all’at - tenzione dei giudici di Palermo vent’anni dopo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
il fatto quotidiano 27 giugno 2015
RODENGO SAIANO Rogo alla centrale a biomasse: non si esclude l'ipotesi dolosa
ta bruciando da metà pomeriggio di questa domenica il deposito di stoccaggio della centrale a biomasse di Rodengo Saiano. Il vasto incendio, divampato attorno alle 16, sta divorandomigliaia di tonnellate di biomassa vergine, il combustibile che potrebbe sostenere la centrale per circa un mese.
Dal comando dei Vigili del Fuoco di via Scuole sono intervenute sei squadre ed è stato richiesto anche l’appoggio della chilolitrica, delle pale meccaniche e dei volontari di Protezione civile per smassare la legna infuocata e poterla bagnare. I responsabili della centrale hanno immediatamente allertato le autorità competenti per valutare il danno ambientale.
Ai tecnici dei Vigili del Fuoco e ai Carabinieri il compito di stabilire cosa abbia provocato l’incendio. Il rogo si sarebbe sviluppato nel punto più vicino alla strada e ad accendersi sarebbe stato un tipo di materiale che difficilmente potrebbe essere soggetto ad autocombustione. Secondo le prime informazioni raccolte dagli inquirenti le indagini sono in tutte le direzioni e non si esclude l’ipotesi del dolo.
«L’impianto era oggi normalmente in funzione - scrive Franciacorta Rinnovabili Srl in una nota - , secondo le consuete modalità operative. Appena rilevato dagli operatori dell’impianto l’incendio, si sono messe immediatamente in atto le procedure previste per la gestione dell’emergenza. Si è provveduto quindi, per fini precauzionali, al fermo dell’impianto di produzione di energia elettrica che, si specifica, non è stato coinvolto in alcun modo dall’incendio». http://www.giornaledibrescia.it/sebino-e-franciacorta/rogo-alla-centrale-a-biomasse-non-si-esclude-l-ipotesi-dolosa-1.3025616
riproduzione riservata © www.giornaledibrescia.it
minaccia di una mega discarica romana tra Tarquinia e Monteromano, l'impegno del sindaco di Tarquinio Mauro Mazzola
Bio Ambiente Tarquinia ha condiviso un post sul tuo diario.
7 h ·
Bio Ambiente Tarquinia ha aggiunto 14 nuove foto.
Sindaco di Tarquinia Mauro Mazzola il 15 luglio p.v. alla Regione Lazio alla conferenza dei servizi ufficio VIA (Valutazione Impatto Ambientale) difenderà ugualmente i suoi cittadini ed il suo territorio, come ha fatto al teatro di Monteromano a causa della minaccia di una mega discarica romana tra Tarquinia e Monteromano ? Questa volta non è una candid camera ma è la realtà del progetto di una centrale (bio)gas e cioè di un' industria definita insalubre di prima categoria perché tratterebbe tramite fermentazione batterica anaerobica nettezza organica (FORSU) proveniente da ogni dove .... con produzione di gas e secondaria combustione. Si ricordi che i suoi elettori con oltre 2.000 firme di contrarietà, i cittadini della località Olivastro, le associazioni Forum Ambientalista e Bio Ambiente, la Coldiretti, la CIA ed il Consorzio di Bonifica della Maremma etrusca, hanno dimostrato tutta la loro volontà ostativa a tale industria inviando a tutti gli enti pubblici diverse osservazioni di contrarietà, esposti ed atti legali di memoria-diffida. Perciò Sindaco e Presidente della Provincia di VT dica NO una volta per tutte a favore della salute dei suoi cittadini .... Lei ha tutte le possibilità per bloccare tale progetto, essendo la massima autorità sanitaria locale !!!! CITTADINI DI TARQUINIA CONDIVIDETE !!!!
TERRA DEI FUOCHI Brucia una discarica, allarme a Chieti: “Lì rifiuti da Acerra”
VA IN FIAMME la Terra dei Fuochi
alle porte di Chieti, in Abruzzo. La
megadiscarica abusiva, sequestrata nel
2009 e poi dimenticata, è stata divorata
dalle fiamme di un enorme incendio doloso,
appiccato in più punti. Nel rogo, che ha
avvelenato l’aria con una nube tossica, sono
andati distrutti anche i documenti che
legano questa discarica a quella di Acerra,
nel Napoletano. Documenti mai sequestrati,
ma lasciati abbandonati per sei anni
in un gabbiotto che ora è esploso. Materiale
che parlava di collegamenti con la discarica
e con il termovalorizzatore di Pantano
di Acerra, da cui lo scorso marzo sono
state portate via 21 mila tonnellate di ecoballe.
Nel rogo sono andate bruciate fatture
e bolle di accompagnamento, insieme
a rifiuti speciali e pericolosi: sacchi con il
marchio “S o l vay ” e bidoni con la “R” di rifiuti
ospedalieri radioattivi. Le prove sono
ormai distrutte e i dati sulla diffusione di
diossina e altre sostanze nocive non sono
ancora stati pubblicati. Ora, la Procura di
Chieti ha aperto un’inchiesta per incendio
d o l o s o.
MELISSA DI SANO il fatto quotidiano 30 giugno 2015
La Metro C di Roma e l’i n au g u ra z i o ne più pazza del mondo - Marino e Delrio esaltano l’opera indagata da Pignatone e Cantone I costruttori, in credito di 200 milioni, disertano la cerimonia
360 mln
Il dannoerariale secondo
i pm della Corte dei conti
Spesi 3,5 miliardi di euro - I punti
1
Il progetto
a p p rova to
nel 2002
prevedeva 30
fermate che
t a g l i ava n o
la città dalla
periferia est
fino a San
Pi e t ro
2
Il primo tratto
(15 fermate
da Pantano
a Centocelle)
è stato
i n a u g u ra to
il 9 novembre
2 01 4
3
Ieri il secondo
tratto: 6
fermate per
5,4 km.
Le 21 fermate
coprono 18,5
chilometri.
Per la cifra,
finora, di 2,7
miliardi: ogni
km è costato
146 milioni
GIORGIO MELETTI I ndaga il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone. Indaga l’Auto - rità anticorruzione di Raffaele Cantone. Indaga la Corte dei conti. E tutti quelli che indagano si dichiarano increduli. Quello che si è riusciti a fare con la Metro C, la terza linea della metropolitana di Roma, è talmente assurdo che se uno prova a raccontarlo lo prendono per matto. Sarà per questo che il sindaco Ignazio Marino, da due anni alle prese con un rebus da enigmisti esperti, ha deciso ieri di inaugurare un nuovo tratto della cervellotica infrastruttura come se niente fosse, scegliendo la giornata della festa patronale senza curarsi della data del 29 Giugno, sinistro omaggio all’omo nima cooperativa di Salvatore Buzzi protagonista di Mafia Capitale. È ARRIVATO anche il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, che paga il 70 per cento dell ’opera, a dare manforte con l’ottimismo: “Oggi è una bella giornata. I mali da cui sono afflitte le nostre metropoli, quali il traffico e l'inquinamento, oggi sono un po’ colmati da questa opera”. Traffico e inquinamento della Capitale saranno rintuzzati dai nuovi 5,4 chilometri della Metro C, sei fermate dal quartiere periferico di Centocelle a via La Spezia (stazione piazza Lodi), da cui i passeggeri potranno comodamente camminare per un chilometro fino alla basilica di San Giovanni, dove passa la Metro A. Può sembrare assurda la scelta di cominciare i lavori dall’estre - ma periferia est per costruire una metropolitana che deve attraversare il centro storico e poi proseguire (forse) verso la periferia nord. Ma non è la cosa più assurda. Ieri, a margine della solenne inaugurazione, si è appreso che nei prossimi giorni ci sarà un vertice proprio con Delrio per discutere le diverse ipotesi di tracciato per andare avanti con la metropolitana in costruzione da nove anni. È proprio così. Per adesso si sa solo che da San Giovanni la Metro C dovrebbe proseguire fino al Colosseo e poi raggiungere (forse) piazza Venezia entro un numero imprecisato di anni. Da lì in poi si reciterà a soggetto. L’unica ipotesi in campo è che da piazza Venezia si continui a scavare fino a oltre Tevere, zona di San Pietro, un tunnel di oltre due chilometri senza fermate, pare per insormontabili difficoltà archeologiche che, pur trattandosi del centro storico di Roma, hanno colto di sorpresa progettisti e costruttori. Riccardo Magi, consigliere comunale dei Radicali italiani, autore di ponderosi esposti alla procura della Repubblica, sintetizza così il problema: “Oggi a Roma, a fronte della vertiginosa somma spesa e impegnata (circa 3,5 miliardi di euro), avrebbe dovuto avere una linea metropolitana completa corrispondente al progetto approvato nel 2002, cioè fino a Clodio-Mazzini. Invece si è scelto di accumulare ritardo, con enorme spreco di risorse pubbliche, accettando l’inacc ettabi le, riconoscendo alle imprese somme illegittime extra contratto”. SIAMO DI FRONTE ai brillanti risultati della Legge Obiettivo, quella con cui il governo Berlusconi annunciò nel 2002 di aver trovato la soluzione per garantire costi, tempi e qualità della grandi opere. Nel 2006 un consorzio formato da Astaldi, Vianini (Caltagirone) e due coop rosse (Cmb e Ccc) ha vinto la gara offrendosi di progettare e realizzare l’o p er a completa per 2,7 miliardi. Solo per arrivare a piazza Venezia (poco più della metà) se ne spenderanno, se va bene, 3,7. I N TA N TO il general contractor, che doveva garantire tempi e costi, litiga con la stazione appaltante, la società Roma Metropolitane appositamente costituita, 190 dipendenti per tenere il conto di maggiori costi e ritardi. Lavoro così efficace che il procuratore del Lazio presso la Corte dei Conti, Raffaele Dominicis, ha già contestato alla società un danno erariale da 360 milioni di euro. La tratta inaugurata ieri è stata completata con sette mesi di ritardo, e Roma Metropolitane ha chiesto una penale di 28 milioni, i costruttori si sono inviperiti perché vantano 200 milioni di fatture non pagate, e per protesta hanno disertato l’inaugurazione. Volano le carte bollate: c’è una causa civile tra general contractor e stazione appaltante per la quale il tribunale di Roma ha fissato la prima udienza nel 2017. Non c’è fretta. Simpatico il commento di Michele Meta (Pd) presidente della commissione Trasporti della Camera: “Il completamento della linea C deve essere perseguito con l'obiettivo irrinunciabile di abbattere tempi e costi. Ciò può rappresentare una vera e propria discontinuità nel modo di concepire le grandi opere in Italia”. Speranza lodevole, ma anche stavolta sembra più ragionevole prevedere che la discontinuità la porteranno i soliti magistrati. Twitter@giorgiomeletti © RIPRODUZIONE RISERVATA il fatto quotidiano 30 giugno 2015
GIORGIO MELETTI I ndaga il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone. Indaga l’Auto - rità anticorruzione di Raffaele Cantone. Indaga la Corte dei conti. E tutti quelli che indagano si dichiarano increduli. Quello che si è riusciti a fare con la Metro C, la terza linea della metropolitana di Roma, è talmente assurdo che se uno prova a raccontarlo lo prendono per matto. Sarà per questo che il sindaco Ignazio Marino, da due anni alle prese con un rebus da enigmisti esperti, ha deciso ieri di inaugurare un nuovo tratto della cervellotica infrastruttura come se niente fosse, scegliendo la giornata della festa patronale senza curarsi della data del 29 Giugno, sinistro omaggio all’omo nima cooperativa di Salvatore Buzzi protagonista di Mafia Capitale. È ARRIVATO anche il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, che paga il 70 per cento dell ’opera, a dare manforte con l’ottimismo: “Oggi è una bella giornata. I mali da cui sono afflitte le nostre metropoli, quali il traffico e l'inquinamento, oggi sono un po’ colmati da questa opera”. Traffico e inquinamento della Capitale saranno rintuzzati dai nuovi 5,4 chilometri della Metro C, sei fermate dal quartiere periferico di Centocelle a via La Spezia (stazione piazza Lodi), da cui i passeggeri potranno comodamente camminare per un chilometro fino alla basilica di San Giovanni, dove passa la Metro A. Può sembrare assurda la scelta di cominciare i lavori dall’estre - ma periferia est per costruire una metropolitana che deve attraversare il centro storico e poi proseguire (forse) verso la periferia nord. Ma non è la cosa più assurda. Ieri, a margine della solenne inaugurazione, si è appreso che nei prossimi giorni ci sarà un vertice proprio con Delrio per discutere le diverse ipotesi di tracciato per andare avanti con la metropolitana in costruzione da nove anni. È proprio così. Per adesso si sa solo che da San Giovanni la Metro C dovrebbe proseguire fino al Colosseo e poi raggiungere (forse) piazza Venezia entro un numero imprecisato di anni. Da lì in poi si reciterà a soggetto. L’unica ipotesi in campo è che da piazza Venezia si continui a scavare fino a oltre Tevere, zona di San Pietro, un tunnel di oltre due chilometri senza fermate, pare per insormontabili difficoltà archeologiche che, pur trattandosi del centro storico di Roma, hanno colto di sorpresa progettisti e costruttori. Riccardo Magi, consigliere comunale dei Radicali italiani, autore di ponderosi esposti alla procura della Repubblica, sintetizza così il problema: “Oggi a Roma, a fronte della vertiginosa somma spesa e impegnata (circa 3,5 miliardi di euro), avrebbe dovuto avere una linea metropolitana completa corrispondente al progetto approvato nel 2002, cioè fino a Clodio-Mazzini. Invece si è scelto di accumulare ritardo, con enorme spreco di risorse pubbliche, accettando l’inacc ettabi le, riconoscendo alle imprese somme illegittime extra contratto”. SIAMO DI FRONTE ai brillanti risultati della Legge Obiettivo, quella con cui il governo Berlusconi annunciò nel 2002 di aver trovato la soluzione per garantire costi, tempi e qualità della grandi opere. Nel 2006 un consorzio formato da Astaldi, Vianini (Caltagirone) e due coop rosse (Cmb e Ccc) ha vinto la gara offrendosi di progettare e realizzare l’o p er a completa per 2,7 miliardi. Solo per arrivare a piazza Venezia (poco più della metà) se ne spenderanno, se va bene, 3,7. I N TA N TO il general contractor, che doveva garantire tempi e costi, litiga con la stazione appaltante, la società Roma Metropolitane appositamente costituita, 190 dipendenti per tenere il conto di maggiori costi e ritardi. Lavoro così efficace che il procuratore del Lazio presso la Corte dei Conti, Raffaele Dominicis, ha già contestato alla società un danno erariale da 360 milioni di euro. La tratta inaugurata ieri è stata completata con sette mesi di ritardo, e Roma Metropolitane ha chiesto una penale di 28 milioni, i costruttori si sono inviperiti perché vantano 200 milioni di fatture non pagate, e per protesta hanno disertato l’inaugurazione. Volano le carte bollate: c’è una causa civile tra general contractor e stazione appaltante per la quale il tribunale di Roma ha fissato la prima udienza nel 2017. Non c’è fretta. Simpatico il commento di Michele Meta (Pd) presidente della commissione Trasporti della Camera: “Il completamento della linea C deve essere perseguito con l'obiettivo irrinunciabile di abbattere tempi e costi. Ciò può rappresentare una vera e propria discontinuità nel modo di concepire le grandi opere in Italia”. Speranza lodevole, ma anche stavolta sembra più ragionevole prevedere che la discontinuità la porteranno i soliti magistrati. Twitter@giorgiomeletti © RIPRODUZIONE RISERVATA il fatto quotidiano 30 giugno 2015