venerdì 9 dicembre 2016

pd governo Renzi Cinque decreti salva Ilva, promesse e soldi scippati all’ultimo: il No di Taranto

Fuorilegge
per legge
L’Ilva di
Taranto,
l’acciaieria
più grande
d’Europa Ansa
l69,3%
Dicono No
La quota di
elettori che
a Taranto ha
votato contro
la riforma.
In Puglia i No
sono al 67,16,
quasi 20 punti
sopra
la media
nazionale
Alla fine i tarantini hanno
valutato e deciso.
Era nell’aria la valanga
del No, che nella provincia ionica
segna il 68,48% e in città
sfiora il 70, dieci più della media
nazionale. Lo si era capito
già il 29 novembre, con la sala
vuota trovata al suo arrivo dal
presidente del Pd Matteo Orfini
nel quartiere Tamburi, il
più vicino all’Ilva, quello che
da decenni respira le polveri
del parco minerali e paga più
di tutti la logica folle della storia
e dei governi.
Matteo Renzi non ha fatto
eccezione: padre di ben 5 dei
10 decreti che dal 2012 hanno
disinnescato i pm e permesso
all’Ilva - sequestrata per “disa -
stro ambientale” - di operare
in deroga alla legge. Tutti seguiti
alla sostanziale inerzia
sulle bonifiche. “Tre anni bastano
per rimuovere le cause
di inquinamento”, spiegò Mario
Monti. Non è successo e il
governo Renzi ha prorogato
ogni volta il termine per adeguarsi
alle prescrizioni ambientali.
Cinque decreti per
correggere sempre i precedenti
anche sui soldi pubblici,
per tenere in piedi l’acciaieria
(prima 400 milioni, poi 800 e
così via). L’ultimo ha esteso ai
futuri acquirenti l’i mm u n it à
penale provocando la rabbia
del governatore Michele Emiliano
(Pd) che lo ha impugnato
alla Consulta. A nulla è servito
il frettoloso annuncio dell’ac -
cordo con il gruppo e la famiglia
Riva, gli 1,3 miliardi sbloccati
dalla Svizzera che

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