giovedì 31 luglio 2014

Trivelle in alto mare, Greenpeace viola la zona rossa

La Rainbow Warrior, la nave di Greenpeace in viaggio per la campagna “Non è un paese per fossili”, ha violato la zona rossa di alcune piattaforme petrolifere al largo di Vasto, in Adriatico. Il gommone Klaus si è avvicinato alla piattaforma Rospo mare B di proprietà di Edison ed Eni, mentre la Rainbow Warrior si è mantenuta a distanza di sicurezza. Una scelta, quella delle trivellazioni in alto mare, che secondo Luca Iacoboni, responsabile di Greenpeace italia per questa campagna, non ha alcun senso. “Tutte le riserve di petrolio presenti nei mari italiani basterebbero per soddisfare il fabbisogno nazionale per soli tre mesi”.

Video di Tiziano Scolari

Pescespada, mattanza senza fine Continua la pesca con le reti proibite

Pochi i controlli. E così si uccidono anche i cetacei mediterranei. Nel Dna dei pescatori di frodo c’è lo sfregio per il rispetto di una risorsa comune

L’onore della pesca è salvo, ma i cetacei e i pescespada sono ancora in pericolo nonostante la soddisfazione espressa dal ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina all’annuncio della chiusura della procedura di infrazione contro l’Italia per l’uso delle reti derivanti. Poche ore prima che il ministro e la Commissione europea riconoscessero «il grande lavoro fatto dall’Italia nell’ultimo triennio sul fronte della legalità in mare», le nostre telecamere documentavano lo sbarco notturno e furtivo di pescespada nel porto di Bagnara Calabra da parte di una motonave che, nonostante il divieto, deteneva le reti illegali a bordo. [English version of the video below]
Scampato il pericolo delle ispezioni comunitarie, i pirati hanno ricominciato a pescare sotto gli occhi poco vigili della Capitaneria di porto che avrebbe il compito di sequestrare le reti illegali e il pesce, oltre a comminare sanzioni. Dieci anni da sorvegliati speciali ma non troppo, visto che a noi è bastata una sola notte sul molo di Bagnara per accertare la fondatezza delle segnalazioni che da giugno arrivavano insistentemente dai pescatori onesti, quelli che si armano di attrezzi legali come il palangaro e la fiocina sperando di pescare quel poco che sfugge ai «muri della morte», i chilometri di reti calati in mare per tutta la notte che intrappolano tutto, incluse tartarughe e cetacei, che non potendo riemergere muoiono soffocati dopo atroci sofferenze. Quelle reti sono la prima causa di morte per i cetacei e nel solo Mediterraneo si stima che, quando le spadare erano legali, ne morissero diecimila all’anno. Per i pescespada e i tonni la sorte porta dritti ai mercati del pesce, al prezzo salato che conosciamo.
Abbiamo pagato cara la sovvenzione milionaria a 700 pescherecci affinché si armassero di attrezzi di pesca più sostenibili ma almeno un centinaio, soprattutto calabresi, siciliani e campani, hanno preso i soldi senza buttare le spadare. Hanno continuato illegalmente ma alla luce del sole con la complicità della politica e delle capitanerie. A sei anni dal bando, nel 2008, la Commissione scriveva: «È ampiamente provato che il sistema di controllo e sanzione applicato in Italia in merito alle reti derivanti sia del tutto insufficiente».
Nel Dna dei pescatori di frodo c’è qualcosa che va oltre la semplice devianza. C’è lo sfregio per il rispetto di una risorsa comune, il liturgico piagnisteo e la devota riconoscenza a tutti i politici che hanno barattato la legalità con i loro voti. C’è una finta povertà che nasconde evasione fiscale un tanto al chilo (un pesce spada può valere anche mille euro).
Nello specchio d’acqua in cui gettano le spadare si riflette la nostra politica ambientalista che ha concesso illegalità e leggi speciali per dieci, lunghi anni, persino quella che sdoganava una spadara più piccola (ferrettara) fino al 2011, nove anni dopo il bando delle reti derivanti! Dopo tanti anni di complicità i recidivi leggeranno l’assoluzione di Bruxelles come un’opportunità per armarsi di spadare. E, come abbiamo dimostrato, lo stanno facendo. Ma insieme a noi, su quel molo, non c’era un solo uomo della capitaneria. Non vogliamo pensare (male) che l’ordine di chiudere un occhio a inizio stagione sia stato impartito dall’alto per evitare che nei registri delle sanzioni in mare (pubbliche) emergesse ancora la pratica illegale, cosa che avrebbe dimostrato la diffusione del fenomeno mettendo a rischio l’assoluzione di Bruxelles. Dunque, è prematuro per il ministro cantare l’Inno alla Gioia, finché non impartirà l’ordine perentorio di non fare più sconti e di procedere con i controlli in mare e al sequestro definitivo delle reti illegali. Perché incombe il rischio di una nuova procedura di infrazione che sarebbe una figuraccia senza precedenti.
La scorsa notte, insieme alla nostra telecamera, c’era un osservatore dell’organizzazione ambientalista Oceana che in una nota ufficiale denuncerà quanto visto alla Commissione europea. D’altro canto la stessa Commissione ha concesso al nostro Paese dieci anni di illegalità per poi chiudere la procedura (guarda il caso) in coincidenza con il semestre di presidenza italiana, che di certo non poteva guidare con la patente di pirata del mare. Oramai l’Europa, nonostante i recenti sforzi per tutelare quel che resta della risorsa ittica, ha sostenuto con regolamenti ad hoc lo sfruttamento indiscriminato della risorse. Dopo avere svuotato i nostri mari, le flotte europee stanno impoverendo quelli altrui.
Siamo spesso convinti di mangiare pesce del Mediterraneo quando il 70 per cento è di importazione. Basti pensare agli accordi che consentono di acquistare pescespada dal Marocco. Lontano dagli occhi e dai regolamenti. Oceana ha documentato un mese fa la presenza di numerose spadare sui pescherecci di Tangeri, in Marocco, Paese che esporta soprattutto in Italia. La delocalizzazione dell’illegalità benedetta da Bruxelles. A questo si deve aggiungere il dato biologico che il pescespada è un animale che da decenni sta soffrendo a causa di una pesca indiscriminata. A rigor di logica non andrebbe consumato, così come non andrebbero consumate molte altre specie che arrivano sulle tavole e nei sacchetti congelati a tutela dei grandi interessi.
Il consumatore è l’unico arbitro che oggi ha lo strumento del boicottaggio per decidere se preservare l’ambiente oppure prediligere i propri appetiti, assecondando anche quelli di chi, in trent’anni di pesca industriale, ha ridotto gli stock ittici del 90 per cento. Con la complicità dei politici di tutto il mondo. Il pesce comincia a puzzare, sempre, dalla testa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA di Sabrina Giannini http://www.corriere.it/inchieste/reportime/ambiente/pescespada-mattanza-senza-fine-continua-pesca-le-reti-proibite/a22f5a9a-0f1c-11e4-a021-a738f627e91c.shtml

Rimini, le fogne scaricano in mare: il video che fa litigare i bagnini Acque nere che finiscono direttamente in mare, a pochi metri dagli ombrelloni

 Accade a Rimini ogni volta che piove troppo, con due conseguenze: che in spiaggia irrompe un fiume dall'odore nauseabondo, e che viene vietata la balneazione ai turisti. Il video, che sta facendo il giro della Rete, è stato girato da un bagnino. Ma i colleghi lo attaccano: "Così finiamo per tirarci la zappa sui piedi"

Il video sulle fogne in mare che divide Rimini: "Così si fa terrorismo"Acque nere sversate direttamente in spiaggia ogni volta che piove troppo: la denuncia di un bagnino provoca la reazione dei colleghi. E intanto nuovo stop alla balneazione

C'è un video che sta girando in Rete e sollevando grosse polemiche a Rimini. E' stato filmato da un bagnino e documenta lo sversamento in mare delle acque nere delle fogne. Un fenomeno che si ripete ogni volta che piove troppo e che le fogne cittadine non riescono più a gestire la mole d'acqua, provocando la fuoriuscita, a pochi metri dagli ombrelloni e dai lettini, di fiumiciattoli dall'odore nauseabondo, che si riversano in mare. E oltre allo spettacolo davvero poco gradevole, fanno scattare il divieto di balneazione.

Turisti doppiamente beffati. Perché se restano in spiaggia godono di una non invidiabile situazione, e in più non possono fare il bagno. E' con questo spirito di denuncia che il marinaio di salvataggio ha fatto girare fra gli amici questo video di un minuto e mezzo, in cui la gravità del problema è ben evidente. Ma quel video, condiviso e ripostato da moltissimi, ha scatenato una guerra interna al mondo dei bagnini, che lamentano sulle pagine dei giornali locali: "Così ci tiriamo la zappa sui piedi". "Tutti sappiamo i problemi che Rimini ha con le fogne. Che senso ha fare del terrorismo?", è il commento del presidente degli operatori del salvataggio, Mauro Vanni, all'edizione cittadina del Resto del Carlino

Non è però solo una questione uno spettacolo indecoroso. Riguarda anche la salute dei cittadini e dei turisti. "Così la qualità dell'acqua è alterata, saranno presenti batteri anche il giorno dopo", denuncia chi ha realizzato il video. A queste preoccupazioni il numero uno dei bagnini riminesi replica così: "Ogni riminese conosce i problemi del sistema fognario della città, l'amministrazione comunale si sta adoperando per risolverli. Perché pubblicare quelle immagini?". 

Il nome dello strumento con cui il Comune si prepara ad affrontare la situazione spiega la gravità della situazione: "Piano della salvaguardia della balneazione". Un progetto da 154 milioni di euro cui lavorano anche Hera e Romagna acque, definito dal sindaco Andrea Gnassi "il più grande intervento di risanamento fognario in Italia". L'obiettivo è cancellare questa brutta cartolina entro il 2020, ponendo fine allo sversamento in mare delle acque nere. 

Ma intanto sulla Riviera riminese continuano a sventolare bandiere rosse. Il maltempo degli ultimi giorni, fino alla 'bomba d'acqua' di ieri pomeriggio, ha fatto riaprire gli scarichi fognari a mare con conseguente divieto temporaneo di balneazione come previsto dall'ordinanza del Comune. Al momento, come indica Arpa Emilia-Romagna sul suo sito, la balneazione è vietata in diversi casi fino a domani -il divieto vige dall'apertura degli scarichi fino a 18 ore dopo la chiusura- in nove zone su 14. Le bandiere rosse sventolano da nord a sud, nell'ordine, a Torre Pedrera-Brancona, Rivabella Turchetta, alla foce nord e sud del Marecchia, a Rimini Ausa, a Bellariva Colonnella 1 e 2, a Rivazzurra Rodella e a Miramare Roncasso.
 

caos rifiuti Latina Ambiente e il debito "a sorpresa" di un milione e 520 mila euro

Nella seduta emerge il contenuto del documento condiviso tra Comune di Latina e partecipata che certifica il passivo. Il Pd chiede chiarezza e domani il caso sarà analizzato nella commissione Trasparenza

Nel corso dell'audizione l'assessore Calvi ha spiegato che i revisori dei conti, per la complessità della natura del debito e della sua collocazione, hanno chiesto un parere al Ministero delle Finanze. Il rischio che i soldi vengano spalmati sul Pef e di conseguenza sulle bollette
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Latina

 La saga del rapporto controverso tra Latina Ambiente e il Comune, fatto di una situazione debitoria-creditoria reciproca, si arricchisce di un nuovo capitolo, emerso oggi in commissione bilancio, che parla di una stangata da un milione e 520 mila euro. Soldi che rischiano di finire in bolletta e sui quali l'opposizione ha chiesto maggiore chiarezza anche perché nel punto richiesto dal consigliere del Pd De Amicis si parlava di un 'presunto credito' del Comune che si è scoperto essere invece un debito. La commissione si è tenuta, come spesso accade negli ultimi tempi, grazie alla presenza dell'opposizione dal momento che si registravano le solite assenza tra le file della maggioranza. 
DOCUMENTO CONDIVISO NEL TAVOLO TECNICO TRA COMUNE E SOCIETA'. L'assessore al bilancio Calvi ha relazionato sull'ultimo recente e laborioso tavolo tecnico tra il Comune e la società partecipata che gestisce i rifiuti, dal quale è emerso un documento condiviso e controfirmato dalla parti che certifica un debito da parte del Comune nei confronti della Latina Ambiente di un milione e 520 mila euro. Altra anomalia è stata quella relativa al passaggio successivo, quello in cui i revisori dei conti dovranno certificare il documento. Nel corso dell'audizione in commissione Calvi ha infatti spiegato che i revisori, per la complessità della natura del debito e della sua collocazione, hanno chiesto un parere al Ministero delle Finanze.
RICHIESTA DEI REVISORI AL MINISTERO. I revisori in sostanza vogliono capire se il debito andrà a carico del piano economico finanziario della Latina ambiente e quindi finirà spalmato sulle bollette, oppure se andrà in carico alla società in quanto appaltante del servizio. Anche in questo caso, essendo una società partecipata del Comune, ci rimetterebbero i contribuenti. La materia e il chiarimento dei rapporti economici tra Comune e Latina ambiente sarà oggetto anche della commissione trasparenza di domani, vista l'audizione dell'assessore al bilancio e della dirigente del servizio ambiente chiesta dal consigliere d'opposizione Marco Fioravante. L'opposizione vuole veder chiaro sulla natura del debito e su come si sia arrivati a questa somma, ma anche capire le ragioni di questo temporeggiare dei revisori dei conti e cosa ci sia realmente dietro la loro richiesta al Ministero. 
L'ENTE PRENDE TEMPO. La sensazione è che dall'ente si voglia prender tempo per evitare di dover inserire il debito in bilancio e di farsene carico quest'anno dal momento che il bilancio va approvato entro il 30 settembre. Temporeggiare significherebbe far slittare il tutto al bilancio del prossimo anno ma inevitabilmente per le tasche dei cittadini il problema non sarebbe risolto, ma solo rinviato.
 http://www.corrieredilatina.it/news/ambiente/8846/Latina-Ambiente-e-il-debito-.html

Greenpeace Difesa dell’ambiente e democrazia: cattive notizie dall’India

Ci arriva ieri la notizia che due attivisti di Greenpeace India, Akshay Gupta e Rahul Gupta sono stati arrestati dalla polizia di Singrauli nello Stato del Madhya Pradesh. Nella notte agenti di polizia hanno perquisito senza mandato la guest house dove alloggiavano insieme ad altri tre attivisti, che sono anch’essi stati minacciati di arresto per le proteste contro l’apertura di una nuova miniera di carbone.
Il progetto, proposto dalle aziende Essar e Hindaco, raderebbe al suolo la foresta di Mahan, da cui dipendono migliaia di persone.
Questi arresti seguono quelli di altri tre attivisti di Greenpeace e del movimento contro il carbone MSS avvenuti lo scorso maggio.
Solo una settimana fa, il procuratore distrettuale M. Selvedran aveva assicurato che avrebbe convocato in un’assemblea (Gram Sabha) aperta e trasparente gli abitanti dei cinque villaggi che si oppongono alla distruzione della foresta. Già a marzo il progetto era stato discusso in una simile assemblea, e la mozione si era conclusa con un via libera al progetto, raggiunto però con molte firme che sono poi risultate contraffatte e di persone morte da tempo. 
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“Questi arresti mostrano che non c’è nessuna volontà di avere una discussione aperta e trasparente al Gram Sabha” sostiene Pryia Pillai, responsabile di Greenpeace India. “Avevamo messo in piedi le attrezzature radio per aiutare le comunità locali a diffondere le informazioni al milione di abitanti interessati al destino della foresta. Prima la polizia ha sequestrato l’attrezzatura e ora arrestano i nostri compagni apparentemente per aver denunciato il sequestro della radio”. 
La battaglia contro il carbone e un rapporto dei servizi di informazione indiani IB contro l’attività di diverse ONG tra cui Greenpeace, accusate di essere contro lo sviluppo dell’India, ha portato il governo di Sri Ranenda Modi a bloccare i fondi che Greenpeace India riceve dall’organizzazione internazionale per sostenere le sue attività. Tra queste attività, di recente, la realizzazione di una micro-rete alimentata solo ad energia solare nel villaggio di Dharnai nel Bihar, una delle regioni più povere nell’India nordorientale. 
La campagna di Greenpeace India contro il carbone – e il conflitto tra questo sviluppo della peggiore energia fossile e la scarsità di acqua – ha contribuito al dibattito su che tipo di sviluppo si può avere nel continente indiano. La pressione autoritaria contro Greenpeace in India ha in realtà datomaggiore visibilità a questo dibattito e a un maggiore sostegno dei cittadini indiani alle campagne contro il carbone. Ma questa ormai è diventata anche una battaglia per la democrazia, per il diritto di protestare e di informare in quella che si vanta di essere la più grande democrazia del mondo. 
di Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo Greenpeace Italia http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/31/difesa-dellambiente-e-democrazia-cattive-notizie-dallindia/1078200/

Smaltimento dei rifiuti, c’era un tempo in cui tutto (o quasi) era permesso

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/31/smaltimento-dei-rifiuti-cera-un-tempo-in-cui-tutto-o-quasi-era-permesso/1076563/ di  | 31 luglio 2014 Spesso, sia tra i cittadini che sui mass media, l’attenzione è centrata sui rifiuti urbani: raccolta con cassonetti o porta a porta? Spesso ci si dimentica che essi rappresentano solo una minima parte dei rifiuti e che la parte del leone è rappresentata da quelli industriali.
Gli anni ’60 sono stati gli anni del grande boom economicoitaliano; la produzione industriale saliva velocemente, la gente si spostava dalle campagne alle città e dal sud al nord. Le città si gonfiavano velocemente. Il benessere aumentava. Le case degli italiani si riempivano di elettrodomestici. Gli italiani acquistavano le automobili. Ma questo repentino sviluppoindustriale non fu scevro da problemi di cui anche oggi paghiamo le conseguenze.
Infatti, quello sviluppo ebbe costi ambientali enormi; è forse inutile ricordare l’Acna di Cengio el’Ilva di Taranto, ma di casi più o meno eclatanti è disseminato il nostro territorio. I Sin sono i siti di interesse nazionale e cioè i luoghi nei quali il Ministero della Salute insieme all’Istituto Superiore di Sanità ha messo in correlazione le patologie con inquinamenti da industrializzazione, anche di tempo remoto; i Sin sono 57 e parte di questi sono collegati allo studio Sentieri una specie di mappa dei veleni che interessa 5 milioni di persone Nel comprensorio della ceramica, situato tra Modena e Reggio vi è il Sin denominato Sassuolo -Scandiano (Castellarano, Castelvetro, Maranello, Rubiera e Sassuolo) e viene messo in relazione soprattutto con le lavorazioni ceramiche, con la presenza di piombo nelle falde e nell’aria e con l’inquinamento da metalli pesanti.
Oggi ci occupiamo del sito denominato “Solignano 2 – ex Frattine è una ex cava di ghiaia (circa 4,35 ha) riempita con rifiuti ceramici classificati pericolosi e speciali, ubicata in fregio al torrente Tiepido e conosciuta dal Ministero dell’Ambiente fin dal lontano 1990. Teniamo presente prima di tutto che stiamo parlando del conoide del Torrente Tiepido, il peggiore dei tre conoidi del modenese che non riceve acque di falda profonda, ma solo per assorbimento superficiale con 86 pozzi su 100 in classe 4 , la peggiore, e 14 in classe 3, quindi il malato peggiore, quello da salvare immediatamente o da curare con tutte le cure possibili.
Ma da allora, dagli anni 1975 al 1985, cosa è stato fatto?
Sui 19 siti del Sin Sassuolo Scandiano il 43 % è stato bonificato, soprattutto con il finanziamento del 2000 di circa 41 miliardi di lire che il ministero di allora ha stanziato, finanziamenti che spesso hanno, per lungaggini burocratiche, per amministrazioni dormienti fatto fatica a decollare. Nel nostro caso 30 anni dopo la fine degli sversamenti in una ex cava di ghiaia profonda 5 metri con falde a 7 metri si assiste allo “spettacolo” di un ansa del fiume con piante secche e prive di vegetazione. In 30 anni non è stato fatto quasi nulla, questo è il disastro. La Frattina è un po’ la metafora della nostra esistenza; corriamo il rischio di lasciare alle future generazioni una triste eredità del nostro boom industriale. http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/31/smaltimento-dei-rifiuti-cera-un-tempo-in-cui-tutto-o-quasi-era-permesso/1076563/

Sardegna, bombe e proiettili tra le dune del poligono militare a Capo Teulada

Sardegna, bombe e proiettili tra le dune del poligono militare a Capo Teulada. Anche se legambiente si è dimenticato di segnalarlo alla commissione del senato (chissà perchè su Sabaudia e sul parco del Circeo tace spesso e volentieri) a me ricorda la spiaggia di Sabaudia... devo aver letto qualche notizia simile nel recente passato....http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/07/31/sardegna-poligono-militare-nelle-spiagge-ci-capo-teulada/290986/
“Mi sparo un bagno“, è andato in onda il 26 luglio scorso il servizio dalla Sardegna realizzato da Paolo Piras per il TG3. Si tratta di un viaggio in una delle spiagge tra le più belleMi sparo un bagno“, è andato in onda il 26 luglio scorso il servizio dalla Sardegna realizzato da Paolo Piras per il TG3. Si tratta di un viaggio in una delle spiagge tra le più belle dell’isola. Un paesaggio incantevole deturpato dall’inquinamento provocato dalpoligono di Capo Teulada luogo di esercitazioni militari. E’ sufficiente farsi un giro tra le dune e nei primi metri di mare per trovare proiettili sulla sabbia e resti di bombe sott’acqua

Morti alla Kyklos di Aprilia, riscontrata la presenza di acido solfidrico. la Procura dispone il sequestro dell’azienda

http://www.h24notizie.com/news/2014/07/30/morti-alla-kyklos-di-aprilia-riscontrata-la-presenza-di-acido-solfidrico-la-procura-dispone-il-sequestro-dellazienda/

*Fabio Liseo e Roberto Papini, le due vittime viterbesi dell'intidente alla Kyklos*
*Fabio Liseo e Roberto Papini, le due vittime viterbesi dell’intidente alla Kyklos*
Sono stati resi noti i primi risultati delle indagini effettuate sul percolato che i due lavoratori di Viterbo morti lunedì - Fabio Lisei e Roberto Papini – stavano prelevado dalla Kyklos, azienda di compostaggio di Aprilia, per portarlo in discarica e sulla ditta di compostaggio stessa.
Esiti che hanno evidenziato la presenza di acido solfidrico. Una sostanza altamente nociva se inalata. E questi dati sono stati sufficienti affinchè la Procura della Repubblica di Latina disponesse un immediato sequestro della  ditta.