Greenpeace Roma 20.000 persone alla Marcia per il Clima!

News - 30 novembre, 2015
Insieme per chiedere futuro verde e di pace
Rome Italy, 29th November 2015To coincide with the Paris United Nations Climate summit this weekend an similar marches being held across the world, ten of thousands have taken to the streets of Rome to demand action on Climate change
Rome Italy, 29th November 2015To coincide with the Paris United Nations Climate summit this weekend an similar marches being held across the world, ten of thousands have taken to the streets of Rome to demand action on Climate change
Centinaia di migliaia di persone scese in strada in tutto il mondo per dire basta a petrolio, carbone e gas e chiedere un futuro 100 per cento rinnovabile: solo a Roma eravamo 20.000, per la più grande mobilitazione sul clima mai fatta in Italia!
La marcia globale per il clima ha coinvolto oltre 175 paesi, con più di 2300 eventi organizzati.
La richiesta ai leader radunati oggi a Parigi per l'apertura del Summit sul clima è la stessa da Melbourne a San Paolo, da Berlino a Ottawa, da Beirut a Tokyo: non possiamo più aspettare, il Pianeta ha bisogno di un accordo vincolante che acceleri la transizione energetica verso le rinnovabili!

Nel nostro corteo non potevano certo mancare degli "ospiti d'eccezione": un orso polare, un orango e una tigre ...dal momento che i cambiamenti climatici sono un problema in ogni parte del globo!
I governi riusciranno a siglare un accordo ambizioso e vincolante che metta fine all'era deicombustibili fossili? Staremo a vedere!http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/20000-persone-alla-Marcia-per-il-Clima/

Cop21 a Parigi: per combattere l’inquinamento il Pentagono è militesente

Quando nel 1991 l’Onu diede legittimazione alla guerra aerea degli Stati Uniti in Iraq - “Tempesta nel deserto” – accompagnata più tardi dagli scarponi sul suolo iracheno – “Scudo nel deserto” – qualcuno di noi cominciò a fare i conti di quale fosse non solo la spaventosa devastazione in vite umane e abitazioni, ma anche il riflesso sulla natura e il clima in termini di emissioni di CO2. Ne deducemmo che nei primi due anni la guerra all’Iraq era costata circa 200 miliardi di dollari e che il petrolio pompato dai pozzi iracheni ne avrebbe fruttati circa 30. Di fatto per la guerra sono stati consumati 650 milioni di barili equivalenti (bombe comprese) all’immissione in atmosfera di 300 milioni di tonnellate di CO2, ben più dei gas climalteranti di tutta l’Africa subsahariana.
cop 21 clima parigi
Alle soglie del nuovo millennio pochissimi facevano di questi conti, ma dopo decine di Cop inconcludenti, questa a Parigi nel 2015 entra in scena in un clima di terrorismo e guerra, che rischiano addirittura di oscurare l’urgenza del cambio climatico o di tenerlo separato dai due temi che allontanano il diritto della pace e, con esso, qualsiasi richiamo ad una ecologia integrale, responsabile e senza ipocrisie. Il senatore Bernie Sanders, in un recente dibattito al Congresso degli Stati Uniti, ha suonato l’allarme perché “il cambiamento climatico è direttamente correlato alla crescita del terrorismo”. Citando uno studio della CIA, Sanders ha avvertito che i paesi di tutto il mondo stanno “andando a lottare su una quantità limitata di acqua, quantità limitate di terra per coltivare i loro raccolti e si stanno riconsiderando sotto questo profilo tutti i tipi di conflitto internazionale”. In parole povere: la guerra e il militarismo alimentano esse stesse il cambiamento climatico e ne sono alimentate.
Prendendo atto di una affermazione non sospetta e venendo a noi, ci dovrebbe preoccupare che uno dei maggiori contribuenti al riscaldamento globale non abbia alcuna intenzione di accettare di ridurre l’inquinamento anche in vista della scadenza parigina. Il problema in questo caso è il Pentagono, che occupa 6.000 basi negli Stati Uniti e più di 1.000 basi in più di 60 paesi stranieri. Secondo il “2010 Base Structure Report”, l’impero globale del Pentagono include più di 539.000 strutture in 5.000 siti che coprono più di 28 milioni di acri, bruciando 350.000 barili di petrolio al giorno (solo 35 paesi nel mondo consumano più) senza contare l’olio bruciato da appaltatori e fornitori di armi. La fornitura di carburante riguarda più di 28.000 veicoli blindati, migliaia di elicotteri, centinaia di aerei da combattimento e bombardieri e vaste flotte di navi militari.
L’Air Force rappresenta circa la metà del consumo di energia operativa del Pentagono, seguita dalla Marina Militare (33%) e dall’esercito (15%). Ironia della sorte, la maggior parte del petrolio del Pentagono viene consumato in operazioni dirette a proteggere l’accesso degli Stati Uniti al petrolio straniero e le rotte di navigazione marittima per trasportarlo. Si stima che la guerra in Iraq del Pentagono abbia generato più di tre milioni di tonnellate di inquinamento da CO2 al mese per la sola movimentazione di sistemi d’arma (aerei, carri, autoblindo, tank, aerei etc.).  In breve, il consumo di olio si incarica di consumare più petrolio. Questo non è un modello energetico sostenibile. Ma cosa può fare un trattato sotto egida Onu come quello che si apre a Parigi nel momento in cui il Pentagono ha insistito su una “norma di sicurezza nazionale” che avrebbe posto le sue operazioni al di là di ogni controllo globale, esentandolo anche dalla regolamentazione dell’inquinamento e facendone un inquinatore privilegiato? Un paradosso: l’apparato militare è militesente nella battaglia per il clima…
In quanto al terrorismo, e ai fini circoscritti del tema di questa comunicazione, vorrei ricordare che Oliver Tickell su The Ecologistmette in guardia i leader politici dai rischi di un fallimento della COP21, ipotizzando un introito di circa 500 milioni di dollari all’anno dalle vendite del petrolio che in parte è nella disponibilità dei terroristi di Isis per finanziare le proprie attività criminali: un motivo in più per non fallire e ridurre la nostra dipendenza dal petrolio. Ma l’ottimismo per un accordo adeguato con gli attuali leaders mondiali non ha grandi speranze, a meno che i popoli in marcia… http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/30/cop21-a-parigi-per-combattere-linquinamento-il-pentagono-e-militesente/2264764/

Trivellazioni, la Cassazione dice sì ai sei referendum contro la ricerca di petrolio. Ora parola alla Consulta

Superato il primo scoglio, quello dell’esame correttezza formale, ora manca la decisione finale della Corte Costituzionale che ne valuterà l’ammissibilità e si pronuncerà entro febbraio 2016. Soddisfazione da parte del movimento 'No Triv' e delle 10 Regioni che hanno approvato nei mesi scorsi le delibere sulle proposte referendarie Ora manca solo il parere della Consulta per fermare le trivelle. LaCassazione ha detto sì ai sei quesiti referendari contro la ricerca dipetrolio in mare e su terraferma. Superato il primo scoglio, quello dell’esame correttezza formale, ora la parola passa alla Corte Costituzionale che ne valuterà l’ammissibilità e si pronuncerà entrofebbraio 2016, dando o meno il via libera definitivo. Dopo la soddisfazione per la decisione della Cassazione espressa da alcuni dei rappresentanti delle dieci Regioni che hanno approvato nei mesi scorsi le delibere sulle proposte referendarie, il coordinamento nazionale ‘No Triv’ avverte: “Non si persegua la strada della modifica per via legislativa delle norme che, per mezzo delreferendum abrogativo, è invece possibile cancellare stabilmente dall’ordinamento. Il Referendum non è nella disponibilità del Governo”. IL SÌ DELLA CASSAZIONE - Con due ordinanze la Cassazione ha accolto nei giorni scorsi i sei quesiti referendari così come deliberati dalleassemblee regionali di Basilicata, Abruzzo, Marche, Campania, Puglia, Sardegna, Veneto, Liguria, Calabria e Molise. In queste ore la notifica – oltre che ai delegati dei dieci consigli regionali proponenti – anche al Presidente della Repubblica, al presidente della Corte Costituzionale e ai presidenti delle Camere. Il primo a darne l’annuncio è stato Piero Lacorazza (Pd), presidente del Consiglio regionale della Basilicata, capofila dell’iniziativa, commentando su Facebook il sì al referendum sull’articolo 38 della legge ‘Sblocca Italia’ e sull’articolo 35 del decreto Sviluppo. “Il lavoro fatto con i consigli regionali – ha scritto – raggiunge un obiettivo importante. Adesso sarà la Corte Costituzionale a decidere. Restiamofiduciosi”.
LE REAZIONI - Soddisfazione ha espresso anche il governatore della Puglia Michele Emiliano: “Una bellissima notizia. È un momento nel quale la Costituzione della Repubblica si incarna – ha commentato – e dà alle nostre comunità la possibilità di decidere sulle ricerche di idrocarburi. Risorse che possono essere “sì un’opportunità – ha detto Emiliano – ma anche una minaccia che rischia di rovinare il nostro mare. Noi siamo per ridurre queste ricerche di idrocarburi, per azzerarle se è possibile”. Il presidente della Regione Puglia non ha nascosto le sue intenzioni: “Voteremo per il referendum e – dopo questa consultazione – cercheremo di negoziare con il governo condizioni per le quali le comunità abbiano sempre diritto di parola in casi del genere”.
LA BATTAGLIA DELLE REGIONI - I quesiti sono stati depositati il 30 settembre scorso all’Ufficio centrale per il referendum della Cassazione e riguardano l’abrogazione di norme sulle procedure per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi e sull’esenzione del divieto del limite di 12 miglia marine dalla costa per le stesse attività. In attesa del referendum, intanto, ogni regione ha cercato di portare avanti la propria battaglia. Merita di essere citata la vicenda che riguarda il progetto di Ombrina Mare 2 per le trivellazioni sulle coste abruzzesi. Il 9 novembre scorso il ministero dello Sviluppo economico ha dato il via libera, rigettando la richiesta di sospensione dell’iter, nonostante i tentativi della Regione Abruzzo di fermare il progetto, con una legge che vieta le attività petrolifere nel raggio di 12 miglia dalla costa e con la recente istituzione del Parco MarinoIL COORDINAMENTO NAZIONALE ‘NO TRIV’ - I sei sì della Cassazione arrivano dopo una lunga battaglia e “la pressione democratica dal basso esercitata da oltre 200 associazioni italiane” ricorda ilcoordinamento nazionale ‘No Triv’. Secondo il quale “è giunto ora il momento di consolidare il risultato ottenuto preparandosi alla costruzione di un sistema di alleanze– il più ampio e trasversale possibile – e di un percorso organizzativo” che ha l’obiettivo di portare al voto la maggioranzadegli aventi diritto “senza mediazioni con il Governo su un referendum che ha un obiettivo molto chiaro e non emendabile, se non a rischio di stravolgerne e affievolirne senso e scopo”. Per i ‘No Triv’, dunque, la via referendaria è l’unica percorribile “per raggiungere – dicono – nel breve termine l’obiettivo sia di fermare nuovi progetti petroliferi sia di contenere e ridimensionare il ruolo delle energie fossili nel mix energetico nazionale”. Una posizione netta, che boccia la possibilità di una mediazione con il Governo “che più di ogni altro ha dimostrato fredda determinazione – scrive il coordinamento nazionale – nel portare a compimento il contenuto fossile della Strategia Energetica Nazionale”. La prossima tappa sarà l’incontro a Roma, il 9 dicembre, tra i delegati delle Assemblee delle dieci Regioni che hanno deliberato la richiesta di referendum e i rappresentanti delle associazioni promotricihttp://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/30/trivellazioni-la-cassazione-dice-si-ai-sei-referendum-contro-la-ricerca-di-petrolio-ora-parola-alla-consulta/2265817/

“L’ITALIA DOVRÀ SBORSARE ALL’EUROPA 160 MILIONI DI EURO. ANCHE PER COLPA DELLA DISCARICA DI LAVENO”

La prima penalità è stata di 39,8 milioni, mentre il totale ha toccato quota 79 milioni 800 mila euro. A questa cifra si aggiunge la multa di 20 milioni inflitta per le analoghe violazioni commesse nella regione Campania. Tra queste 198 discariche, alcune sono situate in Lombardia, una in particolare è situata nel Comune di Laveno Mombello, in provincia di Varese

24 novembre 2015“L’Italia è stata condannata a pagare circa 160 milioni di euro dalla Corte di Giustizia Europea, per le violazioni degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Ue”.
Questa la denuncia del deputato del Movimento 5 Stelle Cosimo Petraroli, che sottolinea come la “colpa” di questa sanzioni abbia origine da diverse situazioni ritenute irregolari, tra cui figurerebbe anche la discarica di Laveno Mombello. 
“Le quattro sentenze emesse a carico del nostro Paese – dichiara Petraroli, membro della Commissione Politiche dell’Unione Europea – prevedono anche una serie di penalità di mora, si tratta di somme aggiuntive che scattano ad intervalli periodici quando vi è una mancata ottemperanza, da parte di uno Stato membro, alle decisioni dei giudici.
Questa scure sul capo dell’Italia e degli italiani aumenterà il debito già accumulato nei confronti dell’Europa.
Sono numerose, inoltre, le procedure di infrazione ancora aperte nei confronti del nostro paese che potrebbero far aumentare ancor più gli oneri finanziari a nostro carico.
Le cinque sentenze – prosegue il pentastellato – si riferiscono a quattro casi di aiuti di Stato illegittimi per la navigazione e gli alberghi della Sardegna, per le imprese che hanno investito nei comuni colpiti dal sisma del 2002 e per le esenzioni fiscali e prestiti agevolati in favore di imprese di servizi a prevalente capitale pubblico. Il quinto caso, infine, riguarda la mancata garanzia dell’indipendenza del gestore dell’infrastruttura ferroviaria.
La stangata è arrivata, però, per lo scandalo delle 198 discariche abusive disseminate su quasi tutto il territorio nazionale.
La mancata adozione dei provvedimenti necessari per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo ci è costata una sanzione di 40 milioni, cui si aggiunge una penalità semestrale di 42 milioni 800 mila euro, da cui verranno sottratti, in caso di avvenuta messa a norma, 400 mila euro per ogni discarica contenente rifiuti pericolosi e 200 mila per ogni altra discarica”.
“La prima penalità è stata di 39,8 milioni, mentre il totale ha toccato quota 79 milioni 800 mila euro. A questa cifra si aggiunge la multa di 20 milioni inflitta per le analoghe violazioni commesse nella regione Campania.
Tra queste 198 discariche, alcune sono situate in Lombardia, una in particolare è situata nel Comune di Laveno Mombello, in provincia di Varese.
Se entro gennaio 2016 l’Italia non avrà ottemperato al provvedimento dei giudici europei, scatterà un’ulteriore penalità di 120 mila euro per ogni giorno di ritardo.
Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti nel corso del question time in Commissione Ambiente, sotto la nostra pressione, ha dichiarato che gli obblighi di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati, ivi incluse le discariche abusive da dismettere, gravano in capo al Comune territorialmente competente, ed in caso di inerzia di quest’ultimo, in capo alla Regione che è il responsabile di ultima istanza per la realizzazione dell’opera di bonifica o messa in sicurezza.
I cittadini residenti in quei territori si ritroveranno probabilmente a subire quindi anche la mancata messa in sicurezza delle discariche, in quanto i Comuni sono economicamente impossibilitati a provvedere a causa dei tagli delle risorse imposte dal Governo Renzi. Nelle scorse settimane – conclude Petraroli (M5S) – abbiamo depositato un’interrogazione parlamentare al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al ministro dell’Economia Piercarlo Padoan proprio sulle multe da pagare dovute alle procedure di infrazione. Il Governo preferisce raddoppiare il budget per pagare le multe all’Europa, senza spiegare come ha intenzione di sanare le situazioni di infrazione. Il ‘Fondo per il recepimento della normativa europea’ dovrebbe servire a recepire le direttive emanate dall’Europa, non essere utilizzato come bancomat per pagare le sanzioni inflitte al nostro Paese. E per i cittadini, costretti a pagare 2 volte, anche in salute, come sempre oltre al danno la beffa”. http://www.varesepolis.it/litalia-dovra-sborsare-alleuropa-160-milioni-di-euro-anche-per-colpa-della-discarica-di-laveno-28759.html

Cop 21 a Parigi ci giochiamo tutto di Padre Alex Zanotelli

COP 21
A PARIGI CI GIOCHIAMO TUTTO !
Oggi, 30 novembre 2015, apre la Conferenza sul clima di Parigi (COP 21) che vede riuniti i rappresentanti di 190 paesi e 150 capi di Stato. “Il mondo deve prendere atto che il Vertice di Parigi- aveva detto la Pontificia Accademia delle Scienze lo scorso aprile- potrebbe essere l’ultima vera opportunità per giungere a un accordo che mantenga il riscaldamento globale di origine antropica al di sotto di 2 gradi centigradi, a fronte di una traiettoria attuale che porterebbe a un aumento devastante di 4 o più gradi centigradi.”Una presa di posizione rafforzata dalle parole di Papa Francesco giorni fa alle Nazioni Unite per l’Ambiente a Nairobi(Kenya) :”Sarebbe triste e oserei dire perfino catastrofico che gli interessi privati prevalessero sul bene comune.” Il primo obiettivo di Parigi è cancellare il vertice di Copenaghen (2009) che si concluse in un fiasco clamoroso. I vertici che ne seguirono, Cancun, Durban, Doha, Varsavia,Lima sono finiti in un nulla di fatto. E così siamo giunti sull’orlo del precipizio. “ Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia”-afferma Papa Francesco in Laudato Si’. “Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti, sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco, di alterazione dell’ambiente ha superato la possibilità del Pianeta in maniera che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi.”I dati scientifici sono categorici. Lo ha fatto in modo perentorio l’Agenzia ONU per i cambiamenti climatici (IPCC) nel novembre 2014 a Copenaghen. Gli scienziati dell’IPCC affermano: primo, il riscaldamento globale esiste ed è causato dall’uomo; secondo, gli effetti sono già visibili con lo scioglimento dei ghiacciai ed eventi meteo estremi ; terzo, il peggio deve arrivare perché le emissioni globali invece che diminuire, sono aumentate. Infatti gli scienziati dell’IPCC (tutti scelti dai governi!) affermano che, se il sistema continuerà a utilizzare petrolio e carbone al ritmo attuale, a fine secolo, avremo, se ci andrà bene, 3,5 gradi centigradi in più, ma se ci andrà male, 5,4 gradi centigradi. Gli esperti ci ricordano che già 2 gradi centigradi in più costituiscono un dramma per il Pianeta. E purtroppo, come afferma Fatih Birol dell’IEA(Agenzia Internazionale dell’Energia):”La porta di due gradi si sta per chiudere. Nel 2017, si chiuderà per sempre.” Abbiamo raggiunto quello che gli esperti chiamano il ‘decennio zero’ della crisi climatica: o cambiamo subito o rischiamo di precipitare nel baratro.
Ecco perché il Vertice di Parigi è l’ultima vera opportunità per salvarci. Purtroppo la politica è prigioniera dei poteri economico-finanziari che governano il mondo. “Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale- lamenta Papa Francesco in Laudato Si’. La sottomissione della politica alle tecnologie e alla finanza si dimostra nel fallimento dei vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune.” Il dramma è che questo disastro climatico sarà di nuovo pagato dagli impoveriti. Dobbiamo saper unire il “grido della Terra”-come dice Papa Francesco- con il “grido dei poveri.” Sarà soprattutto l’Africa a pagare le conseguenze di questi cambiamenti climatici con tre quarti delle terre desertificate e con centinaia di milioni di rifugiati climatici. Dobbiamo dunque affermare che le emissioni incontrollate di gas serra meritano il nome di crimini .Dopo i crimini della schiavitù, della colonizzazione, dei regimi totalitari, ecco il crimine ecologico. Ridurre la nostra impronta di carbonio non è una semplice necessità ambientale, ma è , come afferma Desmond Tutu, il “più grande cantiere di difesa dei diritti umani della nostra epoca.” Non possiamo accettare che le multinazionali si arricchiscano con attività climaticamente criminali. Desmond Tutu chiede di far fronte alle cause e ai fautori del riscaldamento climatico con le armi dell’indignazione morale, del boicottaggio, della disobbedienza civile, del disinvestimento economico, ma soprattutto con il disinvestimento dalle banche che pagano per il petrolio e il carbone. Se c’è una cosa che è certa è che , se vogliamo salvarci, dobbiamo lasciare il petrolio e il carbone là dove sono, sottoterra. (E’ una vergogna che Renzi abbia invece aperto le trivellazioni per il petrolio!)
“C’è bisogno di un sussulto morale di chi, nei paesi ricchi non vuole essere complice- scrive Christophe Bonneuil- e lo manifesta in diversi modi :soluzioni per vivere altrimenti e meglio con meno, campagne per costringere le banche a disinvestire dalle imprese assassine del clima , pressioni sui governi affinchè passino dalle parole ai fatti in materia di riduzione delle emissioni, resistenza alle grandi opere…”
Mi auguro che l’enciclica Laudato Si’ galvanizzi tutti, in particolare le parrocchie e le diocesi per formare un unico grande movimento per salvare la nostra amata Madre-Terra.

Alex Zanotelli


Napoli,30 novembre 2015

Cop 21 a Parigi, Credit Suisse: “Obiettivi vincolanti? Improbabile. Se accadrà rischiano gruppi petroliferi e auto”

Secondo gli analisti della banca svizzera, se gli auspici di Ban Ki Moon e Francois Hollande si avvereranno a trarne vantaggio saranno soprattutto le aziende che offrono soluzioni per il risparmio energetico. Scarso impatto per solare e eolico. A perderci sarebbero per esempio Air France, Lufthansa, Peugeot, Renault, Rwe e Volkswagen La conferenza Cop 21 sui cambiamenti climatici in corso a Parigidifficilmente si concluderà con annunci storici. Ed è improbabile che l’accordo per la limitazione delle emissioni inquinanti raggiunto dai 195 Paesi rappresentati al vertice sarà vincolante. Ma se invece sarà un successo, come auspicato dal presidente francese François Hollande e dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, i settori industriali si divideranno tra vincitori e vinti: avrà da guadagnarci il comparto delle tecnologie per il risparmioenergetico, mentre aumenterà la pressione sui produttori di energia da carbone e petrolio, i gruppi automobilistici, lecompagnie aeree e i cementifici. Con effetti particolarmente pesanti, paradossalmente, per aziende partecipate dallo stesso stato francese che ospita e promuove l’iniziativa. Sono le previsioni diCredit Suisse, che dedica un report alle possibili conseguenze della conferenza internazionale.
Secondo gli analisti della banca svizzera, un più rapido passaggio all’energia pulita e maggiori investimenti in soluzioni per l’efficienza energetica andranno a favore dei produttori “con un’esposizione superiore alla media a gas, solare,eolicoidroelettrico. Così come delle compagnie che offrono soluzioni per l’efficienza dei consumi nel settore residenziale e in quello dei trasporti”. Tra i potenziali vincitori ci sono il gruppo austriaco Verbund, la spagnola Iberdrola, la portoghese Edp, la britannica Centrica. Ma anche Royal Dutch Shell eTotal. Svantaggiate invece la tedesca Rwe e la ceca Cez. “La maggior parte dei gruppi del petrolio e del gas investono anche nelle rinnovabili, con l’eolico, il solare e i biocarburanti come settori di intervento più comuni”, ricorda il rapporto. “Tuttavia, nessuno di questi segmenti di business in questo momento è determinante se confrontato con la parte legata agli idrocarburi”. Per questo “il peggior esito per le compagnie petrolifere sarebbe un meccanismo globale e obbligatorio di attribuzione di un prezzoalle emissioni di carbonio, con relativi costi di implementazione e spese per adeguarsi”.
Per quanto riguarda i gruppi automobilistici, il rischio è legato al fatto che “il loro potere di fare il prezzo è limitato, cosa che impedisce loro di scaricare sui consumatori maggiori spese in ricerca e sviluppo e in altri investimenti”. In più “l’industria dell’auto è già sotto la lente dopo lo scandalo delle emissioni legato a Volkswagen“. E il 14 dicembre il Parlamento europeo voterà sulla proposta di legge relativa ai nuovi test. “Un risultato aggressivo della conferenza Cop21 metterebbe pressione aggiuntiva sulle aziende”, spiegano gli analisti. I gruppi meno esposti sonoTesla e Toyota, mentre i più a rischio risultano essere Peugeot,Renault e ovviamente Volkswagen.
Le compagnie aeree, già in sofferenza in seguito all’emergenza terrorismo, in caso di approvazione di standard più rigidi per quanto riguarda le emissioni dei motori degli aerei dovranno sostenere ingenti investimenti per rinnovare le flotta. A subire l’impatto più pesante sarebbero, stando all’analisi di Credit Suisse,Air France e Lufthansa. La prima ha “sottoinvestito per sistemare il proprio bilancio e ha meno spazio di manovra rispetto a tutte le altre per aumentare gli investimenti”. Scarso impatto invece, secondo gli specialisti del comparto aereo della banca svizzera, per Ryanair e EasyJet.
emissioniQualche sorpresa arriva dal capitolo dedicato ai settori che avrebbero da guadagnare da una efficace limitazione delle emissioni. Per esempio, gli analisti notano che difficilmente le azioni delle aziende attive nel solare ne trarranno benefici duraturi, perché in ogni caso è improbabile che ci sia un revival dei generosiincentivi degli anni scorsi e “la tecnologia per l’immagazzinamento dell’energia solare non è ancora sufficiente”. Prospettive in chiaroscuro anche per l’eolico. A beneficiare di più della spinta della Cop 21 sarebbero invece le aziende che offrono soluzioni per il risparmio energetico. Tra le compagnie che Credit Suisse segnala come potenzialmente interessanti ci sono le statunitensi Eaton, Magna e Cummins, la francese Schneider, la tedesca Infineon, l’inglese GKN, la giapponese Murata, le cinesi Gree Electrics e Haier Electronics.
Il rapporto non nasconde però che ci sono diversi indizi che portano a prefigurare un insuccesso della conferenza parigina. Per prima cosa, i Paesi chiave hanno già rivelato i propri target sulle emissioni di Co2 in modo unilaterale prima ancora dell’inizio del Cop 21. Poi c’è il fatto che gli obiettivi proposti “implicano un incremento di 2,7 gradi delle temperature medie”, troppo rispetto a quanto sarebbe necessario per tenere sotto controllo il riscaldamento del pianeta. In più, “i Paesi hanno troppa flessibilità nel definire i limiti per i loro obiettivi di emissioni“, “è probabile che qualsiasi accordo non si traduca in un trattamento legalmente vincolante” e “c’è incertezza sull’impegno finanziario nei confronti dei Paesi emergenti“. L’esperienza del Protocollo di Kyoto “ne è un ottimo promemoria”. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/30/cop-21-a-parigi-credit-suisse-se-avra-successo-pressione-su-gruppi-petroliferi-settore-auto-e-compagnie-aeree/2264428/

Cop 21 a Parigi, i buoni propositi dei 150 capi di stato sul riscaldamento globale: “Serve accordo ambizioso sul clima”

Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki-Moon: "Avete il potere di assicurare il benessere di questa e della prossima generazione". Renzi: "Accordo sia vincolante, altrimenti è scritto su sabbia". Obama: "Siamo l'ultima generazione a poter fare qualcosa". Fermate 317 persone per i disordini di domenica  “L’accordo sia ambizioso“. “Obiettivo è intesa vincolante contro riscaldamento globale”. “Nuovo Kyoto per le necessità della popolazione”. “Affrontare differenze economiche“. “E’ tardi ma possiamo invertire la tendenza”. Da Hollande a Putin, da MerkelObama, i grandi del mondo in ordine sparso hanno parlato di fiducia e obiettivi nobili alla conferenza Onu sul clima (Cop21) di Parigi. A parole, tutti i 150 capi di Stato presenti nella capitale francese hanno spinto per un’intesa virtuosa: una (mezza) buona notizia in attesa dei fatti, che saranno un po’ più chiari al termine del vertice. Ora, invece, è tempo di buoni propositi. Hollande e il segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki-Moon hanno inaugurato a Le Bourget la conferenza, a cui ha preso parte anche il presidente americano, Barack Obama, che nella notte ha fatto una sosta fuori programma davanti alla sala concerti delBataclan, uno dei luoghi delle stragi, dove sono morte 90 persone. Con lui Hollande e il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo. Obama si è fermato per alcuni minuti in silenzio davanti alle candele e ai fiori e ha lasciato una rosa bianca.  Obama: “Siamo l’ultima generazione in grado di far qualcosa”
“E’ quasi troppo tardi, ma possiamo invertire la tendenza” ha dettoObama all’indomani della visita al Bataclan prima di esortare i leader presenti “a dimostrare quello che possiamo fare se uniamo i nostri sforzi per un obiettivo comune”. “Siamo la prima generazione ad aver scatenato il cambiamento climatico, ma forse siamo anche l’ultima a poter fare qualcosa – ha aggiunto il presidente degli Stati Uniti – Come una delle prime economie del mondo sono pienamente consapevole che siamo alla fonte del problema”. Obama poi ha avuto un faccia a faccia a porte chiuse con Vladimir Putin. A sentire la Casa Bianca, nell’incontro i due hanno parlato di Siria (“Assad deve lasciare il potere” ha detto Obama) e Ucraina. Ma, ovviamente, anche di clima.
Putin: “Entro il 2030 ridurremo le emissioni del 30%”
Serve un “accordo globale, efficace, equilibrato” e “giuridicamente vincolante che permetta alle economie di svilupparsi” e limiti di “2 gradi” il riscaldamento climatico. Parola del presidente russo Vladimir Putin, che poi ha auspicato “un nuovo accordo nel prolungamento di Kyoto che risponda agli interessi delle nostre popolazioni”. Poi la promessa, ovvero una riduzione del 30% delle emissioni di gas serra entro il 2030. “Abbiamo oltrepassato le nostre responsabilità nel protocollo di Kyoto” ha sottolineato il leader del Cremlino, ricordando che tra il 1991 e il 2012 “la Russia non solo ha impedito la crescita dei gas serra ma li ha anche ridotti notevolmente e grazie a questo non è finito in atmosfera un equivalente di circa 40 miliardi di tonnellate di anidride carbonica”, di poco inferiore al totale dei gas serra (46 mld di tonnellate) emessi da tutti i paesi del mondo nel 2012. “Cioè possiamo dire che gli sforzi della Russia hanno consentito di frenare il riscaldamento globale di circa un anno”, ha aggiunto.
Ban Ki-moon: “Un’occasione che non potrebbe più tornare”
“Un’occasione politica come questa potrebbe non tornare”, ha dettoBan Ki-moon all’apertura dei lavori. “Abbiamo bisogno di un accordo significativo e forte qui a Parigi” sul clima per stare “sotto i due gradi” di aumento della temperatura, anche per garantire “la pace e la sicurezza internazionale”. Obiettivo del summit è infatti raggiungere un’intesa che permetta di limitare entro i due gradi l’aumento della temperatura globale, contrastando l’emissione di Co2. “Voi avete il potere di assicurare il benessere di questa e della prossima generazione”, trovando un accordo per arginare l’aumento delle temperature del pianeta causato dalle emissioni inquinanti, ha detto il segretario generale. Merkel: “Accordo vincolante contro il riscaldamento globale”
“I colloqui sul clima di Parigi devono concordare un accordo vincolante per garantire un progresso per limitare il riscaldamento globale”. Lo ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel alla Conferenza Onu sul clima in corso aParigi. Per Merkel lo scopo del vertice di Parigi, dovrà essere “un accordo delle Nazioni Unite vincolante” e una revisione del meccanico per chiudere il divario tra l’impatto sul riscaldamento globale delle misure già promesse e il lavoro necessario per limitare l’aumento delle temperature. Poi l’annuncio: “La Germania entro 2020 raddoppierà suoi finanziamenti pubblici per le energie rinnovabili”.
Renzi: Accordo vincolante o sarà scritto sulla sabbia”
Sul clima serve “un accordo il più vincolante possibile, altrimenti rischia di essere scritto sulla sabbia” ha detto invece il premier italiano Matteo Renzi, secondo cui “l’Italia fa la sua parte ma il vero problema è che non tutti a livello mondiale si comportano allo stesso modo. Dobbiamo fare uno sforzo perché anche gli altri arrivino a questi risultati”. Sulla stessa linea d’onda il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz: “I leader oggi alla Conferenza del clima (Cop21) di Parigi hanno una responsabilità storica: dobbiamo trovare un accordo sul cambiamento climatico e lasciare un mondo migliore alle generazioni future“.
Hollande: “La sfida più importante di sempre”
Hollande ha affermato che “il mondo non ha mai affrontato una sfida così grande come quella sul futuro del pianeta, della vita. Per questo siamo qui a Parigi”. In un’intervista al quotidiano 20 minutes, il presidente aveva avvertito: “La storia giudicheràseveramente i capi di Stato e di governo se avranno mancato l’appuntamento del dicembre 2015″. L’accordo sulle emissioni dovrà essere “vincolante” e prevedere un meccanismo di controllo per gli impegni assunti dai diversi Paesi “ogni cinque anni”. Il programma prevede il lancio dell’iniziativa “Missione innovazione”, con cui una ventina di Paesi, tra cui i cinque più popolosi e più inquinanti – Cina, Stati Uniti, India, Indonesia e Brasile – che si dovranno accordare per raddoppiare i propri investimenti in ricerca sull’energia pulita per affrontare il cambiamento climatico. Hollande e il primo ministro indiano, Narendra Modi, lanceranno la cosiddetta Alleanza solare, che ha lo scopo di riunire nazioni ricche di energia.
La cronaca: 317 fermati per gli scontri
Nel giorno in cui nella capitale francese prendono il via le due settimane di negoziati sulla lotta al cambiamento climatico e ai gas serra, sale a 317 il numero delle persone fermate in seguito agliscontri di domenica pomeriggio a Place de la République fra manifestanti ambientalisti e polizia. Sono state identificate in tutto 341 persone che, nonostante il divieto disposto dalle autorità francesi per motivi di sicurezza, hanno preso parte alla marcia contro la conferenza Cop21. Un gruppo di “tute nere” si è staccato dai militanti ambientalisti e ha marciato contro gli agenti prendendo di mira anche i fiori e i biglietti per le vittime degli attacchi del 13 novembre: “Incidenti scandalosi”, secondo il presidente francese François Hollandedi  | 30 novembre 2015 http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/30/cop-21-a-parigi-317-fermati-per-gli-scontri-omaggio-di-obama-a-vittime-bataclan-al-via-la-conferenza/2263846/

Giappone, l’isola di Gunkanjima ci dice come sarà la Terra dopo di noi?

Ho già citato altre volte il libro di Alan Weisman “La terra senza di noi”, in cui l’autore immagina, su basi peraltro scientifiche, quanto tempo ci vorrà perché la natura si riprenda i suoi spazi dopo la scomparsa dell’umanità.
Ma non sapevo che ci fosse un esempio che precorre i tempi: èl’isola di Gunkanjima (o Hashima), che significa “isola della nave da guerra”, a causa della sua somiglianza con una corazzata giapponese.
Gunkanjima è un’isola di origine vulcanica che dista 17 chilometri da Nagasaki ed è una delle 505 isole della omonima prefettura. Essa misura appena 480 metri di lunghezza e poco meno di 150 di larghezza. La sua “fortuna” era costituita dal carbone. L’esistenza della miniera fece sì che prima, nel 1887, ci si stabilissero dei minatori, e poi nel 1890 la Mitsubishi la comprasse e ne iniziasse, oltre che lo sfruttamento industriale, l’edificazione e l’urbanizzazione. A far data dal 1896 il suo territorio venne progressivamente ampliato in sei fasi che la portarono ad assumere la forma attuale nel 1931. Dopo la seconda guerra mondiale, Gunkanjima ebbe il privilegio di stabilire un record: la più alta densità di popolazione al mondo con ben 3.450 abitanti per chilometro quadrato.A tanta popolazione corrispondevano ben 60.000 m² di edifici abitabili, un ospedale, una scuola, templi, circa 25 negozi, bar, un cinema, una palestra, un campo da baseball e anche un bordello. Tra gli edifici residenziali vi era anche il primo condominio in cemento armato costruito in Giappone. Oltre agli edifici c’era il sito minerario, con diverse gallerie fin sotto il fondale marino. Il tunnel sotterraneo più profondo si estendeva per più di 1 km in profondità.
Gli abitanti erano divisi per caste. Minatori non sposati nei monolocali, minatori sposati e con famiglia nei bilocali con bagno e cucina in comune. Personale amministrativo e insegnanti potevano godere del privilegio di avere un bagno privato, mentre solo a colui che dirigeva la miniera spettava il diritto ad una casa indipendente. Non doveva essere una gran vita, ma tant’è…
Alla fine degli anni sessanta la domanda di carbone diminuì e nel 1973 le estrazioni cessarono del tutto perché non più convenienti e quindi la Mitsubishi optò per la chiusura dello stabilimento minerario. Il 15 gennaio del 1974, la miniera venne ufficialmente chiusa con una cerimonia aziendale presso la palestra locale e nell’arco di soli quattro mesi Gunkanjima assistette al suo rapidissimo spopolamento; l’ultimo lavoratore lasciò l’isola il 20 aprile dello stesso anno. Da luogo fra i più popolati al mondo a luogo spopolato nel breve volgere di venticinque anni. Da allora tutto sull’isola è rimasto al suo posto, il tempo si è fermato. Da quest’anno,Gunkanjima è uno dei siti storici industriali patrimonio dell’umanità Unesco e oggetto di visite guidate. Essa è spettrale, inquietante, ma anche affascinante, una scenografia ideale per film da Mad Max (ma in realtà lo è stata per Battle Royale e Skyfall). Ironia della sorte: a Gunkanjima non cresceva nulla, ma oggi essa è in buona parte invasa dalla vegetazione, che sta avviluppando le sue rovine. Esemplari e significative sono le fotografie che la ritraggono, tipo quelle di Yves Merchand e Romain Meffre e di Guillaume Corpart Mullerhttp://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/30/giappone-lisola-di-gunkanjima-ci-dice-come-sara-la-terra-dopo-di-noi/2263800/